L’ECO DI MIKE - GRASSO RICORDA QUANDO UN FAMOSO EDITORE GLI CHIESE DI SCRIVERE UNA FENOMENOLOGIA DI UMBERTO ECO FIRMATA DA MIKE BONGIORNO: DOVEVA ESSERE UNA SORTA DI VENDETTA CHE IL CONDUTTORE VOLEVA PRENDERSI PER ESSERE STATO DESCRITTO COME LO ZIMBELLO DELLA CULTURA
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Per anni, un famoso editore mi ha chiesto di scrivere una Fenomenologia di Umberto Eco firmata da Mike Bongiorno. Doveva essere una sorta di piccola vendetta, un risarcimento che il conduttore voleva prendersi per essere stato descritto come la fodera invisibile della mediocrità, lo zimbello della cultura.
Mike ne soffriva, ma anche Umberto non voleva che i suoi studi sulla tv venissero identificati con la sola Fenomenologia, il suo saggio più citato.
Eco è stato il primo in Italia a dare una svolta internazionale agli studi sulle comunicazioni di massa. Giovanissimo era entrato in Rai nella pattuglia dei «corsari» (così erano chiamati i giovani che avevano seguito un corso di formazione voluto da Filiberto Guala) e avendo visto la tv dall' interno, riuscì a fare teoria basandosi su esperienze concrete, a cominciare da un memorabile saggio sulla diretta, Il caso e l' intreccio.
L' esperienza televisiva e l' estetica , in Opera aperta , Bompiani, 1962.
Per lui, la tv aveva unificato linguisticamente la penisola, là dove non vi era riuscita la scuola.
Lo aveva fatto nel bene e nel male. Aveva uniformato non con il linguaggio di Dante ma con quello di Mike, nel migliore dei casi con quello delle cronache sportive, del Festival di Sanremo, dei telegiornali. Si era trattato di un fenomeno di proporzioni enormi che aveva accelerato i ritmi della nostra vita sociale in maniera impressionante.
Da Opera aperta, appunto, a Diario minimo, 1963, ad Apocalittici e integrati , 1964, a La struttura assente, 1968, alle raccolte di saggi come Il costume di casa , 1973, Dalla periferia dell' impero, 1977, Sugli specchi e altri saggi, 1985, il discorso sulla tv ha trovato in Eco uno studioso di grande sensibilità, sempre in grado di fornire una vesta teorica alle minuzie e alle insidie dello schermo, e sempre attento alla coscienza critica dello spettatore. La sua idea di fondo era che per studiare la cultura di massa bisognasse arretrare lo sguardo, rifarsi ai filosofi e ai retori del passato, non farsi schiavizzare dalla contingenza.
Non sono stato un suo studente ma a Umberto devo molto. Fondamentale per me è stato il «Prix Italia» del 1972, dedicato alla critica televisiva e la cui relazione introduttiva era stata affidata proprio a lui. Riprendendo uno schema di Franco Fortini, Eco proponeva tre tipologie di «finalità culturali»: la critica normativa, la critica fiancheggiatrice o militante, la critica orientativa.
sabina ciuffini mike bongiorno
Nel tentare di definire alcuni criteri di teoria analitica e di metodologia critica (sia pure presi a prestito dal campo letterario), cercava di mettere ordine nelle idee che si avevano sulla tv, sulla remota possibilità che potesse essere oggetto di indagine «seria». Per la prima volta, si parlava di canone, di poetica, di «valore artistico dell' opera». Si tentavano i primi cauti discorsi sui generi, sull' estetica televisiva.
Rientra in questo clima l' espressione «estetica dei parenti poveri» coniata per dare conto dell' atteggiamento di estraneità intellettuale della cultura alta nei confronti dei prodotti dell' industria culturale (si discuteva molto allora di separazione tra élite, masscult e midcult e, nonostante l' attacco a Mike, Eco aveva promosso con decisione gli studi sulla cultura pop, dalla musica ai fumetti, dal kitsch ai consumi di massa).
In quegli anni ci fu anche una grande infatuazione per la semiologia, una fucina inesauribile di teorie sullo scibile umano cui era sufficiente cercare i «segni» per ratificarle. Eco ci credeva molto, altri meno.
Se la proverbiale diade «apocalittici e integrati» è diventata una di quei fortunati slogan che segnano le mode culturali (come «medium caldo, medium freddo», i «non luoghi» o la «società liquida»), la sua distinzione fra paleotv e neo tv ha caratterizzato tutti gli studi degli anni Ottanta sul mezzo (la si trova in Sette anni di desiderio, 1983).
Col tramonto del monopolio Rai, che aveva caratterizzato il panorama televisivo fino agli anni Settanta, Eco segnalava importanti trasformazioni linguistiche. Un primo aspetto di novità era la crescente autoreferenzialità della tv, che parlava sempre meno del «mondo esterno» e sempre più di se stessa e del proprio rapporto con lo spettatore, per costruire prove della propria verità esistenziale.
Nelle «Bustine di Minerva», pubblicate settimanalmente da «L' Espresso» ha scritto di talk show, di serialità, di audience. Appariva poco in video: «Un tempo il teleschermo era il luogo in cui per definizione vedevo volti eccezionali, ora è per definizione il luogo in cui vedo i volti più comuni possibili. Una volta la tv mi dava ciò che non avrei potuto vedere altrove, oggi mi dà ciò che posso vedere ovunque.
Apparire in tv vuole dire dunque condannarsi all' anonimato. Non vorrà che un uomo con le mie smodate ambizioni acconsenta a correre questo rischio». Ma a lui, a Tullio De Mauro e Piero Nelli si deve la realizzazione di una straordinaria inchiesta, Parlare leggere scrivere , 1973, 5 puntate sulla storia della lingua italiana dall' unità nazionale ai primi anni Settanta.