STEFANIA SANDRELLI SI RACCONTA ALLA VIGILIA DEL DAVID ALLA CARRIERA - "MORAVIA DICEVA CHE INCEDEVO SPARGENDO SESSO? NON CI HO MAI CREDUTO, POI VAI A SAPE’, TUTTO E’ POSSIBILE. CON GINO PAOLI LO FACEMMO IN SPIAGGIA, L’APOTEOSI DELLA SCOMODITA’" - L'AMORE MANCATO PER MANFREDI, LA NOTTE CON UNGARETTI, LE POLPETTE DI MASTROIANNI, L’AGLIO DI GASSMAN
Malcom Pagani per Vanity Fair
agenzia dufoto stefania sandrelli roma primi anni 60
Stefania Sandrelli, autoritratto: «Non ho mai saputo calcolare niente, sono tutta istinto. Un istinto bestiale. Mi sento un po’ un animaletto. Nel bene e nel male». Fuori si gela, il manto bianco si posa al di là delle finestre: «A Roma, nel ‘71 e nell’85, vidi nevicate clamorose fiondandomi in mezzo alla strada con i figli per giocare. Prendemmo gli slittini, facemmo i pupazzi, scattammo le fotografie» e non c’è ricordo che all’attrice sembri freddo:
«Ho una memoria selettiva, le cose brutte le ficco in fondo alla borsa e quelle belle, è come se le avessi tutte in fila qui davanti». Tra pochi giorni, premiata con il David di Donatello e omaggiata da una retrospettiva della Cinémathèque française a Parigi: «Ho diviso il tempo con Chabrol, Trintignant, Jean Becker, Alain Corneau che mi portava ad ascoltare Jazz con Simone Signoret e con Yves Montand che mi chiamava “La mia bella ragazza toscana”. La Francia è stato il mio piccolo piccolo posto al sole», la quiete sarà scossa dal viaggio, dalle valigie, dal repentino cambio d’abito. Il manifesto di un’esistenza intera.
Un bilancio dei suoi 72 anni?
stefania sandrelli e andrea delogu
«Sono andata a l’aventure e non ho mai avuto una sola ragione di pentirmene. Ho cercato sempre di giocare, di essere leggera, di propormi per quel che ero. Al cinema e nella vita».
Come mai?
«Forse perché non ho mai saputo giudicarmi davvero. Sono consapevole dell’unicità della mia carriera, ma ho sempre rifiutato di considerarmi unica. Mi piace condividere. Imparare. Vivo per sdrammatizzare. Sono nemica dell’enfasi, tendo a ironizzare su ogni cosa. Non a caso sostenevano fossi superficiale».
Nei prossimi giorni la celebreranno in molti luoghi.
stefania sandrelli saluta bernardo bertolucci
«Vabbè, ma se non lo davano a me, il premio, a chi lo davano? (Ride). Si vede che ho l’età giusta, che ormai ho il physique du rôle anche per questo».
Tra cinema e televisione, i film sono quasi 150.
«A Viareggio c’erano più cinema che chiese. Mio fratello Sergio, un omone di due metri, mi caricava sulle spalle e mi portava a vedere di tutto. Il mio primo film, un Dracula ambientato tra le dune versiliesi, lo girai a 12 anni. Con le confezioni di panettone rivestite di carta stagnola al posto dei riflettori e le spade di cartone, Sergio e Giuliano Vasilicò, il fratello della mia amica del cuore, pensavano al ciak, agli abiti, alle comparse».
Suo padre morì molto presto.
«Me lo ricordo in fondo alle scale ad aspettarmi, Otello. Gli volavo direttamente addosso, staccandomi quasi da terra, per atterrare tra le sue braccia. Mi chiamava “la mia donnina”. Mi ha sempre trattato da personcina consapevole, se non proprio come un’adulta. Quando andavamo a Firenze, per dire, prenotava una stanza tutta per me. Più che un padre è stato un compagno».
Sua madre?
«Detestava i capoccioni, i noiosi, quelli con la testa dura. In pistoiese stretto mi diceva: “Mamma mia che chiorba dura che ha quello lì, viverci sarebbe impossibile. Non era convinta che i miei sforzi valessero la candela: ““Oh Stefanina- mi diceva- ma tu sei proprio sicura di voler fare l’attrice?».
Lei aveva la testa dura?
«Non avevo la testa dura, ma ero determinata. Farmi cambiare programma era difficile».
Ha interpretato donne di tutti i tipi. Si mai è sentita femminista?
spilla del nastro d argento per la sandrelli
«Penso di sì, ma ho sempre sperato che esserlo non mi affaticasse troppo». (Ride)
Battute a parte?
«Dalle etichette sono sempre stata lontana. Ho affrontato il divorzio, il cambio del cognome e anche le lotte dell’epoca. Ma in lotta non si sono mai sentita».
Chi l’ha aiutata a non sentirsi in lotta?
«La mia famiglia, la mia curiosità, certi attori come Ugo Tognazzi incontrati al principio della corsa. Contestualmente a Gioventù di notte di Mario Sequi, il mio primo film, interpretai Il federale di Luciano Salce proprio con Ugo. Instaurammo subito un rapporto perfetto. Gli parlavo del mio ruolo, una ladruncola, un personaggetto di cui avevo ben compreso l’essenza e intanto nella pause gli leggevo il mio diario. C’era affetto. Ugo sapeva difendermi e averlo vicino mi spianò il percorso. Senza di lui avrei cominciato in salita».
stefania sandrelli con paolo virzi
È stato un grande attore?
«Avrebbe meritato l’Oscar. Che lui e Mastroianni non l’abbiano mai preso è un vero scandalo. Ma ha presente le scena del treno in cui Ugo, in Io la conoscevo bene, asservito al suo padrone, mima una locomotiva in piedi su un tavolo? Era una scena buffa e patetica che doveva far ridere e piangere. Ugo sale, muove le gambe al ritmo del treno, intrattiene gli astanti, supera il disprezzo della platea ricca, ignorante e strafottentes. E più va avanti, più è al limite del collasso. Però non si ferma, va fino in fondo, sfiora la morte. Alla fine è sudato, stravolto, felice. Io Ugo me lo ricordo così».
Ha conosciuto anche Mastroianni.
«Gli invidiavo l’imperturbabilità, l’equilibrio, l’intelligenza. Mi diceva che ero dolce, mi accarezzava con gli occhi, sorrideva con un’educazione timida che conosceva il senso del limite. Dicevano che fosse semplice e lo dicevano con un tonetto di superiorità insopportabile. Lo descrivevano come quello che mangiava le polpette sul set, come se il mondo interiore di Marcello finisse in quel piatto di polpette. Sa cosa credo?»
Cosa crede?
«Che non si possa prescindere dall’intelligenza neanche per mangiare le polpette. Marcello era sereno, pacificato, tranquillo. Si addormentava mentro lo truccavano e non ho mai capito come facesse. Io in pausa non sono mai riuscita a dormire in vita mia, non è la mia natura, tutt’al più rizzo un po’ le zampe».
stefania sandrelli di elisabetta catalano 1967
Com’è la sua natura?
«Segue da sempre un solo precetto: le cose si possono fare esclusivamente in due modi. O bene, o male».
Ha mai affrontato qualcosa con il piede sinistro?
«Con il piede sinistro, mai. Con Giancarlo Giannini lavorammo insieme a un film giallo al limite dell’horror intitolato La tarantola dal ventre nero. Sapevamo entrambi che non stavamo girando un’opera di Bertolucci e magari nelle pause ridevamo insieme dell’improbabilità della messa in scena, ma sul set ci impegnavamo come matti. Paolo Calvara, il regista, tra l’altro, era un gentiluomo con un gran senso dell’umorismo».
Altri gentiluomini?
stefania sandrelli di elisabetta catalano 1967
«Sergio Sollima, il padre di Stefano, aveva un’ironia che lo faceva nuotare sulle miserie della vita. Con lui giravi scenone magari toste alla quali ti accompagnava con leggerezza. Una volta avrei dovuto dare uno schiaffo a un ragazzino di sei anni. Doveva sembrare vero e forte, senza naturalmente metterne a rischio l’incolumità. Studiai come darlo con delicatezza per cinque giorni. A dare schiaffi sono diventata bravissima, do discreti ceffoni, ma non faccio male a nessuno».
Cos’ha conservato della giovinezza?
«La frenesia felice, che da bambina, quando mi divertivo, pur di non smettere di giocare, mi portava a trattenere la pipì per ore».
«Qui si parla di giovani, ma è un argomento vecchio!» diceva ne La terrazza di Ettore Scola.
stefania sandrelli sedotta e abbandonata
«E lo dicevo quasi strozzandomi perché non riuscivo a ingoiare un chicco di riso. Non so perché, ma sui set di Ettore ho sempre avuto qualche problema alimentare. Una volta dovevo baciare Gassman. Vittorio aveva mangiato l’aglio e aveva un fiato così intenso che dall’olezzo mi cadevano gli occhiali. Scola mi pregava di non farla tanto lunga e io rispondevo: “Se ti sembra così semplice provaci tu”».
Altri problemi alimentari?
«C’eravamo tanto amati fu un film lungo e faticoso, pieno di notti, di turni assurdi, di albe viste dalla roulotte. Una sera io e Gassman arriviamo come lupi sul set e troviamo gli avanzi di qualche cestino . Ci guardiamo intorno, ci assicuriamo di non avere occhi addosso e ci lanciamo sui resti di un polpettone. Risultato? Ricoverati d’urgenza in ospedale. A me i cestini garbavano, ma sui set si mangiava male. Un attrezzista un giorno mi disse: ““Signò, a forza di passà tutta la vita sul set m’è venuta la cestinite”».
Il cinema è stata una famiglia?
«Come ogni famiglia, il cinema ha i propri odori, le proprie complicità, i propri codici. Ho sempre cercato di essere disponibile, di non rompere mai le palle al regista in proiezione, di ridere con gli altri perché fare squadra è importante e ridere, anche nel dramma, è basilare».
Ha mai avuto paura di essere dimenticata?
«Mai. A casa mi chiamavano Mercurio e in fondo credo di essere stata davvero il termometro del cinema italiano. Ho indossato il mio mestiere come la scarpetta di Cenerentola. Anche nel periodo meno interessante della nostra cinematografia, ho accettato con entusiasmo i progetti che erano a disposizione, che mi divertivano e chi mi piacevano. Non ho mai discriminato, catalogato, osservato il resto del mondo dalla mia Torre d’Avorio. Per me non esistevano serie a, serie b o serie c, ma un unico grande campionato».
Quindi?
«Ho avuto culo. Sono stata fortunata. Ho incontrato gente delicata dall’animo femminile come Pietrangeli, o Comencini, maestri come Germi, Scola o Monicelli, musical viventi come Lina Wertmuller o ottimi professionisti come i Vanzina. E sono andata d’accordo con tutti perché sono stata sempre rapida a capire le persone che mi trovavo davanti».
In amore però è stata irrequieta?
«Ma quando mai? Ero molto esuberante, questo sì. Mi è piaciuto molto ballare».
Amori mancati?
«In senso lato, Manfredi. Era sposato con una mia amica e quindi non ci fu neanche un velato corteggiamento, ma tra i colonnelli del cinema italiano, Nino era quello che mi faceva ridere più di tutti. Manfredi era spiritoso, ma il suo umorismo conteneva anche una fatica. Una fatica che difendeva anche dalle critiche altrui»-.
Che tipo di critiche?
«Lo criticavano perché spesso si isolava, ma Nino dell’isolamento aveva profondo bisogno. Era estremamente diretto e possedeva una comicità che, generosissimo, spandeva a piene mani e si toccava fino a farti ridere a bocca aperta».
La sua prima volta è stata un’avventura felice?
«Mamma mia, se fosse stata infelice mi avrebbe rovinato la vita. Ero rapita, con la testa nelle nuvole. Quando arrivò Gino Paoli, il mio primo fidanzatino, çLuciano Del Fante, si arrabbiò moltissimo».
Il sesso è stato importante?
«Sostenevano che Moravia avesse detto che incedevo spargendo sesso, ma io non ci ho mai creduto. Poi vai a sapè, tutto è possibile. Comunque, per risponderle, non gli ho mai dato una collocazione e non ho mai preso il sesso per il sesso. Il sesso conteneva ogni cosa: la persona, il momento, l’occasione. Non sempre era comodo, il sesso. Con Paoli ci amammo in spiaggia. Fu bello comunque, ma rappresentò anche l’apoteosi della scomodità. La sfido a fare roba sulla sabbia, poi mi racconta».
Era consapevole di provocare uno stordimento nei maschi?
No, pensavo al mio. Dovevo stare attenta a non perdere la mia, di testa».
Che uomini l’hanno affascinata?
«Di tutti i tipi. Gli uomini sono dei bambinoni, vanno capiti e che abbiano un aspetto di puerilità non mi dispiace. Non potrei mai innamorarmi di qualcuno che non abbia uno spiccato lato infantile o che non sia inclina all’avventura. Mi ricordo il meraviglioso Ungaretti. Passammo una notte intera a parlare e io mi sentivo come un calzino bucato. Mi accompagnò al mio taxi e guardandomi andare via disse ridendo. “Devo andare in America”. “Adesso?” Madonna che meraviglia la vita, pensai.
Mario Ceroli la fece soffrire.
«L’ho amato molto. Brevemente, ma intensamente. Quando ho un’attrazione che sento essere fatale, mi butto sempre e non mi risparmio. Ceroli però era molto cerebrale, complicato e la cerebralità, in amore, è un deterrente totale. Con i tormentati, alla lunga, mi rompo le palle».
Definizione di amore?
«Una libertà nemica dell’egoismo. Una libertà che si prende il lusso di condividere. A volte l’amore è anche ombroso e se sei pronto, accogli anche le ombre. Qualcuno mi diceva che quando mi innamoravo ero tradita dal mio volto, mi sorridevano le gengive».
Il rapporto con il narcisismo altrui?
«A volte faticoso. Di uomini straordinari che erano un po’ civettoni ne ho incontrati tanti. Uno era Monicelli, uno a cui dell’amore importava- altrimenti non sarebbe stato un grande regista-e che non solo amava sedurre, ma anche essere sedotto. Mario era un bellissimo uomo e gli capitava di guardarsi allo specchio. Era civettone così come era civettone Germi a cui piaceva vestirsi da Cowboy».
È stato importante amare?
«Conosce quella frase orrenda? Del maiale non si butta via niente? Ecco, l’amore è così. È un maialino di cui non si butta via niente».
E l’attore?
«L’attore pascola per ore e il set spesso è un mercato delle vacche. Osservi, pascoli e attendi che qualcosa succeda».
Lei ha pascolato?
«Ho anche ruminato. E non di rado ho fatto dei fuori pasto notevoli».
stefania sandrelli non e stato mio figlio
Ha fatto pace con l’idea che il passato non tornerà?
STEFANIA SANDRELLI E GINO PAOLI
«Ho sempre avuto la certezza che il cinema fosse una creatura. È nato, è vissuto e quindi, alla fine della giostra, può pure morire chissà. Qualche cinema sta già chiudendo, ma che peccato, che dolore».
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