
PER INNAMORARSI BASTA UN'ORA. ANZI TRE - UN GIORNALISTA TENTA L'ESPERIMENTO DELLO PSICOLOGO ARTHUR ARON: 36 DOMANDE DA FARE A UNA SCONOSCIUTA, PER CAPIRE SUBITO SE CI SI AMA. CON ALCUNI HA FUNZIONATO, E SONO NATE COPPIE IN UN POMERIGGIO
Alberto Mucci per “il Foglio”
In un saggio apparso alcune settimane fa sul New York Times nella rubrica “Modern love”, Mandy Len Catron, docente dell’Università della Columbia Britannica a Vancouver, racconta l’inizio della sua ultima – e attuale – storia d’amore. Durante un appuntamento, Catron parla all’uomo al suo fianco di un esperimento condotto a metà anni Novanta dallo psicologo americano Arthur Aron, il quale, al tempo docente alla Stony Brook University di New York, voleva dimostrare come l’amore non fosse un’inspiegabile casualità a cui l’uomo e la donna sono soggetti, ma, al contrario, un atto, una scelta attiva, un qualcosa voluto con quella consapevolezza che Foucault chiama agency e di cui però nega l’esistenza.
Detto in prosa: date alcune circostanze è possibile scegliere di essere innamorati/innamorarsi di una determinata persona. Certi di questo postulato, Aron e la sua squadra di ricercatori/psicologi hanno formulato 36 domande, una propedeutica all’altra: dalla più generale alla più intima. La lista parte da un semplice “chi vorresti avere come ospite a cena se potessi scegliere tra qualunque persona al mondo?”, fino alla numero 36, “parla di un tuo problema personale e chiedi al partner un consiglio su come lui o lei lo affronterebbe. Chiedile/gli anche di descrivere come gli sembra che tu ti senta rispetto al problema di cui hai scelto di parlare”.
Tra la prima e l’ultima il percorso tra il non amore e il “Neanche un minuto di non amore” cantato da Battisti in “Io tu noi tutti” (marzo 1977, Numero uno). In un laboratorio dell’università due sconosciuti – un uomo e una donna – sono fatti accomodare uno davanti all’altro. A ognuno è stata poi data la lista delle domande. Quarantacinque minuti a testa per rispondere. Finito l’esperimento, secondo il racconto che ne fa Len Catron, sono state numerose le coppie tra cui è nato un sentimento d’amore. Tra le tante, una, addirittura, si è sposata sei mesi dopo l’incontro in laboratorio.
Aron, il suo staff e gli altri partecipanti sono stati tutti invitati al matrimonio. Esperienza simile per Len Catron, ma con una differenza: i due già si conoscevano e avendo consciamente deciso di condurre l’esperimento un desiderio di innamorarsi l’uno dell’altro era, probabilmente, già lì. Scettici verso una concezione dell’amore così meccanica e determinista, al Foglio abbiamo deciso di tentare l’esperimento in prima persona. Parto poco convinto perché già innamorato di un’altra donna.
Certo, c’è chi come Jacques Attali, il banchiere ed economista francese consigliere di Mitterrand e Sarkozy, di recente, sulle pagine della rivista francese l’Express, si è chiesto “a che titolo si dovrebbero avere due case e due cellulari, e non più amori? Se tutti non cambiassero di continuo automobile ed elettrodomestici, l’economia crollerebbe”.
arthur e elaine aron lavorano al test
Un’idea a cui vale rispondere con le parole di un articolo apparso lo scorso agosto su queste pagine: “Il problema, caro Jacques, è il cuore dell’uomo … e il nostro cuore vuole essere amato di un amore totale, eterno, indissolubile, incondizionato. Un amore che assomiglia tanto al perdono. Un amore che ci dica ‘io ti prendo così, anche se sei lamentosa, anche se sei disordinato, anche quando sei un po’ egoista, ti prendo tutti i giorni della mia vita, anche ora che hai le occhiaie e mi stai raccontando per la quindicesima volta di quando da giovane facevi rafting’”.
Della ragazza di cui a breve dovrei innamorarmi so solo che si chiama Flavia, ha 26 anni e sta per terminare gli studi in Bocconi. Non l’ho mai vista prima. E’ l’amica di un’amica con cui sono entrato in contatto tramite Facebook. Arrivo a casa sua verso le quattro di pomeriggio. Un open space a Milano sud. Molti libri, tanti Adelphi, un divano rosso su cui allo stesso momento potrebbero addormentarsi diverse coppie, in mezzo al salone una grossa mezzaluna bianca in marmo sorretta da un’asta di metallo dà un tocco di Beirut all’atmosfera. “Strano eh…”, dico per rompere un po’ il ghiaccio dopo le presentazioni. “Beh sì, sai… un po’”. “Sei pronta?”. “Sì”. “Pronta a innamorarti?”.
Risata poco convinta. Capelli scuri, occhi grandi e verdi, il sorriso facile. Indossa pantaloni scuri, una maglia a righe bianche e nere e un cardigan nero e sottile. Subito siamo d’accordo su come la persona immaginaria da invitare a cena a cui fa riferimento la prima domanda possa essere sia viva sia morta. Il questionario di Aron non lo specifica, a noi dunque l’iniziativa. Flavia sceglie Coco Chanel, personaggio di cui so poco al di là di quanto raccontato nel bellissimo film sulla stilista francese “Coco avant Chanel” (2009). Scelta elegante. Parte bene. Io invece inizio male.
Scelgo Antonio Razzi. “Come Razzi?”, dice lei subito. “Eh sì, sarebbe un sacco divertente secondo me”, rispondo. Qualche sera prima fantasticavo su come sarebbe titolata una sua biografia, immaginavo di chiamarla “Un eroe inconsapevole”. “Sarebbe molto divertente andarci a cena no?”. Silenzio. “Sai che racconti!”. Flavia comunque storce il naso. Domanda numero due. “Ti piacerebbe essere famoso? Per che cosa?”. Ritroviamo sintonia: a entrambi piacerebbe essere riconosciuti e apprezzati dagli esperti del settore in cui lavoriamo. Quell’essere famoso in cui si viene riconosciuti in strada non interessa a nessuno dei due.
“Vorrei che chi deve sapere, sappia”, conclude Flavia senza tentare di nascondere aspirazioni da futura eminenza grigia del mondo della moda, settore in cui, finita la Bocconi, vorrebbe lavorare. La terza: “Ti capita mai di provare quello che devi dire prima di fare una telefonata? Perché?”. “Uhm, a volte”, risponde. Ride di nuovo, già molto più rilassata di prima. “Io no”, rispondo, “forse dovrei però”, concludo pensando a tutte le volte che ho fatto le cose a caso e senza preoccuparmi delle conseguenze.
E’ l’inizio del processo per il quale fra tre ore circa conoscerò questa ragazza 26enne mai vista prima meglio di quanto conosco tante altre persone che frequento con una certa regolarità. La terza domanda – me ne accorgerò soltanto rileggendola a cose fatte – è la prima che tocca qualcosa di intimo, la prima che permette a uno di scavare nell’altro. Come scrive la stessa Len Catron, “è come quando una rana viene bollita”; in altre parole: questa non si accorge del pericolo finché è troppo tardi e non c’è più niente da fare. Inizio a pensare di essermi imbarcato nell’esperimento con un’idea molto limitata di cosa sia l’amore e cosa significhi essere innamorati.
Marilyn su set di facciamo l amore
La mia mente ha subito associato l’essere innamorati con il rapporto d’amore tra un uomo e una donna, al sesso, alla voglia di avere un compagno/a e condividere lo stesso letto, le difficoltà, le idee, tutto. Ampliando la definizione di “amore” è facile dare un diverso significato all’esperimento di Aron. Una volta ho parlato con l’artista libanese Maria Kassab di “Comizi d’amore” di Pasolini (1964) e di come lo scrittore/poeta italiano avesse attraversato l’Italia da nord a sud intervistando persone sulla definizione che queste davano dell’amore.
Le ho parlato dell’ultima scena e dell’ultima frase, di come Pasolini augurasse a una coppia appena sposata, Tonino e Graziella, “al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore”. Lei mi ferma subito e dice che amore va visto in termini molto più ampi di quelli. “Amore per questa conversazione”, “amore per questo momento” [intorno una festa e un fuoco], “amore anche per il mio lavoro”, “amore, soprattutto, come atteggiamento, un’apertura verso l’altro e l’immediato”.
Marilyn al party per il film Facciamo l amore
Non ho più pensato a quel momento e a quelle parole – allora scivolate come tante verità per cui non si è ancora pronti – fino a esperimento di Aron concluso. Domanda numero dieci. “Se potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato cresciuto, quale sarebbe?”. Rispondo che avrei voluto avere un’educazione più emotiva, essere diventato adulto con la consapevolezza dell’importanza dei sentimenti e non, come invece è accaduto, pensare di doverli spesso nascondere.
Flavia avrebbe invece voluto che i suoi genitori fossero stati un po’ più severi con lei, le avessero imposto di continuare a studiare musica quando invece lei, per ragioni ormai dimenticate, ha deciso di non volerlo più fare. Domanda dodici: “Qual è il tuo ricordo peggiore?”. Un attimo di silenzio e di imbarazzo. “Non so se voglio parlartene”, mi dice prima di sistemarsi i capelli in un temporaneo chignon e iniziare comunque a raccontare (penso un momento che sia il caso di raccontarle della metafora della rana che bolle, ma cambio velocemente idea).
Per lei, come per me, il brutto ricordo è legato a una storia d’amore ormai passata, a un tradimento inaspettato di una persona vicina. Solita storia, sì; è strano però, mi trovo a pensare. Al di là dei particolari legati alla specificità dell’evento, le risposte alle domande tendono sempre a toccare temi simili (abbiamo una risposta molto simile anche per la domanda sul momento più bello), a essere, nelle loro particolarità e mille sfaccettature, universali.
Entusiasta di questa nuova conclusione faccio un po’ di ricerca in rete per vedere se un uomo e una donna eterosessuali hanno mai tentato l’esperimento con una persona del proprio sesso (escludendo dunque a priori la variabile sesso dal rapporto d’amore). Nulla. Trovo invece un blogger americano che ha fatto le domande a se stesso. Dice di apprezzarsi e capirsi molto di più dopo aver terminato.
Perché no? In fondo ha senso, provare amore per se stessi è il primo passo per riuscire ad amare gli altri; soprattutto se si parla di un amore basato su qualcosa che va al di là del semplice possesso ed egoismo. Domanda diciotto. “Se potessi svegliarti domani avendo acquisito una qualità o un’abilità, quale sarebbe?”. Per Flavia è quella di aver continuato con la musica. Per tre anni, prima di andare al liceo, ha studiato al Conservatorio. “Ho mollato, come tutti, per pigrizia. Vorrei continuare, riprendere a suonare, magari qualche lezione. Ma non ho tempo. Anche se lo so, lo dicono tutti. Non è una scusa”.
Beviamo una birra a testa ed è come se l’esperimento fosse diventato normalità. Anzi: il poter parlare così apertamente perché giustificati da un medium dal sentore scientifico inizia a piacere a entrambi. Un amico giornalista una volta mi ha raccontato di come Borges fosse solito dire “certo che la psicologia funziona. Come qualsiasi cosa basata sulla vanità umana. A tutti piace parlare di se stessi, no?”.
Domanda ventuno. “Che ruolo hanno nella tua vita l’amore e l’affetto?”. Per entrambi la risposta è la stessa: “L’elemento più importante, qualcosa da dare e ricercare sempre di cui troppo spesso, causa routine, ci si dimentica”. Qualche mese fa un quotidiano online americano ha svolto un’inchiesta chiedendo ad alcune infermiere di rivelare quali fossero i rimpianti più comuni dei pazienti in punto di morte. E’ risultato che avrebbero voluto una maggiore capacità di esprimere i propri sentimenti e che ritenevano di non aver mantenuto abbastanza i rapporti con gli amici. Quasi quanto risposto adesso.
In “La vita quotidiana come rappresentazione” (Il Mulino, 1997) Erving Goffman parla della creazione di un personaggio proprio, di come nel quotidiano conosciuto l’uomo si fissi su alcune coordinate alla base della propria identità e una volta stabile molto difficilmente ci rinuncia. La messa in discussione di questa identità fittizia avviene in momenti e spazi estemporanei alla routine.
Momenti come il fin di vita descritto dall’articolo della testata americana o le domande dell’esperimento di Aron rappresentano il momento in cui sei costretto a esporti, a renderti vulnerabile davanti all’altro/a; una posizione a cui spesso l’uomo sfugge proprio perché abituato a identificarsi con la propria routine di certezze costruite. Domanda trentuno. “Di’ al tuo partner qualcosa che già ti piace di lui/lei”. Sorrisi di entrambi. Comincio io. “Mi piace come hai detto sì all’esperimento e senza problemi mi hai invitato a casa tua nonostante non mi avessi mai visto. Mi piace come sorridi e lo fai tanto. Mi piacciono i tuoi denti e come appaiono sotto il sorriso”.
Alla parola “denti” torna per un attimo lo sguardo del momento Razzi, ma veloce scompare. “Tocca a me?”, col tono di chi già conosce la risposta, ma pone la domanda per prendere tempo. “Che sei proattivo, che nonostante potesse essere un esperimento strano sei riuscito a farmi sentire a mio agio, i tuoi viaggi”. L’ultima domanda prima del momento più difficile di tutto l’esperimento: guardarsi negli occhi per quattro minuti consecutivi. E’ stato lungo, molto.
Len Catron scrive di come non stesse soltanto guardando, ma di come stesse osservando una persona che la guardava. In altre parole: un’intimità data da empatia e conoscenza profonda. Una situazione rara in un normale rapporto tra due persone, ma che le domande di Aron permettono di raggiungere in pochissimo tempo. Sono innamorato di Flavia? In un certo senso sì: di quell’amore universale di cui mi sono ricordato l’importanza riflettendo sull’esperimento. Non solo. Sono innamorato di Flavia come potrei esserlo di tutte le persone a cui andrebbe di condurre un esperimento simile.
Terminate le domande, Flavia mi ha raccontato di come prima di cominciare avesse pensato, “ma se la persona con cui parlo risponde in un modo che mi porta ad allontanarmi da lui, come faccio a innamorarmi?”, e di aver concluso che non c’è nulla di politico o ideologico nelle domande, è tutto sentimenti ed emozioni. Non c’è nulla dunque che possa allontanare. Di nuovo l’universale.
“Anche – aggiunge – adesso che ci penso. Mi è capitato molte volte di essere in situazioni di gruppo in cui ho parlato con una persona e l’ho reputata antipatica, ma poi, più in là, dopo averci parlato faccia a faccia, l’ho trovato molto più simpatico con diversi elementi in comune. Non sono innamorato di Flavia nel senso di “essere innamorato” con cui è esordito l’articolo. O almeno non credo, non lo so ancora e non lo posso ancora sapere.
Trovare l amore sui siti per soli cristiani
Una risposta viene da un altro studio di un altro psicologo. Questa volta si tratta di Robert Sternberg della Cornell University. Come spiega Anna Momigliano in un articolo apparso sulla Lettura: “Secondo Sternberg l’amore si compone di tre sentimenti distinti: passione, intimità e impegno. Dove c’è la passione, ma intimità e impegno sono assenti, si tratta di semplice infatuazione. Quando alla passione si aggiunge l’intimità, c’è l’amore romantico. Ma per raggiungere l’amore con la A maiuscola, il sentimento pieno che può durare nel tempo e cambiare la vita, serve l’impegno: è quello che Sternberg definisce consummate love, l’amore maturo.
Tecnicamente, sostiene, è possibile anche un amore fatto soltanto di intimità e impegno (companionate love, affetto tra partner) e persino di solo impegno (ma in questo caso è un “amore vuoto”).” Al momento Flavia e io abbiamo uno dei tre tasselli: l’intimità. Sul resto è troppo presto per dire.