CHE ROTTURA DI TALK - LA PROVOCAZIONE DI MINOLI: OSPITI SCELTI IN BASE AGLI ASCOLTI - FACCI: ''PROPOSTA OSCENA. COSÌ AVREMO LA PARIETTI CHE DISCUTE DELLA GRECIA ASSIEME A MALGIOGLIO''
Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Giovanni Minoli ha fatto una discreta analisi del talkshow all’italiana e, per migliorarli, ha fatto una proposta oscena benché travestita da «provocazione». In pratica ha scritto, sul Sole 24 Ore, che gli ospiti politici andrebbero invitati in base agli ascolti che fanno (unico criterio) e che andrebbero pagati di conseguenza.
Prima di imbracciare il fucile a pallettoni, ora, vediamo come Minoli arriva a questa conclusione, e si perdoni la sintesi. Minoli dice che i talk ormai sono la tomba del confronto, ammazzano il dialogo anziché favorirlo, la tv ha vinto, le parole sono proiettili, c’è solo immagine e show, niente talk, oltretutto la cosa è molto più scientifica e «scalettata» di quanto possa sembrare.
Ed è palesemente così: vince il canaio, basta una battuta da idioti per sgretolare eroici «ragionamenti» e per finire sulle home page più lette; i conduttori fanno quel che vogliono, dirigono il traffico, svoltano, fingono, tutto col sottinteso che gli ospiti accetteranno la loro parte in commedia e che pur di apparire se ne starebbero su una gamba sola con uno scolapasta in testa.
È questo a tenere in piedi questa proliferazione degenerativa: le tv regalano notorietà, e gli ospiti, sempre più scadenti e proni alla palestra del battibecco, bene o male si prostrano: altrimenti non li inviteranno più. È qui, per tagliare la testa al toro, che Minoli fa la sua proposta oscena: visto che quella degli editori televisivi è una mera logica di mercato (più l’ospite fa ascolti e più viene invitato) allora si stabilisca un tariffario proporzionale all’auditel e non se ne parli più. Ecco. Fate vobis: ma non so se è chiaro che cosa significherebbe.
Già latitante, la politica sparirebbe del tutto e il proscenio verrebbe occupato dalle parietti, dai paolo crepet, dagli sgarbini, e veline, renzine, olgettine, e ancora - peggio mi sento - un sacco di giornalisti che ormai sono sovrapponibili ai politici per faziosità ma perché spesso parlano meglio.
L’infotainment rinuncerebbe all’info una volta per sempre: resterebbero solo le contaminazioni e cioè il canaio, il parolaio, la satira, le battute, le scenate, i filmati dei comici, la lacrima facile, insomma tutta la spazzatura che tutti fingono di disprezzare salvo prendere i popcorn perché incomincia lo spettacolo.
Dopodiché, se non disturba, ci sarebbero due o tremila cose da aggiungere. Una è questa: c’è il rischio che a furia di dopare l’informazione con l’intrattenimento (risse programmate, fiction, doppiaggi, piazze virtuali, scenografie improbabili) la gente alla lunga possa preferire gli originali, e cioè le fiction o i film o un varietà.
Inoltre la ricerca degli ascolti (che molti politici scambiano per consenso) potrebbe portare la classe politica a blandire ancor di più l’elettorato, cioè a carezzarlo per il verso giusto e ad abbassare l’asticella delle cazzate: sino a fargli credere - complici la demagogia e certo grillismo - che la vita degli italiani sia risolvibile interamente dai politici.
Ancora: non c’è da fare solo discorsi popperiani, esistono anche le responsabilità individuali e prettamente italiane, per esempio. C’è tutta una generazione di conduttori - che poi è la mia - che è cresciuta perpetuando il bipolarismo cretino che a parole si diceva di voler combattere. Opinioni precotte e manichee, posizioni articolate e «terze» concesse solo agli ultrasessantenni, divismo di conduttori ebbri di se stessi e che non t’invitano (più) se osi criticarli sul serio o ti ribelli ai maltrattamenti.
Calcolando poi che il palinsesto di Rai-Mediaset-La7-Sky necessita di circa un centinaio di ospiti nel giorno medio, il teatrino che si crea è devastante: ospiti soggetti a vere e proprie mode, altri che saltabeccano da un programma all’altro e mezze calzette che fanno le preziose, veti incrociati dei conduttori (chi va ospite da Tizio non può andare da Caio) o anche degli ospiti (se invitate Caio io non ci vengo) in un delirio generale di vanità catodica. Marco Travaglio descrisse con grande efficacia la genìa dei «figuranti da talk show, marionette senza sangue che s’incazzano e si placano a comando, poi vanno a farsi due spaghi insieme».
Tutta roba che persino quel cretino del telespettatore alla lunga percepisce. Chiosa finale: al Festival del giornalismo di Perugia, in aprile, feci la figura del marziano perché spiegai che negli Stati Uniti i talkshow (politici) praticamente non esistono: vanno in onda solo la domenica mattina e questo perlomeno nelle tv generaliste, cioè le nostre Rai e Mediaset e La7; invece nelle tv a pagamento i talkshow politici vengono trasmessi a ciclo continuo, anche se durano un’ora - non quattro - e gli ascolti contano relativamente.
Insomma, il perfetto contrario che da noi: negli Usa le tv generaliste trasmettono telefilm e intrattenimento (Late show) e quelle a pagamento trasmettono tutta l’informazione che si vuole, peraltro con faziosità dichiarate e poche cerimonie di equidistanza. È un modello, quello statunitense? Non so, ma il rischio è quello che alla fine, come sempre, da noi si finisca per adeguarsi con ritardo: per anni l’anomalia Berlusconi ha sbalestrato gli equilibri - lo ricordava anche Minoli nel suo articolo di ieri - e però ora, come scusa, non basta più.
CRISTIANO MALGIOGLIO TRA I MASCHIONI
Le nostre tv generaliste ci ammorbano tutto il giorno con la cosa che i talkshow perdono ascolto, e che - dice l’Auditel - hanno stufato: strano, eh? Dicono che li trasmettono per mere ragioni economiche: ma allora occhio, perché, per le stesse ragioni, potrebbero sparire in blocco. O diventare un’altra cosa: con la Parietti che discute della Grecia assieme a Cristiano Malgioglio.