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DAGO-REPORTAGE DAL TEATRO LA FENICE - L'OPERA PUÒ ANCORA DIVERTIRE E FAR PENSARE, PROVA NE È IL "TANNHÄUSER" DI WAGNER IN SCENA IN QUESTI GIORNI: TUTTO IL DUETTO CON VENERE È UNA SCENA DI SESSO, DOVE GLI ACUTI CORONANO ORGASMI A RIPETIZIONE E LEI CANTA MENTRE LUI LE FA UN CUNNILINGUS. I TROVATORI SONO UNA RUDE GANG MOLTO MASCHILE CHE PRATICA RITI INIZIATICI ED ELISABETTA È MOLTO MENO SANTARELLINA DEL SOLITO...

Paolo Albiani per Dagospia

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L'opera come riserva indiana di stagionate madame impellicciate che dicono che ai loro tempi era tutta un'altra cosa, loggionisti sbraitanti perché non ci sono più le voci di una volta e ragazzetti dalla sessualità indecisa che strillano "Divìììììììna!" alla primadonna? Ma per favore. Fate un salto in questi giorni alla Fenice di Venezia e cambierete subito idea. L'opera può ancora divertire e, insieme, far pensare, che è poi la ragione per la quale è stata inventata.

 

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Oggetto della dimostrazione: il "Tannhäuser" del regista eversore Calixto Bieito (e anche un po' di Richard Wagner, volendo). Iniziamo dalla trama. Siamo nel deep Medioevo germanico e lui, il Tannhäuser (è un nome d'arte,  in realtà si chiama Heinrich) è un trovatore che si è stufato di cantare l'amore e si è messo a farlo, e con Venere in persona.

 

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È chiuso a far sesso full time dentro il Venusberg, che tradotto in italiano suona monte di Venere e indica un ben preciso dettaglio anatomico. Però, distrutto dal surmenage della ninfomane e un po' pentito, Tannhäuser decide di tornare nel mondo "umano", ritrova i vecchi amici cantautori e partecipa con loro a un concorso canoro nella Wartburg, la rocca del Landgravio di Turingia.

 

Nel secondo atto, assiste al festival di Sanremo anche Elisabetta, nipote del Landgravio, che ama appassionatamente Tannhäuser e, per uno di quei frequenti inghippi tipicamente operistici, è amata dal migliore amico di lui, Wolfram, un altro menestrello. Mentre tutti i trovatori petrarcheggiano cantando l'amore ideale, più sincero o meno ipocrita Tannhäuser intona l'inno scopereccio a Venere esaltando quello carnale. Grande scandalo, disperazione di Elisabetta, e Tannhäuser viene spedito in pellegrinaggio a Roma per lavarsi da coscienza.

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Terzo atto. Elisabetta prega per Tannhäuser, Wolfram canta alla luna, insomma tutti si disperano quando arrivano i pellegrini di ritorno da Roma. Fra loro c'è anche Tannhäuser che, in un breve monologo di una ventina di minuti buoni al termine del quale di solito il tenore sputa pezzi di polmone, racconta a Wolfram che effettivamente lui a Roma c'è andato mortificandosi e frustandosi, ma che il Papa in carica, evidentemente meno comprensivo di Bergoglio, non solo non l'ha perdonato, ma gli ha detto che Dio lo farà solo quando il suo bastone da pellegrino rifiorirà.

 

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Deluso nello spirito, Tannhäuser ha quindi deciso di soddisfare almeno la carne e vuole tornare da Venere. La dea riappare e sta già per riportarselo nel suo bordello montano quando giunge la notizia che Elisabetta è morta d'amore per Tannhäuser. Ed è subito miracolo: il bastone inizia a verdeggiare, risuonano cori celesti e l'eroe è redento, come sempre in Wagner a prezzo del sacrificio di una donna.

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Fin qui il "Tannhäuser" di Wagner. Quello di Bieito si svolge nel primo atto in una specie di foresta capovolta (il Venusberg come contrario del mondo "vero"), mentre nel secondo la Wartburg è un'architettura minimal fra Bob Wilson e Piacentini e nel terzo i due mondi si mescolano, dunque gli alberi a testa in giù spuntano fra le bianche colonne. Costumi ovviamente contemporanei, con Tannhäuser & Co. in felpa nella vita normale e in smoking per la festa, le signore più svestite che vestite.

 

Tutto il duetto fra Venere e Tannhäuser è una scena di sesso, dove gli acuti coronano orgasmi a ripetizione e lei canta mentre lui le fa un cunnilingus. I trovatori sono una rude gang molto maschile che pratica riti iniziatici (Tannhäuser viene accolto aspergendolo di sangue) ed Elisabetta è molto meno santarellina del solito.

 

Quando, alla gara canora, difende Tannhäuser dall'indignazione generale, i benpensanti diventano subito malfacenti e la stuprano o quasi. Finale "aperto", con Elisabetta che non muore ma assiste inebetita al rientro di Tannhäuser accanto a una Venere non meno basita di lei. Macché redenzione, macché sintesi del dissidio anima e corpo, macché sublimazione nell'arte delle proprie pulsioni sessuali. Finisce, questo Tannhäuser nichilista, con la sconfitta di tutti.

 

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Bieito era un tempo l'eversore numero uno della scena operistica internazionale, seguendo alle volte l'estatica del "famolo strano". Si ricorda una sua Traviata dove alla fine Violetta non moriva ma scappava con la cameriera con la quale aveva una relazione lesbica, o una Cavalleria rusticana dove alla processione di Pasqua il coro portava in giro dei ritratti di Ratzinger. Oggi Bieito è un classico, e fa spettacoli rigorosi, deputati, tecnicamente impeccabili e forti come questo. I quattro buuu! che si è preso dalla minoranza rumorosa erano ampiamente previsti e in ogni caso molto meno nutriti di quanto tutti si aspettassero.

 

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Parte musicale con una bella direzione di Omer Meir Wellber, un Wagner scorrevole, veloce, espressivo e non marmorizzato. Bella prova di Coro e Orchestra della Fenice. Fra i cantanti, almeno tre sono ottimi: l'Elisabetta di Liene Kinca, il Wolfram di Christoph Pohl e il Langravio di Pavlo Balakin. La Venere di Ausrine Stundyte è meglio come attrIce che come cantante, anche perché non è facile cantare con una testa di tenore in mezzo alle gambe. La testa in questione appartiene a Stefan Vinke, che strilla a tutto volume ininterrottamente per quattro ore, forte, sempre forte, fortissimamente forte. Non vorremmo essere le sue corde vocali.

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