MEMORIE DI MASSIMO FINI - “SU BERLUSCONI, A DIFFERENZA DI TRAVAGLIO, NON DIMENTICO CHE DIETRO IL PIÙ GRANDE MASCALZONE C’È UN UOMO. AL ‘FATTO’ MANCA QUESTO. DISSI A PADELLARO: ‘PERCHÉ FACCIAMO UN GIORNALE COSÌ DISUMANO?”
Estratto dal libro “Una vita” di Massimo Fini
[…] Ma soprattutto, a partire dal 1986, quando era solo un imprenditore, e in seguito, quando era all’apice della sua potenza ho scritto decine di articoli di denuncia delle malefatte dell’uomo di Arcore (mai però sulle vicende di donne perché penso che il presidente del Consiglio, come qualsiasi altro cittadino, in casa propria, a meno che non commetta reati, ha diritto di fare ciò che gli pare).
Non dimentico però, a differenza, forse, di Travaglio, che anche dietro il più grande mascalzone c’è un uomo. Sofferente come tutti gli uomini. Mi pare che al «Fatto» questa dimensione manchi. Ecco perché, quella volta, dissi a Padellaro: «Perché facciamo un giornale così disumano?».
Non voglio con ciò in alcun modo sminuire la straordinaria impresa di Padellaro, di Travaglio, di Gomez, molto cresciuto in questi anni rispetto a quel ragazzone un po’ goffo che era, e degli altri colleghi del «Fatto». Con loro non ho avuto grandi problemi. Con i loro lettori sì. Perché sono delle ‘suorine di sinistra’, come li chiamo io, che fanno il ponte isterico appena si esce dal seminato della loro cultura.
Paradossalmente mi trovo più a mio agio al «Gazzettino» di Venezia dove sono approdato nel 2002 per iniziativa di Luigi Bacialli, sostituito qualche anno dopo, nella direzione, da Roberto Papetti. Con Papetti, in otto anni, ho parlato una sola volta, quando morì Oriana Fallaci, perché, avendola conosciuta da vicino, anche troppo, ero l’unico a poterne fare un ritratto.
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Ma i miei pezzi, spesso antiberlusconiani (il giornale è di centro destra) e da ultimo fortemente antioccidentali, passano sempre senza intoppi, titolati alla perfezione dai capiredattori, il che con i miei articoli non è sempre facile perché spesso metto insieme, legandoli, vari argomenti e ci vuole professionalità, attenzione e cura per centrarne, in poche battute, il succo.
Del «Gazzettino» mi piace poi la compostezza. Niente titoli sbracati. Già da come risponde il centralinista, con cortesia tutta veneziana (‘veneziani gran signori’) ti rendi conto che sei in un mondo che non ha perso il gusto delle buone maniere. Comunque fra «Fatto» e «Gazzettino» non mi posso lamentare in questa fase declinante della mia carriera. Ma il mio cuore si è fermato all’«Indi». Credo di poter dire che – anche per altri motivi che chiariremo in seguito – la mia vita di giornalista sia finita lì. Dopo mi sono salvato con i libri. E un po’ col teatro.
ANTONIO PADELLARO MARCO TRAVAGLIO ANTONIO PADELLARO E MARCO TRAVAGLIO