IN “SORPASSO” DA 50 ANNI - CELEBRAZIONE AL MAXXI MUSEO PER IL CAPOLAVORO DI DINO RISI - DA ROMA AL MARE, DALLA PRIMA SPECULAZIONE EDILIZIA AI LIDI FAMILIARI IMBEVUTI DI PERBENISMO E CANZONETTE, QUANTA VOGLIA DI CORRERE A PERDIFIATO NEL BOOM ECONOMICO, PRESAGIO DI UNA LIBERTÀ SESSUALE ALLE PORTE, LONTANO DALLO SPETTRO DELLA GUERRA - CATHERINE SPAAK: “GASSMAN MI FACEVA SCHERZI TREMENDI. MI INSULTAVA, MI CHIAMAVA TROIA, PUTTANA”…
1- «UNA BELLA VACANZA»
Da "La Stampa" - «Una bella vacanza», così Dino Risi definiva la sua esperienza nel cinema, con il suo tipico understatement sarcastico. A quattro anni dalla sua scomparsa, il MAXXI rende omaggio l'autore de «Il sorpasso», «Una vita difficile», «I mostri», «Profumo di donna» e di tanti altri indimenticabili film-specchio dell'Italia dal dopoguerra a oggi, con il documentario a cura di Fabrizio Corallo «Una bella vacanza» realizzato da 3D Produzioni per Raitre in occasione dei 90 anni del maestro della commedia.
Al termine della proiezione, ieri all'Auditorium Parco della Musica, Risi è stato rievocato attraverso le testimonianze di attori, collaboratori e amici e con la proiezione di circa un quarto d'ora di brani inediti.
2 - ITALIA, DA MEZZO SECOLO IN SORPASSO
Fulvia Caprara per "la Stampa"
Sulla via Aurelia, da Roma al mare, dagli edifici anonimi della prima speculazione edilizia ai lidi familiari imbevuti di perbenismo e canzonette, c'era la voglia di correre. Una voglia matta che nasceva dall'eccitazione del boom economico, dal presagio di una libertà sessuale alle porte, dal mito di una vita più facile, lontana, finalmente, dallo spettro della guerra e dei suoi sacrifici: «Alle origini del «Sorpasso» - raccontava Dino Risi - ci sono due miei viaggi, con persone diverse, in epoche diverse.
Il primo, nel 1947, con un produttore milanese, l'avvocato Gigi Martello, col quale finii nel Liechtenstein, il secondo con il simpaticissimo organizzatore generale di Mario Cecchi Gori, Pio Angeletti... Feci con lui un viaggio da Roma a Maratea, in Calabria, per i sopralluoghi. Pessimo guidatore, sorpassi in curva, radio a tutto volume, esplorati cinque o sei ristoranti prima di trovare quello giusto. Fornito, diceva, di una memoria topografica di ferro, si rifiutava di consultare la cartina. Arrivati a notte fonda, non trovammo l'albergo e dormimmo in macchina, aspettando l'alba...».
Scomparso il 7 giugno di 4 anni fa, Dino Risi non ha mai amato le confessioni altisonanti, i toni elegiaci, le dissertazioni intellettuali, così la genesi del «Sorpasso», girato 50 anni fa, si riduceva, nei suoi ricordi, alla summa di alcuni semplici pezzi di vita. La verità è che in quel film, cronaca assolata del vagabondaggio di un cialtrone nullafacente (Vittorio Gassman) e di uno studente timido (Jean-Louis Trintignant), c'è il senso di un'epoca intera, restituito con la meravigliosa leggerezza che solo le opere d'arte sanno raggiungere.
Oggetto di infinite dissertazioni critiche, di libri, di rievocazioni, di rivisitazioni, «Il sorpasso» è entrato da tempo nel paradiso del grande cinema. Il Museo d'Arte Moderna di New York lo archivia tra i capolavori europei, Martin Scorsese lo considera da sempre il primo, vero «road movie», Dennis Hopper dichiarò più volte, a suo tempo, che il film era alla base del suo «Easy rider».
E se l'opera di Hopper è stata il manifesto dei mitici anni tra Sessanta e Settanta, la strada, il viaggio, le droghe, quella di Risi è la fotografia eloquente di un'Italia irripetibile, che oggi appare più che mai pittoresca, borghese ma ancora contadina, conservatrice ma anche desiderosa di scrollarsi di dosso vecchi moralismi.
Il paesaggio italiano su cui sfreccia, nel Ferragosto del 1962, la Lancia Aurelia Sport di Bruno, supercompressa e un po' ammaccata: «Del soggetto mi colpì - rievoca Mario Cecchi Gori nell'autobiografia «Pasta d'uomo» - oltre al racconto, ai personaggi, alle atmosfere, l'anelito dell'evasione: prendere una macchina di buona cilindrata, il più grande desiderio dell'epoca, e andare in giro così, senza quasi sapere dove.
A pranzo qui, a cena là , la notte in un altro posto, con l'ottimismo facilone e approssimativo di tempi liberi e fortunati dalle limitazioni e dalle costrizioni belliche e post-belliche. Specchio della spinta vitale che si avvertiva in quel tempo, frutto del boom economico, e in particolare del boom dell'auto, che finalmente era alla portata di molti».
Il regista e gli attori fecero il resto. Da Vittorio Gassman, scelto al posto di Alberto Sordi inizialmente designato per il ruolo («Lo scartammo perchè avrebbe dato al personaggio connotazioni da vigliacco che ne sviavano il significato»), a Jean Louis Trintignant, su cui Risi non aveva mai avuto dubbi: «Il lunedì lo feci arrivare da Parigi, per me era uno sconosciuto. Lo vidi e dissi subito: è lui. Timido, educato, il perfetto antagonista di Gassman, sbruffone, prevaricatore, estroverso».
L'alchimia c'era già . Poi si aggiunsero le canzoni, in vetta alle classifiche del tempo, Guarda come dondolo di Edoardo Vianello, Saint Tropez Twist di Peppino Di Capri, Vecchio frac di Domenico Modugno. E i luoghi, dalle spiagge vicine alla capitale al ristorante di Civitavecchia dove Gassman gusta la zuppa di pesce, da Santa Marinella, appena diventata meta vacanziera borghese, alla Versilia di Forte dei Marmi, dalla Viareggio dei locali alla moda come «La Bussola» a Castiglioncello dove la corsa si conclude.
Nel finale tragico, con l'auto che precipita sulla scogliera trascinando il passeggero più debole, predestinato dalla sua stessa natura, metafora dell'Italia perbene sconfitta dal rampantismo arrogante, Risi vedeva il motivo dell'affermazione dell'opera: «Quando Trintignant vide la pellicola finita - racconta il regista in «Maestro per caso» (Gremese) - rimase sorpreso. Non sapeva di aver fatto un film divertente, a parte il finale. Fu proprio quell'improvvisa frattura, credo, come quando muore qualcuno che si ama, a determinare il successo del film».
Un attimo, solo un attimo, di seria auto-analisi. Poi, come sempre, prevale l'ironia: «Sto attento quando guido scrive nella sua raccolta di massime -. Vedo il titolo: "Muore in un sorpasso il regista del Sorpasso"».
3 - CATHERINE SPAAK: UN SET DA INCUBO SUBIVO SCHERZI TERRIBILI...
Fulvia Caprara per "la Stampa"
Nel «Sorpasso» lei è Lilly la figlia di Bruno, fidanzata con un uomo molto più adulto. Che cosa la interessò di quel ruolo?
«Avevo letto il copione e avevo trovato la storia molto divertente, in più seppi che avrei lavorato con attori importanti, che conoscevo già , e questo naturalmente mi interessava. Avevo 17 anni, non è che potevano offrirmi parti diverse da quelle di una ragazzina».
Come andò sul set?
«Malissimo, soprattutto con Gassman, mi facevano scherzi tremendi... Io ero timidissima, la mattina alle 7, quando arrivavo sul set, dopo il trucco e tutto il resto, essere accolta in quel modo era molto faticoso».
Che cosa le diceva?
«Di tutto, mi insultava, mi chiamava troia, puttana...».
E lei come reagiva?
«Io non reagivo, ero paralizzata dal terrore, d'altra parte c'era tanta gente presente, il regista, gli attori, ma nessuno impediva che quella cosa accadesse. Era un'epoca diversa, il femminismo non era ancora nato, e sui set, in genere, le donne erano un'assoluta minoranza, un rapporto di tre a dieci. Molti attori si comportavano così, per esempio anche Jean-Paul Belmondo, però i suoi scherzi erano più buoni».
Tipo?
«Magari alla fine delle riprese prendeva il tubo dell'acqua e ti innaffiava, oppure ti metteva una puntina da disegno sulla sedia dove stavi per sederti».
E con Jean-Louis Trintignant come andò?
«Trintignant era una persona deliziosa, non si poteva che volergli bene, era introverso, rispettoso, un vero amico, non aveva nessuna delle caratteristiche comuni agli attori di quell'epoca».
Perchè «Il sorpasso» è entrato nella storia del costume italiano?
«Ha saputo cogliere la fase di un'Italia che si rialzava, alla fine del dopoguerra, e iniziava a conoscere il benessere, ad affacciarsi sul mondo della superficialità , delle sfide stupide, del pensare che si possa essere immortali. Insomma, in quel film si individuavano i pericoli e i difetti di una maniera di pensare e di vivere che poi avrebbe contagiato tutti. "Il sorpasso" era proiettato nel futuro e ne aveva intravisto il degrado».
Lei lo ha mai rivisto?
«No, non l'ho più rivisto, ma non rivedo mai i miei film, sarebbe come guardare le immagini di un'altra donna, preferisco vivere nel presente e nel breve futuro».
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