FERMATE I DEEJAY SUPERSTAR – I CHEMICAL BROTHERS SFANCULANO IL MODELLO GUETTA-SKRILLEX: “IL DEEJAY È QUALCUNO CHE NON DEVI VEDERE MA SENTIRE” – “NOI CI SENTIAMO PIÙ MUSICISTI CHE DEEJAY E QUANDO FACCIAMO DELLE SERATE PREFERIAMO STARE IN CABINA E NON SU UN PALCO”

Andrea Laffranchi per il “Corriere della Sera

 

Chemical BrothersChemical Brothers

Il fenomeno deejay si è gonfiato troppo. A dirlo non è un rocker invidioso dello spazio preso dalla dance/edm nell’immaginario dei giovani. Parola di Tom Rowlands, metà dei Chemical Brothers (l’altro è Ed Simons), colonne portanti del movimento che negli anni Zero ha portato quel genere fuori dalle discoteche. 


Nel 1999 furono loro a infilare in «Hey Boy Hey Girl», hit mondiale, quel grido «superstars deejay». Profezia o speranza? «Nessuna delle due. Più semplicemente, era un campione preso da un brano electro-hip hop anni 80. L’idea era di mettere qualcosa che arrivava da un’altra era in un contesto lontano», dice Tom. Però oggi è così: i deejay sono diventati superstar. «Sì, tutto è diventato talmente grande che qualcuno addirittura fa residencies (serate fisse in un locale, ndr ) a Las Vegas».

 

CHEMICAL BROTHERSCHEMICAL BROTHERS

Una frecciatina per Guetta, Skrillex e altri che hanno tradito lo spirito? «Se alla gente va bene così... per me è un po’ troppo. Non ha nulla a che vedere con la mia idea: il deejay è qualcuno che non devi vedere, ma sentire. Noi ci sentiamo più musicisti che deejay, ma quando abbiamo fatto delle serate in quel ruolo preferivamo non avere un palco ma stare in cabina». 

 

Il duo di Manchester sta per pubblicare un nuovo album. Si chiama «Born in the Echoes» (esce il 18 luglio) e a lanciarlo è «Go», brano in cui basso e batteria sono protagonisti assieme alle rime dello storico rapper Q-Tip. Il video è diretto da Michel Gondry, regista partito dalle clip musicali e poi arrivato a Hollywood. I Chemical hanno sempre avuto grande cura per il lato visivo, anche nei concerti. «La musica viene sempre prima, ma le immagini offrono una possibilità ulteriore per essere creativi e per collaborare con altre persone».

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A «Born in the Echoes» hanno partecipato anche Beck, St. Vincent e Cate Le Bon. Personaggi da palati sofisticati, non nomi da classifica... «Scegliamo colleghi di cui amiamo il lavoro. St Vincent ha un fantastico approccio nel fare musica. E sono cresciuto ascoltando i dischi e i testi di Beck». 


Ed e Tom hanno 44 anni. I rocker, vedi il caso Stones, possono andare oltre i 70. C’è un limite di età nella dance? «Quando la gente non è più interessata a quello che fai. L’età diventa evidente quando il tuo tempo è finito», commenta Tom. Da quest’anno va in tour da solo (i maligni dicono che basta una persona per schiacciare il tasto play) perché Ed ha mollato l’attività live. Due le date in Italia: il 1° luglio a Piazzola sul Brenta (Padova) e il 2 a Roma. 

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I Chemical Brothers sono stati pionieri. Adesso quei suoni sono sdoganati ma c’è più concorrenza. «La edm che va in classifica non ha legami con quello che facciamo noi. Ci interessa poco il fatto che Calvin Harris sia nelle classifiche. Noi abbiamo una nostra identità». 


A contribuire alla poppizzazione di quel mondo ha contribuito anche il venir meno del binomio musica-stupefacenti. «Le droghe non sono legate alla musica, ma alla società. Non è che se ascolti i Velvet Underground ti fai di eroina o prendi ecstasy perché senti i Daft Punk... Credo che dipenda dal fatto che la gente oggi sia aperta a più generi». 
 

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