MOSTRA E MOSTRI – “LA TRATTATIVA” DI SABINA GUZZANTI SBARCA A VENEZIA PER RACCONTARE COME FINIRONO LE STRAGI DEL ’92 – “NON SONO UN TRIBUNALE, HO RIPORTATO SITUAZIONI GRAVISSIME” - NAPOLITANO RINGRAZIA BARBERA E BARATTA…
Attilio Bolzoni per “La Repubblica”
sabina guzzanti nuovo film "la trattativa"
Il più buffo e sfuggente è il piccolo Ciancimino, Massimuccio, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Spericolato entra in tribunale per un interrogatorio, come in una farsa sorride ai pubblici ministeri che lo stanno per torchiare, incantato li guarda e li definisce «mitici ». Il più smemorato e stordito è l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, quello che brigava per non farsi giudicare in Sicilia ma altrove, lontano dall’isola. Nel giorno che viene nominato ministro degli Interni — è il 1° luglio 1992, otto giorni prima avevano fatto saltare in aria Giovanni Falcone — confessa candidamente: «Non lo conoscevo, io Borsellino non l’avevo mai visto ma gli ho stretto la mano».
sabina guzzanti nuovo film "la trattativa"
Il più sfrontato e anche il più astuto — come può esserlo solo un uomo d’onore siciliano — si rivela Francesco Di Carlo, boss di Altofonte e poi pentito. Dice che secondo lui Silvio Berlusconi «aveva sì il carattere adatto» per far parte di Cosa Nostra, poi però ci ripensa e sussurra: «No, ci vuole molta più serietà ».
Dopo di loro sfilano, muti o parlanti, funzionari di alto rango, mafiosi, generali, procuratori della Repubblica, assassini, spie, negoziatori e navigatori, frequentatori abituali di labirinti ministeriali. Ogni riferimento a fatti e a persone non è puramente casuale nel film La trattativa, scritto, diretto e interpretato da Sabina Guzzanti (con Ninni Bruschetta), che sarà presentato fuori concorso il 3 settembre al Festival di Venezia e uscirà nelle
sale a ottobre.
È la lunga cronaca dell’estate più infame di Palermo che s’intreccia con misteri di Stato passati e futuri, tutti gli avvenimenti ordinati con puntiglio uno dietro l’altro senza aggiungere o togliere nulla, senza mai lasciarsi sopraffare dalle vicende esclusivamente giudiziarie o nell’inseguire tesi di questo e quell’altro magistrato. I fatti, solo i fatti — spesso mai negati persino dagli stessi protagonisti trascinati davanti a una Corte d’Assise per rispondere di «attentato a corpo politico dello Stato» — raccolti in un’ora e 40 minuti che alla fine lasciano senza fiato.
Il film della Guzzanti comincia e finisce con una domanda seguita da altre due domande. Che cosa è la trattativa? Quello che ci hanno detto i mafiosi? O quello che non ci hanno detto i politici? Dice lei: «Mi sono chiesta come sarebbe l’Italia di oggi se quella trattativa non ci fosse stata, dopo le stragi del 1992 c’era la possibilità di cambiare e invece oggi noi abbiamo gli stessi imprenditori di trenta anni fa, abbiamo i rappresentanti del capitalismo più imbarazzante d’Europa e ancora le mafie più potenti d’Europa».
Le immagini scorrono e sullo schermo si alternano le battute e le facce di tutti i primi attori di questo grande affaire italiano, di una parte e dell’altra, accusatori e accusati, coinvolti e sconvolti, reticenti o indifferenti, ciascuno con la propria verità dichiarata o accuratamente nascosta. Ex ministri. E poi i magistrati di Palermo come Roberto Scarpinato e Alfonso Sabella, Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. E poi ancora mafiosi come Gaspare Mutolo e Maurizio Avola, Leonardo Messina e Gaspare Spatuzza («Io faccio la traduzione simultanea di quello che dice Graviano... «), tutti che portano un loro piccolo o grande «pezzo» in quella storia che è passata alla storia come l’ultima trattativa fra Stato e mafia a cavallo fra le bombe di Capaci e di via D’Amelio.
Il film prova (e ci riesce) ad allontanarsi dai binari dell’inchiesta giudiziaria e da quel processo di Palermo che tanta polemica ha attirato su di sé per raccontare semplicemente cosa è accaduto, circostanze ed episodi che si sono realmente verificati, legati da un filo rosso che parte dalla misteriosa cattura di Totò Riina e dal suo covo mai perquisito.
È il 15 gennaio 1993, dopo quasi un quarto di secolo il capo dei capi di Cosa Nostra viene finalmente arrestato ma i carabinieri dei reparti speciali del colonnello Mario Mori evitano di entrare là dentro e qualche giorno dopo lo lasciano svuotare da una squadretta di corleonesi. Proprio in questo punto del film non ci fa una gran bella figura l’ex procuratore capo della Repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli, che prima si lascia abbindolare dagli ufficiali del Ros e poi apre (quasi cinque anni dopo) ufficialmente un’indagine su quella mancata perquisizione.
Bruttissima la figura che fa invece un altro procuratore capo, quello di Caltanissetta, Giovanni Tinebra. È l’aprile del 1996, il boss Luigi Ilardo decide di collaborare e dice di non fidarsi di tutti quelli che ha davanti: «Parlo con Caselli ma con Tinebra no, se no ci ammazzano tutti e due». Passano otto giorni e Ilardo è cadavere su una strada di Catania. Solo in pochi sapevano della sua decisione. Tre magistrati e qualche ufficiale dei carabinieri.
RAGAZZI CON LE MASCHERE DI FALCONE E BORSELLINO jpeg
La riflessione di Sabina Guzzanti: «Non sono un Tribunale, non sono io che devo dire chi deve andare in galera e chi no, ho solo riportato situazioni di una gravità inaudita anche se non si sono mai accertate responsabilità penali».
Il film, che ha già acceso discussioni dopo soli due minuti di trailer e dopo l’apparizione di quel logo che raffigura lo stemma della Repubblica italiana con al centro — al posto della tradizionale stella — un uomo nero con coppola e lupara, entra nelle pieghe più oscure di un’Italia che da sempre sopravvive fra patti e ricatti. La trattativa spiega tutto con ordine. Chi vuole può capire, può anche intuire che i personaggi presentati non sono gli unici ad avere avuto a che fare con quegli accordi. Ci sono complici rimasti nell’ombra.
da sinistra antonino caponnetto con falcone e borsellino piccola