dario fo feltri

1. VITTORIO FELTRI ATTACCA MARIO CALABRESI: "IL DIRETTORE DI ''REPUBBLICA'' RISERVA PEANA A DARIO FO MA ALMENO DUE RIGHE PER RICORDARE IL PAPÀ AMMAZZATO DA LOTTA CONTINUA SU ISTIGAZIONE ANCHE DEL NOBEL AVREBBE AVUTO L'OBBLIGO MORALE DI SCRIVERLE'' 2. SERRA ATTACCA FELTRI, SALLUSTI, TRAVAGLIO: " I GIORNALI DI DESTRA HANNO INFIERITO SUL CADAVERE DI DARIO FO. "IL FATTO" HA INTESO SPENDERE IL SUO NOME MONOSILLABO COME UNO SPIRITOSO BONUS “LAST MINUTE” PER LA SUA CAMPAGNA REFERENDARIA''

FELTRIFELTRI

1. LO SMEMORATO DELLA REPUBBLICA

Vittorio Feltri per Libero Quotidiano

 

Premettiamo che non siamo animati da rancore, un sentimento faticoso da coltivarsi. Chi ha da fare non ha tempo per odiare alcuno, al massimo dice una battuta scherzosa sulle persone che non stima. È esattamente il nostro intento mentre scriviamo queste note. Dario Fo è morto a novanta anni e oltre. Succede a tutti di concludere la propria vita, succede a pochi di arrivare a una età così avanzata. È un privilegio raro tirare le cuoia quando si è ancora lucidi.

Il Nobel l' ha avuto. Beato lui.

 

DARIO FO DARIO FO

 

Ieri i giornali gli hanno tributato ogni onore possibile e immaginabile. Si sono lasciati andare a elogi esagerati e si sono ben guardati dal muovere critiche al guitto, la cui esistenza è stata ricca di incidenti.

 

Non importa che abbiano minimizzato la sua giovanile adesione alla Repubblica sociale di Salò. In fondo anche i nostri padri, almeno il mio, sono stati fascisti fino alla morte del Duce e anche dopo. Giorgio Albertazzi, come Fo, indossò orgogliosamente la camicia nera. Ma non ne fece mai mistero, ne parlava con sereno distacco senza rinnegare il suo tumultuoso passato. Dario invece sorvolava. Guai a ricordargli ciò che era stato. Forse se ne vergognava. Gli uomini non sono tutti uguali. E anche Mario Calabresi non è molto uguale, sia pure per ragioni diverse.

mario calabresi massimo giannini ballaro  mario calabresi massimo giannini ballaro

 

pagina-lotta-continua - delitto luigi calabresipagina-lotta-continua - delitto luigi calabresi

Il direttore di Repubblica ha lasciato che il quotidiano da lui diretto sbrodolasse sulla presunta grandezza del Nobel, al quale ha infatti dedicato pagine e pagine non di inchiostro ma di saliva, trasformandolo in una sorta di eroe della patria culturale.

 

Non ci sarebbe problema, se non fosse che Calabresi non è un orfano qualunque, ma figlio del commissario Luigi Calabresi assassinato da Lotta Continua molti anni orsono, dopo che Dario Fo ne aveva sollecitato l' eliminazione in un comunicato storico sottoscritto da una folla di intellettuali, veri o presunti, ovviamente tutti filo-comunisti.

 

DARIO FO FRANCA RAMEDARIO FO FRANCA RAME

Ora si sa che il tempo è medico e che la memoria è corta, per cui capisco che Calabresi abbia glissato sui misfatti di Fo e gli abbia riservato comunque smisurati peana sul proprio foglio. Ma c' è un limite oltre il quale non doveva andare.

 

Almeno due righe per ricordare il papà ammazzato su istigazione anche del Nobel egli avrebbe avuto l' obbligo morale di scriverle. Invece non lo ha fatto. D' accordo che la carriera è fondamentale, ma lo è anche la dignità. Quella dignità che Adriano Sofri, condannato per il delitto del commissario, ha dimostrato di possedere dimettendosi da Repubblica il giorno stesso in cui l' orfano ne assunse la guida. Grande Sofri, piccolo Calabresi.

IL LUOGO DELL OMICIDIO DI LUIGI CALABRESI IL LUOGO DELL OMICIDIO DI LUIGI CALABRESI

 

2. IL PREZZO FINALE PAGATO ALLA BRUTTA POLITICA

Michele Serra per la Repubblica

 

Che differenza c’è tra Mistero buffo e Soccorso rosso? Che tra duecento anni Mistero Buffo potrà essere rivisto, in ologramma tridimensionale, come un capolavoro fuori dal tempo: un classico, come il Ruzante o Molière o Chaplin o Arlecchino o Keaton. Mentre Soccorso rosso, tra duecento anni, sarà solo l’istantanea sfocata di un invecchiatissimo, dimenticabile momento della storia italiana.

 

michele serramichele serra

Alla notizia della sua morte la prima cosa che ho pensato — conoscendo il mio paese, i suoi umori e i suoi media — è che il Fo artista avrebbe pagato un pesante pegno al Fo politico. Facile profezia: un paio di quotidiani di destra, la nostra povera incurabile destra che spregia il culturame per conclamato inferiority complex, hanno infierito sul cadavere (non rendendosi conto che anche da cadavere la sua stazza rimane fuori misura per il loro piccolo metro);

 

il “Fatto” ha inteso spendere il suo nome monosillabo come uno spiritoso bonus “last minute” per la sua campagna referendaria; molti altri hanno scelto, come primissima forma di commiato, di rinfacciargli le sua tante prese di posizione politiche, quasi tutte riconducibili — le intelligenti e le meno — a un estremismo irriducibile, costante nel tempo e molto generoso: si spesero assai, Fo e la Rame, dando colpi a destra e a manca e ricevendone, come è noto, di terribili.

 

dario fodario fo

Intendiamoci, pochi artisti sono stati politici come Dario Fo. Era politico il suo teatro, politici i suoi testi, politico il suo corpo di attore che voleva farsi strumento del popolo indomito e ribelle; è stato politico il suo iter televisivo (difatti censurato, non dovendosi parlare, nell’Italia democristiana, di operai caduti dalle impalcature); iperpolitico il suo rapporto con il pubblico: negli anni Settanta la Palazzina Liberty era al tempo stesso un teatro e una animata, fumosa sede dell’estrema (estremissima) sinistra milanese, e molti degli spettacoli di Dario e Franca avevano l’alea, e spesso l’andamento, dell’assemblea di compagni, con comizio prima e dopo.

 

Ma si può essere agitatori politici e artisti miserabili; e agitatori politici e artisti grandi (allo stessissimo modo l’essere cittadini moderati o conformisti o addirittura tartufi non ha impedito a molti scrittori la grandezza letteraria: Manzoni, per rimanere nella Milano di Fo, ci dice qualcosa; Piero Chiara, quasi compaesano di Fo, anche). Radicalismo, provocazione, avanguardismo sono una potente benzina dell’arte, anche se non la sola; ma nessuna benzina, comunque, garantisce di arrivare alla meta, se non sai guidare. Ognuno di noi — specie in quegli anni, ma anche questi non scherzano — ha conosciuto moltitudini di giovanotti e giovanotte convinti che gridare “il potere fa schifo” li promuovesse automaticamente all’arte. Con risultati penosissimi.

 

IL FATTO DARIO FOIL FATTO DARIO FO

Anche Fo pensava che il potere facesse schifo, lo ha pensato fino alla fine, lo ha pensato quasi pavlovianamente, ed è per questo — per continuare a sentirsi “fuori dal sistema”, dunque per lui al sicuro — che negli ultimi anni gli piacevano i ragazzi di Casaleggio e Grillo, che l’avevano ricambiato con entusiasmo, adottandolo come un nonno illustre.

 

Ma sul palcoscenico è poi la maniera di dirlo, che il potere fa schifo, a fare la differenza, a fare di Dario Fo Dario Fo. Sono l’acume, la destrezza, la fantasia, la padronanza linguistica, la cultura, il talento, lo studio. Il settarismo che può essere imputato al Fo militante scompare di fronte all’universalità di molto suo teatro.

 

La sproporzione tra la classicità (conquistata da vivo!) della sua maschera eloquente, del suo corpo scenico, e il gergo datatissimo di qualche vecchio volantino, rende arduo decifrare il nesso — che pure esiste, perché la persona è la stessa — tra il Fo di Soccorso rosso e quello di Mistero buffo. Ovvero tra un radicalismo politico sconfitto e un radicalismo artistico vittorioso, trionfante. Tra una rivoluzione perduta, quella politica degli anni Settanta, e una rivoluzione compiuta, quella del suo teatro.

DARIO FO FELTRIDARIO FO FELTRI

 

Ci sarà tempo e modo per ragionarci sopra, su quel nesso, e decidere se sia molto esile (come io credo) o più robusto e significativo. Ma ragionarci, però. Non con la fretta delle tifoserie. Non con l’astio dei reduci. E soprattutto partendo dal palcoscenico e non dal volantino, così come si fa per qualunque artista: è l’opera che rimane, l’opera che fa testo, il resto si dimentica, e quasi sempre è una fortuna.

dario fodario fo

 

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA ALL’ASSEMBLEA GENERALI HA DECISO IL VOTO DI UNICREDIT A FAVORE DELLA LISTA CALTAGIRONE? LE MANGANELLATE ROMANE RICEVUTE PER L’OPS SU BPM, L’HANNO PIEGATO AL POTERE DEI PALAZZI ROMANI? NOOO, PIU' PROBABILE CHE SIA ANDATA COSÌ: UNA VOLTA CHE ERA SICURA ANCHE SENZA UNICREDIT, LA VITTORIA DELLA LISTA MEDIOBANCA, ORCEL HA PENSATO BENE CHE ERA DA IDIOTA SPRECARE IL SUO “PACCHETTO”: MEJO GIRARLO ALLA LISTA DI CALTARICCONE E OTTENERE IN CAMBIO UN PROFICUO BONUS PER UNA FUTURA PARTNERSHIP IN GENERALI - UNA VOLTA ESPUGNATA MEDIOBANCA COL SUO 13% DI GENERALI, GIUNTI A TRIESTE L’82ENNE IMPRENDITORE COL SUO "COMPARE" MILLERI AL GUINZAGLIO, DOVE ANDRANNO SENZA UN PARTNER FINANZIARIO-BANCARIO, BEN STIMATO DAI FONDI INTERNAZIONALI? SU, AL DI FUORI DEL RACCORDO ANULARE, CHI LO CONOSCE ‘STO CALTAGIRONE? – UN VASTO PROGRAMMA QUELLO DI ORCEL CHE DOMANI DOVRA' FARE I CONTI CON I PIANI DELLA PRIMA BANCA D'ITALIA, INTESA-SANPAOLO…

donald trump ursula von der leyen giorgia meloni

DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...

pasquale striano dossier top secret

FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI PALAZZI E NELLE PROCURE, CHE IL TENENTE DELLA GUARDIA DI FINANZA, AL CENTRO DEL CASO DOSSIER ALLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (MAI SOSPESO E ANCORA IN SERVIZIO), POSSA INIZIARE A “CANTARE” – LA PAURA SERPEGGIA E SEMBRA AVER "CONGELATO" LA PROCURA DI ROMA DIRETTA DA FRANCESCO LO VOI, IL COPASIR E PERSINO LE STESSE FIAMME GIALLE. L’UNICA COSA CERTA È CHE FINCHÉ STRIANO TACE, C’È SPERANZA…