IL NOSTRO TOM WOLFE? ORIANA FALLACI - QUEI RACCONTI A STELLE E STRISCE DELLA SCRITTRICE TRA PISTOLE, STAR E CAPELLONI - PASOLINI A NEW YORK LE DISSE: “LA RIVOLUZIONE NON È IN CINA, NÈ IN RUSSIA: LA SINISTRA PIÙ BELLA CHE UN MARXISTA OGGI POSSA SCOPRIRE E’ IN QUESTA TERRA”
1. PISTOLE, STAR E CAPELLONI IN VIAGGIO CON ORIANA SULLE STRADE D'AMERICA
Alessandro Gnocchi per "il Giornale"
C'era da sospettarlo, e infatti... Anche l'Italia ha avuto il suo Tom Wolfe, Gay Talese, Hunter S. Thompson. Vale a dire un cronista capace di raccontare i fatti di costume con le armi stilistiche della narrativa. Oggi, pomposamente, questo genere è definito non-fiction, all'epoca, gli anni Sessanta, era «solo» (nuovo) giornalismo.
Il nostro Tom Wolfe si chiamava Oriana Fallaci come dimostra Viaggio in America (Rizzoli, pagg. 306, euro 19), raccolta dei reportage dagli Usa pubblicati sull'Europeo tra il 1965 e il 1967. Nulla di inedito ma la possibilità di leggere questi articoli uno di fila all'altro cambia, anche piuttosto radicalmente, il profilo della Oriana pre-Vietnam. Tanto americana quanto italiana, nonostante lo splendido italiano in cui scriveva.
Perfino le fonti d'ispirazione sono spesso a stelle e strisce: inequivocabile il richiamo, a esempio, a certi racconti di John Cheever. La Fallaci descrive le «stranezze» degli Usa comprandosi una pistola per corrispondenza. Ritrae dal vivo l'intero star system hollywoodiano: Frank Sinatra, Warren Beatty, Liza Minnelli, Liz Taylor, Richard Burton, Roger Vadim, Jane Fonda... Fotografa una specie in rapida mutazione, i teenager, con un occhio clinico davvero alla Tom Wolfe: siamo un minuto prima della rivoluzione sessuale, dell'esplosione dei movimenti studenteschi, dell'avvento dei «capelloni».
Scrive uno spassoso reportage on the road, cronaca di un viaggio attraverso la provincia americana in compagnia della amica Shirley McLaine: non sarebbe dispiaciuto a Hunter S. Thompson. Il tono è leggero, divertito. La Fallaci si mette sempre in scena, entra come personaggio, talvolta come protagonista, nelle vicende narrate.
L'ultimo articolo è del giugno 1967. A novembre la Fallaci sbarcherà a Saigon, e inizierà un'altra storia, ancora più importante. Ora però, grazie a Viaggio in America, vediamo con chiarezza che i servizi dell'inviata di costume occupano un posto unico nella storia del giornalismo e della letteratura italiana.
FOTO DI ORIANA FALLACI DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE DA L ESPRESSO
2."PASOLINI SEDOTTO DA NEW YORK COME TUTTI I VERI COMUNISTI"
Estratti del libro di Oriana Fallaci pubblicati da "il Giornale"
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo uno stralcio di Un marxista a New York tratto da Viaggio in America (Rizzoli, pagg. 306, euro 19) di Oriana Fallaci, uscito per la prima volta sull’ Europeo del 13 ottobre 1966
New York, ottobre. Eccolo che arriva: piccolo, fragile, consumato dai suoi mille desideri, dalle sue mille disperazioni, amarezze, e vestito come il ragazzo di un college. Sai quei tipi svelti, sportivi, che giocano a baseball e fanno l'amore nelle automobili.
FOTO DI ORIANA FALLACI DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE DA L ESPRESSO
Pullover nocciola, con la tasca di cuoio all'altezza del cuore, pantaloni di velluto a coste nocciola, un po' stretti, scarpe di camoscio con la gomma sotto. Non dimostra davvero i quarantaquattr'anni che ha. Per ritrovarli, quei quarantaquattr'anni, deve andare verso la finestra dove la luce si abbatte spietata sul viso e schiaffeggia quegli occhi lucidi, dolorosi, quelle guance scarne, appassite, la pelle tesa agli zigomi fino a rivelare il suo teschio.
Per la stanchezza, suppongo. La notte scappa agli inviti e se ne va solo nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn, oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando l'America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i suoi gusti, e all'albergo in Manhattan torna che è l'alba: con le palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d'essere vivo.
FOTO DI ORIANA FALLACI DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE DA L ESPRESSO
Siamo in molti a pensare che se non la smette ce lo troviamo con una pallottola in cuore o con la gola tagliata: ma è pazzo a girare così per New York? È a New York da dieci giorni. È venuto pel festival cinematografico, vi davano due dei suoi film. Sono proprio curiosa di saper se l'America piace a questo marxista convinto, a questo cristiano arrabbiato, insomma a Pasolini.
Piove, è una di quelle giornate in cui tutto ti irrita, ti nega entusiasmo. Ma lui beve con gusto la sua Coca-Cola e d'un tratto esclama: «Vorrei aver diciott'anni per vivere tutta una vita quaggiù». «Quaggiù?! A New York?» «È una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non esser venuto qui molto prima, venti o trent'anni fa, per restarci.
Non mi era mai successo conoscendo un Paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. L'Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, una evasione. New York non è un'evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent'anni. Lo capii appena arrivato».
ORIANA FALLACI A CAPE KENNEDY POCHI GIORNI PRIMA DEL LANCO DELL APOLLO 11 (1969)
L'America è proprio una donna fatale, seduce chiunque. Non ho ancora conosciuto un comunista che sbarcando quaggiù non abbia perso la testa. Arrivano colmi di ostilità, preconcetti, magari disprezzo, e subito cadon colpiti dalla Rivelazione, la Grazia. Tutto gli va bene, gli piace: ripartono innamorati, con le lacrime agli occhi. Sì o no, Pasolini? Lui scuote le spalle, sdegnoso.
«Io sono un marxista indipendente, non ho mai chiesto l'iscrizione al partito, e dell'America sono innamorato fin da ragazzo. Perché, non lo so bene. La letteratura americana, tanto per fare un esempio, non mi è mai piaciuta. Non mi piace Hemingway, né Steinbeck, pochissimo Faulkner: da Melville salto ad Allen Ginsberg. L'establishment americano non ha mai potuto conciliarsi, ovvio, con il mio credo marxista. E allora? Il cinema, forse.
Tutta la mia gioventù è stata affascinata dai film americani, cioè da un'America violenta, brutale. Ma non è questa America che ho ritrovato: è un'America giovane, disperata, idealista. V'è in loro un gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti, realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa. Anche i ricchi, anche quelli che hanno nelle mani il potere.
Il vero momento rivoluzionario di tutta la Terra non è in Cina, non è in Russia: è in America. Mi spiego? Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest, e avverti che la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l'operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto.
Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista, oggi, possa scoprire. Ho conosciuto i giovani dello Snic, sai gli studenti che vanno nel Sud a organizzare i negri. Fanno venire in mente i primi cristiani, v'è in loro la stessa assolutezza per cui Cristo diceva al giovane ricco: Per venire con me devi abbandonar tutto, chi ama il padre e la madre odia me.
Non sono comunisti né anticomunisti, sono mistici della democrazia: la loro rivoluzione consiste nel portare la democrazia alle estreme e quasi folli conseguenze. M'è venuta un'idea, conoscendoli: ambientare in America il mio film su san Paolo. Voglio trasferire l'intera azione da Roma a New York, situandola ai tempi nostri ma senza cambiar nulla. Mi spiego? Restando fedelissimo alle sue lettere. New York ha molte analogie con l'antica Roma di cui parla san Paolo. La corruzione, le clientele, il problema dei negri, dei drogati. E a tutto questo san Paolo dava una risposta santa, cioè scandalosa, co