fabrizio e cristiano de andrè

FABER, "AVARO DI ABBRACCI E PAROLE BELLE MA GENIO" - CRISTIANO DE ANDRÉ RACCONTA IL PADRE FABRIZIO: "NON È STATO FACILE CRESCERE CON LUI. COSA PUOI FARE CON UN MITO? NON PUOI UCCIDERLO NÉ CERCARE DI DIVENTARE COME LUI" – POI RACCONTA DI QUANDO FABER BUTTÒ GIÙ LA PORTA CON UN’ASCIA E LUI GLI RISPOSE CON UN PUGNO - LA PIPI’ NELLO CHAMPAGNE, LA BARDOT COL PLAYBOY GIGI RIZZI - E POI RIVELA: "IL PRIMO AMORE? UNA SCROFA...” – VIDEO

 

Massimo Cotto per Sette – Corriere della Sera

 

 

fabrizio e cristiano de andrè

DIETRO LA PORTA C’È UN NUOVO TOUR, davanti agli occhi c’è il blu di Sardegna. E al centro di entrambe le cose, c’è un padre «avaro di abbracci e di parole belle, ma genio». Cristiano De André ha gli occhi secchi e guarda verso il mare, proprio come faceva Teresa in Rimini. E racconta, come un vecchio marinaio che ha una dannazione da portare. Lui è l’esempio perfetto di artista il cui talento è costretto sempre a rimare con lo struggimento.

 

«Arrivammo a Portobello di Gallura nel 1967, io avevo cinque anni, dopo un terribile viaggio in nave dove tutti i passeggeri vomitarono anche l’anima. La mia famiglia, no. Eravamo e siamo genovesi, anche se Genova rimane una luce paradossale. Brilla sempre, ma brilla di più quando sei lontano». Genova sembra colpita da una maledizione. «C’è un accanirsi del destino, qualcosa che non si sa spiegare e che non ha eguali in altre città italiane. Come ci fosse una calamita sulla Lanterna che attrae le disgrazie. Spero solo che chi ha sbagliato paghi. Non restituisce nulla, ma almeno smette di togliere».

 

Si è stabilito definitivamente qui

fabrizio e cristiano de andrè

«Sei mesi a Portobello e sei a Roma. Ho abbandonato Milano, che è sempre più livida e sprofondata per sua stessa mano, come cantava Ivano Fossati. È piena di cannibali e di stilisti, di parassiti e opinionisti che non hanno mai letto un libro, ma che vogliono spiegartelo. Io la amo, Milano, ma la Sardegna, dove il clima non è tossico e tutto è natura, è impagabile. Qui, certe sere, senti solo i cinghiali che si muovono nel buio e ti perdi nelle stelle. Le guardo da questa terrazza, con il cielo che a me sembra più basso che in ogni altra parte del mondo. Forse Dio l’ha fatto così per avvicinarci a lui. E ripenso a mio padre, che mi diceva che il modo migliore per conoscere il passato è guardare le stelle. Io esprimevo un desiderio a ogni stella che cadeva. Ancora non sapevo che quelle stelle non erano tanto disposte a esaudire i miei desideri. Almeno non sempre».

Paolo Villaggio e Fabrizio De Andre

 

Inevitabile parlare di suo padre, che quando lei non c’era parlava con orgoglio di quel figlio che considerava musicalmente molto più bravo di lui.

DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE

«Peccato che con me fosse sempre severo e distante. Ricordo due soli entusiasmi: quando, a sei anni, pescai un dentice enorme, e quando a Sanremo cantai Dietro la porta. Furono le uniche due volte in cui mi abbracciò e disse che era orgoglioso di me. Non è stato facile crescere con lui. I figli d’arte crescono con un padre ingombrante, io sono cresciuto con un mito. Cosa puoi fare con un mito? Non puoi ucciderlo né cercare di diventare come lui. Io ho provato a convivere con Fabrizio De André, senza mai cercare di imitarlo. Ho studiato musica e guadagnato il suo rispetto. Mi aveva affidato la direzione musicale del tour di Anime salve e parlavamo di un disco da scrivere e cantare insieme. Ci siamo divertiti e io, negli ultimi anni, ho capito di avere un padre. Ci eravamo finalmente avvicinati. Quando pensavo fosse arrivato il momento di essere padre e figlio fino in fondo, lui se n’è andato».

DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE zzi

 

Lei ha paura di morire?

«Abbastanza da toccarmi subito le palle. Ho paura di morire lentamente e di soffrire, come è successo a mio padre, a mia madre e a mio nonno. Di consumarmi. Di lottare non per vivere, ma per morire qualche giorno più in là. Mi dia una morte improvvisa e firmo subito. Però magari aspettiamo ancora un po’».

Nella sua autobiografia, La versione di C., ha detto che la notte dopo la morte di suo padre, lei e la sua compagna avete sentito chiaramente il suo odore. 

«Sì. Era lui. Non ho il minimo dubbio. L’odore di un padre lo sai riconoscere tra mille. Forse voleva dirmi che non era ancora pronto per andarsene del tutto. Anarchico fino in fondo, quasi a dire a Dio: “Va bene, hai vinto tu, ma almeno decido io quando salire all’ultimo piano”»

 

Anch’io, una notte, ho sentito forte l’odore di mio padre, morto da poco. Non è mai più successo. E sto male perché non lo sogno mai. 

fabrizio de andre' villaggio

«Non lo sogno mai nemmeno io. Però gli parlo. Tutti i giorni. Ogni volta che ho un’idea, un dubbio, un problema».

Lui risponde?

«Sempre. Più di quando c’era davvero».

 

 

Un padre assente? 

«Mio padre aveva orari tutti suoi. Dormiva di giorno e scriveva di notte. Non lo vedevo mai. Quando facevo un po’ di baccano, lo sentivo urlare: “Portate via il bambino”. Una volta, la maestra diede un compito in classe: “Parlate di vostro padre”. Io scrissi: “Mio padre dorme”. Non sapevo cos’altro scrivere. Ecco, il libro che ho scritto è come un tema lungo, quel tema che non ho mai fatto. Avevo bisogno di raccontare il rapporto con mio padre e con la musica. Per farlo ho dovuto spogliarmi nudo e poi svestire anche gli altri. Ho sentito troppe falsità e bugie in questi anni. Scrivere un libro è stato un modo per riscattare la mia vita. Alla fine, però, ho scoperto che chi ha conosciuto mio padre ha capito, chi non lo ha mai incontrato forse ha giudicato male quello che ho scritto».

FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE - ENRICA RIGNON

Mi faccia un esempio

«Beh, Agostina».

Il suo primo amore?

«No, una scrofa».

 

Una scrofa?

«Sì. La portavo al guinzaglio. Era la mia migliore amica. Mio padre mi lasciava fare. Poi, una sera, chiama un po’ di amici a cena. C’era anche Paolo Villaggio. Portano a tavola una valanga di carne. E io mangio felice, fino ad abbuffarmi».

E poi? «E poi mio padre mi guarda e mi dice: “Piaciuta la cena?”. Rispondo di sì. “Bravo, sappi che ti sei mangiato Agostina”. Io vomitai e piansi per due giorni. Mio padre rideva. Era fatto così. Ma non era cattivo».

No, però buttare giù la porta del bagno con un’ascia come Jack Nicholson in Shining un po’ fa paura.

«Eh, non lo dica a me. Purtroppo, mio padre beveva. Quella volta non volevo seguirlo in Sardegna, perché per me la Sardegna era vacanza. Lui voleva iscrivermi a una scuola di Tempio Pausania. Io mi ero nascosto in bagno e avevo chiuso a chiave la porta. Mio padre pensò che buttarla giù con un’ascia fosse il modo più rapido per finire la questione. Solo che io, quando mi accorsi che stava per entrare, scappai sul tetto».

FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE - ENRICA RIGNON

Come finì la storia?

«Saltammo tutti e due giù dal tetto, sul prato di casa. Lui mi prese a schiaffi e poi disse: “Colpisci anche tu, se sei un uomo”».

E lei?

«Gli tirai due cazzotti pazzeschi. Mio padre perse i sensi. Quando si riprese, disse: “Hai visto chi comanda qui?”»

 

Paradossale. Torniamo alla Sardegna

CRISTIANO E FABRIZIO DE ANDRE 7

«Da noi arrivava il mondo. Paolo Villaggio metteva a punto i personaggi di Fracchia e Fantozzi, Walter Chiari giocava tanto con me, perché adorava i bambini ed era un uomo molto buono. Spesso ci invitavano a Saint-Tropez, dove ho incontrato Mick Jagger e sua moglie Bianca, Barbara Bach, Ursula Andress, Brigitte Bardot, che era di una bellezza assoluta. Stava con il playboy Gigi Rizzi, molto amico di papà. Una volta lei gli disse che avrebbe tanto desiderato un vestito che aveva visto su una rivista. Glielo fece vedere e Gigi Rizzi girò tutti i negozi di Saint-Tropez fino a quando lo trovò. Ricordo la faccia di Brigitte Bardot quando aprì il pacco. Era quello di una bambina davanti all’albero di Natale, non della donna più desiderata del mondo».

 

A Portobello, arrivò anche De Gregori, con cui Fabrizio doveva lavorare a Volume 8.

foto di fabrizio de andre di guido harari

«Quando lo vidi, cominciai a urlare: “C’è Francesco De Gregori!”. Mia madre rideva e diceva: “Non farmi fare brutte figure”. Mi attaccai a Francesco come un gatto. Gli saltavo al collo e chiedevo: “Perché Alice guarda i gatti? Perché i gatti guardano nel sole?”. Andai avanti così per tutto il tempo in cui rimase con noi, una domanda dopo l’altra, tanto che Francesco e mio padre ci scrissero su anche una canzone, Oceano, che dice: “E arrivò un bambino con le mani in tasca e un oceano verde dietro le spalle. Disse: vorrei sapere quanto è grande il verde, come è bello il mare, quanto dura una stanza”».

 

 

Sembra tutto bellissimo. 

«A volte vinceva la noia. O la frustrazione. Una sera, io ero già cresciuto, eravamo a casa dei miei zii, sempre a Portobello. Avevano ospiti, una famiglia altolocata. Al centro del tavolo c’era una bottiglia di champagne, e tutti bevevano a canna, mentre giocavano a carte. Approfittando di una pausa, io e Massimo Bubola abbiamo fatto sparire la bottiglia e ci abbiamo pisciato dentro. Poi l’abbiamo rimessa a tavola. Pensavo che a bere per primo sarebbe stato mio padre.

 

FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE 2

Pregustavo la sua faccia. Quando uno degli ospiti, il più vecchio, prese la bottiglia, mi venne male. Con incredibile signorilità, disse: “Strano, questo champagne sembra piscio”. Mio padre, preso dal gioco, non disse niente. Poi, una volta a casa, ebbe come un’illuminazione e urlò: “Chi ha pisciato nello champagne?”. Io, coraggioso come il più coraggioso dei soldati, risposi: “Massimo, è stato Massimo”. Mio padre si precipitò fuori con l’intenzione di uccidere Bubola»

 

Tra pochi giorni parte un nuovo tour, dove rilegge in chiave rock un album fondamentale nella discografia di suo padre, Storia di un impiegato. 

FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE 1

«Non è solo la rilettura di un disco, ma anche la riscrittura di un sogno. Quello del Sessantotto e di chi credeva che sopra le barricate ci fosse il domani. Storia di un impiegato uscì nel 1973 e portava in scena la voglia di dialogo, ma anche la contrapposizione tra realtà e fantasia, tra potere e anarchia. Da un lato l’urgenza di comandare, dall’altra il sogno degli indiani d’America che poi diventano indiani metropolitani.

 

Quel sogno resiste, anche se abbiamo fatto di tutto per massacrarlo. Ci hanno tolto tutto, ma non la voglia di sognare e di cercare la bellezza, la poesia, il futuro. Se quella generazione e anche quelle successive sono state sconfitte è per colpa nostra, non dei nostri nemici. Fino a quando abbiamo pensato che bastassero gli ideali siamo riusciti a resistere, quando ci siamo accorti che in mano avevamo solo la droga è iniziato il declino. La droga ci ha rincoglionito, tolto energia. Non parlo per sentito dire. Ci sono passato».

FABRIZIO DE ANDRE

 

In che modo ha cambiato abito alle canzoni?

«È un’opera rock, così la vedo io. Le canzoni di mio padre sottoposte a una terapia d’urto che lega Mozart e Pink Floyd, Radiohead, Bjork e C?ajkovskij. Un concerto elettronico per rock e ricordi. Non mi interessa il copia e incolla. Voglio prendere le canzoni di mio padre e portarle altrove, il più lontano possibile. Con il massimo rispetto, ovviamente. Non è un omaggio, è un passaggio di testimone. C’è un altro De André che canta De André»

 

Che cos’è il palco, per lei?

«Il luogo dove, se riesco prima a perdermi, poi riesco a trovare la mia parte migliore».

E l’arte?

«L’arte, quando è perfetta, varca i tempi, li taglia. Spero che il nuovo governo capisca che l’arte è il nostro passaporto per la bellezza. Berlusconi e Renzi hanno fatto a pezzi la cultura, non sono stati in grado di capirla e proteggerla».

 

Immagino che la sua canzone preferita dell’album sia Verranno a chiederti del nostro amore.

FABRIZIO DE ANDRE

«Sono anche molto legato a Canzone del padre. Quando la canto, immagino di cantarla a mio padre, o che sia lui a cantarla a me. Ma, certo, Verranno a chiederti del nostro amore mi colpisce ogni volta come un machete. E mi riporta indietro a quella notte. Dormivo con mia madre, perché mio padre doveva lavorare. Alle cinque del mattino, lui viene a svegliarla. “Ho scritto una canzone per te”. Mia madre lo segue in salotto e mio padre le canta alla chitarra Verranno a chiederti del nostro amore. Io, che spiavo da dietro la porta, vedo mio padre emozionarsi e mia madre piangere. Non dimenticherò mai quel momento. E quei versi, “continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?”, sono i più belli che mio padre abbia mai scritto. Soprattutto, i più adatti a descrivere la mia vita. Ho smesso da un po’ di farmi scegliere».

 

Chi è stato, per lei, l’artista Fabrizio De André? 

FABRIZIO DE ANDRE

«Mio padre aveva il dono sublime di scrivere canzoni legate al loro tempo, ma anche atemporali. Raccontavano la cronaca e il presente, ma si proiettavano nel futuro. Nessun brano che ha scritto può considerarsi datato. Gli arrangiamenti sono vecchi, ma le canzoni no. Mio padre era un futurista. Sognava il domani, lo vedeva. E a volte nemmeno se ne accorgeva. Così come, a volte, non si accorgeva di me».

CLELIA PETRACCHI E FABRIZIO DE ANDREBEPPE GRILLO SI SPOSA CON PARVIN TADJK E FABRIZIO DE ANDRE TESTIMONE FABRIZIO DE ANDRE CARLO MARTELLO FABRIZIO DE ANDRE FABRIZIO DE ANDRE E PAOLO VILLAGGIO FABRIZIO DE ANDRE PAOLO VILLAGGIO FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE FABRIZIO DE ANDRE

 

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