quello che i social non dicono - the cleaners

IL LATO OSCURO DEI SOCIAL – I SOCIAL NASCONDONO IMMAGINI E VIDEO DI TORTURE, SEVIZIE, OMICIDI, STUPRI, SCENE DI GUERRA CHE NON RAGGIUNGONO MAI LA SUPERFICIE – UN INFERNO DESCRITTO DAL DOCUMENTARIO “QUELLO CHE I SOCIAL NON DICONO - THE CLEANERS” IN PRIMA TV SU SKY CHE RACCONTA IL LAVORO DEI MODERATORI CHE IN ALCUNI PAESI SONO COSTRETTI PER 3 EURO L’ORA A GUARDARE CONTENUTI AGGHIACCIANTI E… - VIDEO

 

Marco Consoli per “la Stampa”

 

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Dietro le quinte di Facebook, Twitter e altri social media ci sono immagini e video di torture, sevizie agli animali, omicidi, stupri, scene di guerra che non raggiungono mai la superficie. È questo l' inferno descritto da Quello che i social non dicono - The Cleaners, documentario di Hans Block e Moritz Riesewieck in prima tv domani sera su Sky Arte e in streaming su Now Tv, che descrive il lavoro oscuro e pericoloso di chi pensa a ripulire da quelle atrocità lo spazio visibile a tutti.

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Queste persone, chiamate in gergo moderatori, sono un filtro tra ciò che la gente posta (o meglio vorrebbe postare) online e quello che raggiunge la massa di utenti: una buona parte di questi contenuti viene analizzato e filtrato dall' intelligenza artificiale, in grado di individuare ad esempio se abbiamo pubblicato un nudo che viola le regole di utilizzo, mentre alcune decisioni chiave più spinose spettano all' uomo. Un video in cui una persona è percossa è goliardia o bullismo?

 

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Una vignetta religiosa è oltraggiosa oppure no? «Ci siamo chiesti chi fossero queste persone, che tipo di background avessero e abbiamo cercato di esplorare il loro processo di decisione, per vedere come possano essere influenzati da fattori, culturali, religiosi, e così via», racconta Riesewieck.

 

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Partendo dalle ricerche di Sarah Roberts, professoressa della Ucla, i due registi hanno scoperto che ben oltre la facciata delle aziende, con piccoli uffici di moderatori in Germania, Francia, Polonia, dove i lavoratori sono tutelati, esiste un vasto mondo di outsourcing verso Paesi dove il costo del lavoro è bassissimo, come le Filippine, in cui per guardare tutto il giorno questi contenuti agghiaccianti si può guadagnare fino a 3 dollari l' ora.

 

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L' indagine procede poi su due crinali: da una parte viene affrontata la questione dello sfruttamento, che non è solo economico, ma anche emotivo. «Queste persone non solo firmano contratti di riservatezza e vivono come le spie, ma sono bombardate da migliaia di immagini e video orribili - spiega Riesewieck - e quasi sempre soffrono di sindrome da stress post-traumatico».

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Dall' altra parte il documentario si interroga su quali siano i contenuti che vengono censurati, con seri rischi per la libertà di espressione: «Molte volte la mannaia del moderatore viene usata senza la capacità di capire la cultura di altri Paesi», come quando ad esempio una statua greca viene considerata offensiva perché rappresenta un nudo femminile.

 

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«In altri casi i social agiscono di concerto con i governi autoritari, che li autorizzano ad agire nei propri confini nazionali, ma chiedono in cambio la cancellazione di critiche degli oppositori politici».

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