IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - NON CI SARÀ UN ALTRO EROE COME IL ‘’LAWRENCE’’ DI PETER O’TOOLE CHE NEI PRIMI ANNI ’60 CI APPARÌ SUGLI SCHERMI PIÙ BELLO, COMPLESSO, TRISTE E MODERNO DI QUALSIASI JOHN WAYNE O ERROL FLYNN

Marco Giusti per Dagospia

"Aqaba! Aquaba!", "No prisoners!" Da ragazzi abbiamo volato nel deserto accanto a Lawrence d'Arabia e a Peter O'Toole coi suoi occhi celesti tutto velato di bianco e la spada sguainata. "Non hai paura, inglese?". "La paura è quello che mi interessa". Non ci sarà un altro eroe come il Lawrence di Peter O'Toole che nei primi anni '60 ci apparì sugli schermi più bello, complesso, triste e moderno di qualsiasi John Wayne o Errol Flynn.

E lo abbiamo cercato tanto nei film che fece dopo. Cercammo almeno un po' di quella follia, di quel senso dell'avventura. Ne uscimmo delusi, a cominciare dal noioso "Becket e il suo re" di Peter Glenville con il suo amico Richard Burton e il suo mentore Sir Donald Wolfit e dal lungo e sballato "Lord Jim" di Richard Brooks, dove non lo ritrovammo proprio.

Credo che anche lui cercò a lungo, malgrado le sue grandi stagioni teatrali, ben otto candidature all'Oscar, i tanti premi vinti, qualcosa di così forte e fantastico come il suo Lawrence diretto da David Lean. In qualche modo quel film, pur lanciandolo come star internazionale, ne frustrò una carriera più lineare e strutturata.

E per ritrovare quel candore, quella potenza e la bellezza del primo giovane Peter O'Toole dovremo aspettare il David Bowie di "Merry Christmance, Mr. Lawrence" di Nagisa Oshima, che ne sviluppa gli aspetti più complessi e ne riprende la carica sessuale.

Peter O'Toole, che è scomparso a 81 anni dopo lunga malattia e una vita dissipata nell'alcool e incredibilmente lunga, rispetto almeno a quella dei suoi compagni di bevute, da Richard Harris a Richard Burton a Peter Finch, era nato da madre scozzese e padre irlandese a Connemara. Aveva fatto un po' di tutto, anche il giornalista, prima di entrare nel 1952 alla Royal Academy of Arts e provare la carriera di attore.

Negli anni '50 si mette subito in luce nelle più grandi compagnie inglesi del tempo, all'Old Vic e alla Royal Shakespeare Company, nel 1963 verrà diretto da Laurence Olivier per un "Amleto" al Royal National Theathre e nel 1970 interpretò un "Aspettando Godot" con Donal McCann. Del resto si vantava di sapere tutti i 154 sonetti di Shakespeare a mente.

Dopo essersi sposato nel 1959 con l'attrice Sian Philipps, iniziò il cinema. Prima, nel 1960, con "Il ragazzo rapito", poi con un ruolo minore ma che lo mise molto in luce nel meraviglioso "Ombre bianche" di Nicholas Ray con Anthony Quinn e Yoko Tani, poi in "Furto alla Banca d'Inghilterra" di John Guillermin. "Lawrence d'Arabia", diretto nel 1962 da David Lean in Almeria è il suo quarto film e il primo da protagonista.

Al suo posto doveva esserci prima Marlon Brando poi Albert Finney. Peter O'Toole fu la terza scelta, ma probabilmente la più giusta. Il successo del film e la candidatura all'Oscar gli aprirono le porte del cinema internazionale. Prima con "Becket e il suo re" di Peter Glenville, dove recita nel ruolo di King Henry II assieme al Becket di Richard Burton e viene nuovamente candidato all'Oscar, poi con "Lord Jim" di Richard Brooks, non riuscita versione cinematografica del romanzo di Joseph Conrad, e ancora con il divertente "Ciao, Pussycat" di Clive Donner.

Ricorda Ursula Andress che Peter O'Toole arrivò proprio a pochi giorni dall'inizio delle riprese per prendere il ruolo costruito per Warren Beatty. Già il titolo, "What's New, Pussycat?", era la frase che ripeteva in continuazione Beatty per rimorchiare le ragazze di Hollywood (e non solo). Non è chiaro perché Beatty alla fine uscì dal film, ma l'arrivo di O'Toole fu una festa per tutto il set. Ursula gli rimase amica per tutta la vita. E Peter Sellers pure.

Torna alla commedia nel delizioso "Come rubare un milione di dollari e vivere felici" di William Wyler a fianco di Audrey Hepburn nel 1966, poi nel ruolo dei Tre Angeli per "La Bibbia" di John Huston, come protagonista, assieme a Omar Sharif, altro suo grande amico, in "La notte dei generali" di Anatole Litvak, in un cammeo come scozzese con cornamusa nel delirante "Casino Royale" dove incontra di nuovo Peter Sellers e Ursula Andress.

Riprende il ruolo di King Henry II a fianco di una fantastica Katharine Hepburn come Eleonora d'Aquitania in "Il leone d'inverno" diretto da Anthony Harvey, primo film che tenta una rilettura più realistica e moderna della storia inglese, per il quale O'Toole verrà nuovamente candidato all'Oscar. Lo ritroviamo nel meno riuscito "Caterina, sei grande" di Gordon Flemyng con Jeanne Moreau, poi nel musical "Goodbye, Mr. Chips" di Herbert Ross, che gli frutta un'altra candidatura all'Oscar.

Da tempo diventato un attore difficile, troppo dedito all'alcool, si specializza in ruoli di borderline. Nel 1970 lo troviamo in "Lo strano triangolo" con Susannah York, "L'uomo che vien dal nord" di Peter Yates con sua moglie Sian Phillips, in "Under Milkwood" di Andrew Sinclair tratto da Dylan Thomas dove si riunisce con i suoi più cari amici, Rchard Burton e Liz Taylor. Torna grandissimo in "The Ruling Class" di Peter Medak, da noi tradotto come "La classe dirigente", dove interpreta Jack Arnold Alexandre Tancred Gurney, il 14° conte di Gurney, ultimo rampollo pazzo e ubriacone di una nobile famiglia. Nessuno sa interpretare come lui un ruolo simile.

Ottiene un'altra candidatura all'Oscar, ma soprattutto torna sulla breccia con un film fresco e originale che gli riapre molte porte. Purtroppo non fu un successo il musical americano di Arthur Hiller girato a Roma "L'uomo della Mancha", dove interpreta un Don Chisciotte molto confuso accanto a James Coco come Sancio panza e a Sofia Loren come Dulcinea. Non è riuscito neppure lo spy "Operazione Rosebud" malgrado la regia di Otto Preminger e ancor meno "L'uomo venerdì".

Più curioso "Foxtrot" del messicano Arturo Ripstein dove riprende il ruolo del nobile decaduto. Lo troviamo con Burt Lancaster e John Mills in "Zulu Dawn" di Douglas Hickox e, soprattutto, con Malcolm McDowell, John Gielgud e Helen Mirren nel folle "Caligola" di Tinto Brass scritto da Gore Vidal e prodotto da Bob Guccione dove è un depravatissimo Tiberio. Va detto che la sua interpretazione nel "Caligola" è magistrale e giustamente fuori di testa, come tutto il film.

Ottiene un bel successo personale e una nuova candidatura all'Oscar nel 1980 con "Professione pericolo" ("The Stuntman") di Richard Rush, dove interpreta un eccentrico regista, candidatura che verrà riproposta nel 1982 per "My Favorite Year". Negli anni '80 Peter O'Toole interpreta un po' di tutto. Si è separato dalla moglie, Sian Phillipps, nel 1979, ha provato un tragico rientro al teatro shakesperiano nel 1980 con un "Macbeth" all'Old Vic finito tra i fischi, e gira tra set internazionale con non grande convinzione.

Tra un "Supergirl" e un "Dr Creator" lo afferra Bernardo Bertolucci nel 1987 per un buon ruolo di istitutore inglese in "L'ultimo imperatore". Ma è come se avesse perso il fascino che aveva negli anni '60. Lo troviamo in prodotti sempre più strani, nel film di Neil Jordan "High Spirits", in quello di Alejandro Jodorowsky "Il ladro dell'arcobaleno", dove ritrova Omar Sharif. A teatro è attivo fino ai primi anni '90.

Dove aver vinto un Oscar onorario nel 2003, che accetterà con qualche vena polemica, verrà candidato una ottava volta con "Venus" dell'inglese Roger Michell. In "Troy", dove interpreta Priamo, non lo ricordiamo nemmeno. Ormai è una specie di dinosauro. E' strano vederlo ancora in piedi nei film. "L'unica attività fisica che faccio", disse ai giornalisti, "è camminare dietro alle bare degli amici ai loro funerali".

Scrive ben due libri di memorie e, anche se ripete sempre che smetterà col cinema, lo ritroviamo sempre al lavoro. Nel 2007, ad esempio, doppia il terribile critico gastronomico Anton Ego nel cartoon della Pixar "Ratatouille". Per il 2014 sono previsti ben due film con lui, due polpettoni, "Katherine of Alexandria" e "Mary". Il primo è stato sicuramente girato.

 

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