DOGOCRAZIA - MENTRE IL RAP DECLINA IN AMERICA, IN ITALIA TRIONFA CON I CLUB DOGO - IN CORSA PER GLI MTV EUROPE MUSIC AWARDS, HANNO PUBBLICATO IL TORMENTONE “PES” - STASERA AL FORUM DI ASSAGO A MILANO PER IL COMPLEANNO DI HIP HOP TV CON TRE GENERAZIONI DIVERSE DI RAPPER: TWO FINGERZ, PIOTTA, TORMENTO…

Paolo Emilio Russo per "Libero"

Guè Pequeno, nome d'arte di Cosimo Fini, è un rapper italiano. Nato nel 1980 a Milano, è voce dei Club Dogo, gruppo culto dell'hip hop in Italia, in corsa per l'Mtv European Music Awards, autore del tormentone dell'estate 2012: Pes. Guè, insieme al collega Jake La Furia e al beatmaker (novello sposo) Don Joe, rappresenta come pochi altri la stagione d'oro del rap. Cantante, conduttore televisivo, produttore, dopo dieci anni di gavetta è arrivato dove voleva.

Guè, l'altroieri ho beccato mio papà che canticchiava Pes. Qualche anno fa sosteneva che ascoltassi musica schifosa. Cosa è successo alla musica dei Club Dogo?
«Quando scopri tuo padre o il bambino piccolo o la signora che canticchiano un pezzo vuol dire che quella è «la» hit. Esistono diversi tipi di hit: c'è la hit internet, la hit per la strada... e poi c'è la hit hit. Ecco, Pes fa parte di quest'ultima categoria».

Il 2012 è l'anno d'oro del rap in Italia. Mai il genere aveva riscosso questo successo. Tanti artisti in classifica, tutti altissimi. Il tuo socio Jake La Furia rima: «Se non era per i Dogo in Italia finiva il rap». È merito vostro?
«Abbiamo pubblicato i primi album che ancora l'età dell'oro non si vedeva all'orizzonte. Era un periodo buio, anzi. Il nostro primo album ha portato un nuovo suono, liriche nuove; tutte cose che hanno consentito di allargare il pubblico del rap. Noi abbiamo certamente messo uno dei primi mattoni. Ma anche Fabri Fibra».

Hai una tua etichetta, TantaRoba, che ha prodotto due emergenti di successo come Fedez ed Ensi... Meglio cantare o investire su nuovi talenti?
«Continuo a divertirmi a fare il mio mestiere. Anzi, sono molto prolifico con le rime e, infatti, sto lavorando anche ad un nuovo disco solista (che segue Il ragazzo d'oro, ndr). Sono consulente artistico dell'etichetta che è di Dj Harsh e sono fiero di quel lavoro. Ora produrremo un altro artista, Salmo. Ma io sono un rapper».

Allevi i Dogo del futuro... Chi può essere l'erede?
«Lo dico senza falsa modestia: la nostra formula è inimitabile. Tra i giovani probabilmente quello che si avvicina di più al nostro stile è Emis Killa, anche se il suo disco prende direzioni musicali diverse. Non parlerei di Dogo del futuro. Sicuro ci sono molti talenti nuovi e finalmente c'è un ricambio, grazie al cielo».

Stasera siete sul palco del Forum di Assago a Milano per il compleanno di Hip hop tv con moltissimi altri rapper: Two Fingerz, Piotta, Tormento e decine di altri artisti rap. Almeno tre generazioni diverse. In Italia andate d'accordo, mica come negli Usa...
«C'è ancora qualche rapper old school che non accetta il successo degli altri, che pensa che i soldi che girano siano molti di più di quelli che realmente sono: magari, dico. Ma non sono cose importanti».

Non ci sono «dissing» (sfide in rima colme di insulti), però.
«Qualcuno c'è stato, per la verità. Ma non rispondo a rapper che non sono al mio - o al nostro - livello».

Il rap dei Dogo all'inizio è stato un rap politico. Col passare degli anni, come è successo a molti altri artisti, questa componente ha lasciato spazio a temi diversi, più leggeri: cosa è accaduto?
«È molto semplice: noi, contrariamente a quello che dicono, siamo molto sinceri. Quando ho scritto quei pezzi politici, di denuncia, avevo 20 anni ed ero un altro tipo di persona. Avevo più a che fare con quelle situazioni. Ora sarei un ipocrita se scrivessi quelle cose».

Hai letto delle ruberie di questi giorni: i consiglieri regionali che fanno la spesa con le carte di credito della Regione, le feste vestiti da maiali... C'è materiale per un pezzo, no?
«Non abbiamo mai abbandonato anche negli ultimi album l'analisi della società, le critiche a un sistema malato: di politici corrotti abbiamo scritto ripetutamente, nel 2006 avevamo pure previsto lo scandalo Vallettopoli. Non cambia mai nulla».

Insomma, oggi i veri gangster non sono i «gangsta rapper», ma i politici...
«Assolutamente sì. L'abbiamo scritto pure quello, in una canzone che si chiama proprio così: Qualcuno pagherà».

In Dogocrazia, il vecchio album, uno dei bersagli era Silvio Berlusconi. In Noi siamo il club il suo nome non compare. E nemmeno quello del successore, Mario Monti. Ti riconosci in questa politica?
«Pago le tasse, capisco i problemi. Ma quando qualcuno mi dice, il taxista o chiunque altro, che la colpa è tutta e solo di Monti, gli rispondo che la colpa è di tutti quelli che sono venuti prima di lui, da Bettino Craxi in poi».

 

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