IL CINEMA DEI GIUSTI - “L’INFORMAZIONE È POTERE” È IL MOTTO CHE DICHIARA NEI PRIMI MINUTI DEL FILM IL J. EDGAR HOOVER DI LEONARDO DI CAPRIO E DI CLINT EASTWOOD - MAGARI NON È IL CAPOLAVORO CHE CI SI POTEVA ASPETTARE, MA È UN FILM IMPORTANTE SULLA FIGURA DI UN OMOSESSUALE CHE NON RIESCE A ENTRARE NELLA VITA DA NESSUNO PARTE, SOLO A RAGIONARE SU QUELLA DEGLI ALTRI, NEI GIOCHI DI POTERE E NEL VOYEURISMO POLIZIOTTESCO, NELL’ASCOLTARE I SEGRETI DEI POTENTI, I LORO VIZI…
Marco Giusti per Dagospia - J.Edgar di Clint Eastwood.
"L'informazione è potere" è il motto che dichiara nei primi minuti del film il J. Edgar Hoover di Leonardo Di Caprio e di Clint Eastwood. Magari non è il capolavoro che ci si poteva aspettare, e in America non è stato accolto proprio bene, ma è un film importante su un personaggio potente e complesso.
Hoover domina il potere poliziesco americano dagli anni'20 all'arrivo di Nixon, rinnovandone totalmente i metodi investigativi, ma anche innescando la logica dei "secret files", i dossier segreti su presidenti e uomini politici, mogli e figli compresi, e la logica della schedatura di tutti i possibili "nemici" del paese, comunisti, radicali, afro-americani, presto estesa praticamente a tutti i cittadini americani.
Il mandato di Hoover, e il suo potere, mantenuto in vita dai "secret files", che la fedele segretaria brucerà alla notizia della sua morte, percorrerà gran parte della storia americana del secolo scorso, scontrandosi con ben otto diversi presidenti.
Attraversando proibizionismo, new deal, una guerra mondiale, il maccartismo, l'arrivo dei Kennedy, la rivoluzione di Martin Luther King, la presa di potere di Nixon. La chiave per raccontare il personaggio che hanno scelto Eastwood e, soprattutto, il giovane sceneggiatore, Dustin Lance Blanck, già responsabile del copione di "Milk" di Gus Van Sant, è la repressione della propria omosessualità e forse di qualsiasi sessualità , che spinge Hoover a una lunghissima storia d'amore non espressa con il suo collaboratore, Clyde Tolson, qui interpretato da Arnie Hammer e a una battaglia continua col mondo esterno.
Al vecchio Clint bastano comunque le poche scene con la mamma, una Judi Dench meravigliosa, per farci capire come stanno le cose. "Non vorrai finire come tuo padre...", fa lei. "Meglio un figlio morto che... gerbera!" è però la frase chiave. Obbligato dall'amore materno a una repressione totale dei propri desideri, dopo un'inutile corte alla segretaria, Helen Gandy, una grande Naomi Watts, che gli preferisce il lavoro, Hoover trova in Clyde Tolson, l'uomo da amare da lontano, ma anche da modellare come perfetto G Man, una sorta di Barbie da vestire e da mostrare in pubblico.
Ossessionato dal potere mediatico, Hoover usa i giornali, nella figura di Walter Winchell (ma nel film non compare), i fumetti, i cinegiornali e il cinema, e perfino le scatole di cereali, per influenzare il pubblico americano e fare dei suo G Men dei supereroi. A questo riguardo è interessante vedere l'evoluzione di James Cagney nei film della Warner, mostrati con grande amore filologico nel film di Eastwood, da eroe della malavita in "Nemico pubblico", il capolavoro di William Wellman a eroe FBI in "G Men" di William Keighley ("Il più famoso cattivo di Hollywood si unisce ai G Men per fermare la marcia del crimine!" era la frase di lancio).
Senza scordare il grande film agiografico, sempre della Warner Bros, e fortemente voluto da Hoover, "The FBI Story" ("Sono un agente della FBI") diretto da Mervyn LeRoy, e fortemente voluto da Hoover, con James Stewart, nei panni di un agente di fantasia che percorre le grandi stagioni e le grandi avventure della FBI, dalla lotta alla malavita a quella contro i perfidi comunisti. Hoover, che appare brevemente come se stesso nel film di LeRoy, mentre Clyde Tolson ha un piccolo ruolo di agente, scelse di persona James Stewart come perfetto eroe americano e fece rigirare molte scene.
Nel 1959, però, soprattutto in Europa, un film come "The FBI Story" appariva tardo e pesantemente falso. E negli anni '60 e '70, la figura di Hoover era quella di un cattivo da controcultura hippy. La chiave più vicina a quella mostrata da Eastwood e da Dustin Lance Blanck, forse anche più esatta, la troviamo però nel fondamentale "The Private Files of J. Edgar Hoover" di Larry Cohen, con un cast stellare di vecchie glorie ormai finite.
Broderick Crawford, bolso, alcolizzato, è Hoover, Dan Dailey, al suo ultimo film, è Clyde Tolson, Howard Da Silva è Roosevelt, c'è perfino Looyd Nolan perché era l'attore che più volte aveva interpretato il G Man, mentre Raymond St. Jacques è Martin Luther King e Michael Parks, allora esiliato da Hollywood e ora riscoperto da Tarantino, è Robert Kennedy.
C'è già molto di quello che ha messo in scena Eastwood, i rapporti conflittuali con Robert Kennedy, la guerra a Martin Luther King, l'ombra del Watergate, un potere conservato grazie a registrazioni e rapporti confidenziali imbarazzanti, la paura dei politici, ma soprattutto la figura di un uomo solo, senza vita privata, che sfoga la sua repressione, la sua mancanza di vita sociale e sessuale, nei giochi di potere e nel voyeurismo poliziottesco, nell'ascoltare i segreti dei potenti, i loro vizi.
Eastwood e Blanck preferiscono a questa tesi, quella più umana dell'omosessuale che non riesce a esprimere il proprio amore per Clyde Tolson fino alla fine, mentre Cohen punta, forse più oggettivamente, sulla bruttezza di Hoover (certo più simile al vero personaggio di Di Caprio...), chiuso in se stesso dalla paura di rifiuti e di entrare nella vita. Del resto anche tutta la sua propaganda che lo vede eroico G Man con la pistola in mano va su questa direzione, è lui stesso che cerca di costruirsi il modello di poliziotto che di fatto non era.
In questo i film sono simili, cioè nel descrivere Hoover come un uomo che non riesce a entrare nella vita da nessuno parte, solo a ragionare su quella degli altri. Purtroppo, il vero difetto del film di Eastwood, è il terribile trucco da vecchi che impone a Di Caprio e a Arnie Hammer, qualcosa che spesso ci impedisce di ragionare su un film intelligente e a tratti commovente sulla storia americana vista fuori dalla propaganda e dalle ideologie.
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