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IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – “CI VEDIAMO DALL’ALTRA PARTE”. SIAMO CRESCIUTI TUTTI COI FILM DI DAVID LYNCH. GLI DOBBIAMO MOLTO. SUBITO UN CAFFÈ E UNA SIGARETTA IN SUO ONORE. PER CAPIRE QUALCOSA SULLA MORTE DI LYNCH, SE FOSSIMO IN UN FILM DI LYNCH, DOVREMMO FORSE COLLEGARCI CON QUALCHE MONDO PARALLELLO CHE PROPRIO LUI CI HA INDICATO. PERCHÉ, PER QUANTO IO POSSA SCRIVERE UN BUON RICORDO DI DAVID LYNCH, DI QUANTO SIA STATO IMPORTANTE NELLA FORMAZIONE DI TUTTI NOI, L’IDEA CHE NON CI SIA PIÙ MI TURBA PROFONDAMENTE… - VIDEO
David Lynch rip
Marco Giusti per Dagospia
“Ci vediamo dall’altra parte”. Siamo cresciuti tutti coi film di David Lynch. Gli dobbiamo molto. Subito un caffè e una sigaretta in suo onore. Per capire qualcosa sulla morte di David Lynch, se fossimo in un film di David Lynch, dovremmo forci collegarci con qualche mondo parallello che proprio lui ci ha indicato nelle ultime puntate della stagione finale di “Twin Peaks”, soprattutto nella incredibile puntata numero 8.
Perché, per quanto io possa scrivere un buon ricordo di David Lynch, di quanto sia stato importante nella formazione di tutti noi che seguiamo il cinema da quando siamo nati, l’idea che non ci sia più mi turba profondamente.
Penso di esserne stato il primo a scriverne in Italia, sulle pagine del Manifesto. Avevo scoperto, sarà stato il 1978 o il 1979, che passava “Eraserhead” in un cinema d’essai di Firenze (L’Arena del Sole?), presi il treno e andai a vederlo. E rimasi folgorato. Non avevo mai visto nulla di simile.
Scrissi un articolo paragonando la follia del protagonista di “Eraserhead”, lo sfortunato Jack Nance, morto da tempo, che pensa di avere la testa di gomma, col Totò pazzo di “I pompieri di Viggiù” che pensa di avere la testa di burro (“Il sole no, il sole no… ho la testa di burro, al sole si squaglia!”).
Ma urlai al capolavoro nel 1980 quando vidi “The Elephant Man”, ricordate “I’m not an elephant. I am not an animal! I am… a human Being! I… am… a man!”…, prodotto da quel genio che è Mel Brooks, che aveva capito subito il valore di Lynch, e gli aveva affidato il film che lo avrebbe lanciato.
Gli mise in piedi un film meraviglioso, John Hurt come David Merrick, Anthony Hopkins come Frederick Treves, John Gielguld, Wendy Hiller, Anne Bancroft. Fu Mel Brooks a togliere il suo stesso nome dai titoli di testa per non dare un’indicazione sbagliata al pubblico e a convincere la Paramount a non tagliare l’inizio e la fine, che erano già puro cinema di David Lynch.
E già lì, magari casualmente, c’è l’idea che la morte non esista, come recita la mamma di Merrick (“Never. Oh, never. Nothing will die. The stream flows, the wind blows, the cloud fleets, the heart beats. Nothing will die”).
Credo che Lynch debba molto anche a Dino De Laurentiis. Anche se un po’ gli massacrò “Dune”, che non è il capolavoro che avrebbe potuto essere, ma in gran parte lo è, coi suoi mostri, i suoi attori, Dino gli fece girare il film che forse amiamo più di tutti, cioè “Blue Velvet”, dove ritorno come eroe Kyle Maclachlan, dove il cattivo è un incredibile Dennis Hopper e Isabella Rossellini ha il ruolo della sua vita che, nuda e piangente, fece urlare di ribrezzo e di paura del corpo femminile Gianluigi Rondi, allora direttore del Festival di Venezia.
TITOLI DI APERTURA DEI FILM DI DAVID LYNCH
Ricordo che rimasi un po’ male dal secondo tempo di “Dune”, ma il primo tempo è una meraviglia, e ricordo che invece impazzii vedendo “Blue Velvet”. Lynch già nei suoi primi film dimostrava di poter risorgere, ricostruirsi, ricostruire una macchina cinema del tutto originale partendo da qualsiasi disastro, come da qualsiasi successo. Non scivolando mai, ma proprio mai, nel già visto, nel banale, nell’inutile.
Nel 1989 esce “Twin Peaks”, la serie che ridefinisce tutte le serie che verranno, e che battezza perfino la nascita di “Blob”, ricordo che mettevo costantemente accanto a Cossiga presidente il nano che parlava al contrario. E nel 1990 esce a Cannes “Cuore selvaggio”/”Wild at Heart”, un capolavoro che apriva una nuova stagione per il cinema, spingendolo il thriller, il road movie, verso una dimensione surreale, violentissima, ma anche ironica.
Quando uscì “Pulp Fiction” di Tarantino, ricordo che scrissi che il cinema di Lynch era superato per sempre, che “Pulp Fiction” aveva inghiottito e digerito anche “Cuore selvaggio”. Ha ragione Luca Guadagnino quando me lo rimprovera. Ma la verità è che ci sembrò, o almeno ci illudemmo, tutti, che l’arrivo di Tarantino con “Pulp Fiction”, così allegro e letale, col suo giocare sul tempo, avesse oscurato la grandezza di Lynch, che pure aveva aperto quella porta totalmente nuova per il cinema non solo americano, ma internazionale.
Lynch sembrò antico. Immediatamente. Sembrò pesante, quando era profondo e meraviglioso. Lo capimmo quando precipitò nel buio, nel tempo che gira attorno a se stesso come un nastro con “Strade perdute”, il film che Tarantino non avrebbe mai potuto fare. E più che lo vedevamo cambiare, diventare più difficile, più che incredibilmente sarebbe ritornato su con opere del tutto diverse.
Pensiamo a quanto sono lontani due film come “Una storia vera”, dove mette in scena una morte e “Mulholland Drive”, il film che rinasce da un progetto tv non accettato, che Lynch riesce a ricostruire come film e a farlo esplodere in mille pezzi. Magari “Inland Empire” era un’operazione difficile e non sempre riuscita, anche se lo difesi fino all’impossibile e lo difenderei ancora.
In questi anni, Lynch sembra giocare con se stesso e con il cinema in maniera più divertita più infantile. Volete che faccia il cinema classico. Guardatelo quando interpreta John Ford diretto da Steven Spielberg in “The Fabelmans” e spiega come si fa il cinema. Ci credi non perché parla John Ford, ma perché parla David Lynch.
david lynch interpreta john ford in the fabelmans
"Dentro, siamo senza età... e quando parliamo a noi stessi, è la stessa età della persona con cui parlavamo quando eravamo piccoli. È il corpo che sta cambiando attorno a quel centro senza età". Ma tutto questo alla fine confluisce in quello che ci appare come il vero testamento-trappola di David Lynch.
Cioè i 18 episodi meravigliosi della terza stagione di “Twin Peaks”, che ho visto nella notte come fossero qualcosa di vietato, da vedere in segreto. E la puntata numero 8. "Credo che la vita sia un continuum e che nessuno muoia davvero”, ha detto, “abbandonano semplicemente il loro corpo fisico e ci incontreremo di nuovo, come dice la canzone. È triste ma non è devastante se la pensi così... Staremo tutti bene alla fine della storia." E’ quello che speriamo.
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isabella rossellini e david lynch a cannes
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SHERYL LEE NEL RUOLO DI LAURA PALMER IN TWIN PEAKS
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david duchovny nel nuovo twin peaks
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Mostra di David Lynch
david lynch interpreta john ford in the fabelmans
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Fotomontaggio di David-Lynch
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David Lynch dalla serie "small-stories"
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L ANNUNCIO DELLA MORTE DI DAVID LYNCH SU FACEBOOK
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