IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – SOLO NELLA NEW HOLLYWOOD DEGLI ANNI ’70 POTEVA DIVENTARE UNA STAR UNA NON ATTRICE COME SHELLEY DUVALL, SCOMPARSA IERI A 75 ANNI, CON GLI OCCHI GRANDI, SCURI, IL FISICO BUFFO, LA PARLATA LENTA TEXANA. PROPRIO PER QUESTO, PER ESSERE L’OPPOSTO DI QUELLO CHE HOLLYWOOD INDICAVA COME UNA STAR, È STATA UN’EROINA AMATA DA GRANDI REGISTI, ROBERT ALTMAN, STANLEY KUBRICK, CHE SUL SET DI “SHINING” LE INSEGNÒ TUTTO QUELLO CHE NON AVEVA MAI SAPUTO SUL CINEMA, WOODY ALLEN, TIM BURTON…
Marco Giusti per Dagospia
Solo nella New Hollywood degli anni ’70 poteva diventare una star una non attrice come Shelley Duvall, scomparsa ieri a 75 anni, con gli occhi grandi, scuri, perennemente in movimento, il fisico buffo, la parlata lenta texana. Proprio per questo, magari, per essere l’esatto opposto di quello che Hollywood indicava come una star del cinema, formosa e sexy, da subito Shelley Duvall è stata un’eroina amata da grandi registi, Robert Altman, che l’aveva scoperta e diretta in ben sette film, Stanley Kubrick, che sul set di “Shining” le insegnò tutto quello che non aveva mai saputo sul cinema.
Woody Allen, Tim Burton, Steven Soderbergh, e da giovani registe coraggiose, Joan Miklin Silver (“Bernice Bobs Her Hair”) e Jane Campion (“Ritratto di signora”), che la videro come una paladina del cinema al femminile dopo “Nashville” e “Tre donne” e soprattutto come Wendy Torrence la donna martire non solo del maschio armato di mazza da baseball, ma anche del regista, maschio, che le impose ben 127 riprese della stessa identica scena.
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E un inferno di un anno e mezzo di follia che lei stessa paragonava alla guerra del Vietnam per i veterani. “È stato estenuante: sei giorni alla settimana, dalle 12 alle 16 ore al giorno, mezz'ora libera per il pranzo, per un anno e un mese. Il ruolo richiedeva che piangessi, wow, per almeno nove di quei mesi. Jack doveva essere sempre arrabbiato, e io dovevo essere sempre isterico. È stato sconvolgente”.
Per girare “Shining”, Shelley Duvall lascia il fidanzato del tempo, un cantante star come Paul Simon nel bel mezzo di un aeroporto. Lui voleva che lei interpretasse un film che lui le aveva scritto, “One-Trick Point”. Lei voleva girare “Shining” con Stanley Kubrick. Vedi un po’. Magari si sarà ammazzata su quel set assurdo, ma la sua Wendy è rimasta nella storia del cinema. E magari le sue partite a scacchi con Stanley erano anche divertenti.
Nata a Fort Worth, Texas, nel 1949, prima di quattro figli, a 21 anni, con nessuna esperienza né da attrice né di lavoro, si trova a Houston alla festa del suo fidanzato, Bernard Sampson, artista grafico, quando la vedono dei giovani collaboratori di Robert Altman e la trovano perfetta per il ruolo della protagonista di “Brewster McCloud”, il film che il regista deve girare subito dopo “Mash”, successo epocale in tutto il mondo.
Altman acchiappa il protagonista, un giovane attore buffo e molto nerd come Bud Cort, e lo porta fino a Houston per vederlo assieme a lei. Altman non le chiede di recitare, ma di parlare. Sono perfetti assieme. E lei porta una carica di freschezza, di innocenza che è raro trovare nel cinema di Hollywood. Altman si innamora del modo che ha di girare gli occhi mentre parla, della sua voce piatta texana, del suo corpo da uccello.
Sposa di corsa il suo fidanzato texano, che mollerà quattro anni dopo, quando ha deciso di fare davvero l’attrice. Altman le farà fare sette film uno dopo l’altro. Non le scrive nemmeno copioni e battute. Improvvisa. La vorrà in “McCabe and Mrs Miller”, “Thieves Like Us”, “Nashville”, “Tre donne”, “Buffalo Bill e gli indiani” e, ovviamente, come Olive Oyl in “Popeye” accanto a Robin Williams.
Per “Tre donne”, dove interpreta uno dei suoi personaggi preferiti, Millie Lammoreaux, lei, Sissy Spacek e Janice Rule vengono premiate al Festival di Cannes. Da più parti i critici chiedono almeno una chiamata all’Oscar per Shelly Duvall, che dice di aver scritto gran parte delle sue battute nel film. Mentre sta lì la chiama Kubrick per girare “Shining”. In Inghilterra. Non arriverà all’Oscar ma a Kubrick, sì.
“Bob Altman non mi hai mai trattato come fossi una professionista. Cioè in maniera intellettualistica. Prima di lui ero una conchiglia vuota”. Ragazza semplice, il cinema le apre le porte del mondo. Non era mai stata a Detroit, a Cleveland, a Buffalo, a New York. Non ha mai preso lezione di recitazione. Ci proverà negli anni ’70, ma scapperà di corso dall’Actor’s. Si trova bene solo dentro il cinema di Altman. “Bob è come una famiglia, mi fido di lui quasi implicitamente. Non farebbe mai nulla che possa ferirmi. Bob ha conquistato la mia fiducia fin dall'inizio. Mi ha incoraggiato a essere me stesso, a non prendere mai lezioni di recitazione o a prendermi troppo sul serio”. Non ha mai visto una commedia a teatro. In “Thieves Like Us”, dove è protagonista assieme a Keith Carradine la prima volta che si vede al cinema nota il suo dente storto.
Woody Allen la vuole per un ruolo in “Io e Annie”. Ma non funziona bene con lui. “Voleva tutto ‘Più veloce! Più veloce!’ Questa è stata la sua principale indicazione. Gli piace che i dialoghi siano veloci e per un texano, specialmente uno che è stato a New York solo un paio di volte a quel punto, è stato molto difficile”. Ma sta diventando una celebrità. A 27 anni recita una serie di sketch famosi al Saturday Night Live che tutta l’America ha visto, ha una storia d’amore con Paul Simon, assoluta della scena musicale americana, gira con lui “The Paul Simon Special” e i due si innamorano. Vivranno assieme a New York dal 1976 al 1979.
Non è più la ragazzetta sperduta del Texas. Magari non lo è mai davvero stata. Con Paul Simon si lasciano quando lui si mette con la sua amica Carrie Fisher. Gliel’aveva presentata lei… Ma anche perché lei ha deciso di andare a girare “Shining” con Kubrick. Esperienza dura, ma significativa. Ne ha sempre parlato con tranquillità. Mai facendo la vittima.
“Per essere una persona così affascinante e simpatica – anzi adorabile – Kubrick può fare delle cose piuttosto crudeli durante le riprese. Perché a volte mi sembrava che il fine giustificasse i mezzi. Non scambierei l'esperienza con niente al mondo. Perché? Grazie a Stanley è stata un'esperienza di apprendimento affascinante. Ma non vorrei riviverla di nuovo”.
Si consola della perdita di Paul Simon con un’altra star, Ringo Starr, poi con Dan Gilroy. Gira un film complesso come “Popeye” con Robert Altman a fianco di Robin Williams. Un musical. E’ perfetta. “Dio, da piccola, ero così imbarazzata quando i bambini mi chiamavano Olive Oyl perché significava che ero magra come un chiodo, avevo le zampe da passerotto e il pomo d'Adamo. Voglio dire, chi ammetterebbe di essere nata per interpretare Olive Oyl?”. Ma la troviamo anche in un cammeo in “Time Bandit” di Terry Gilliam.
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Produce e interpreta dal 1983 al 1985 ben 27 episodi di “Faerie Tale Theatre”, piccole fiabe classiche riviste da grandi registi e grandi attori. Ci lavorano talenti come Peter Medak, Ivan Passer, Roger Vadim, Tim Burton e Francis Coppola. Ne farà anche altri. Furono un grande successo in tv. Negli anni ’90 vive in mezzo agli animali, 11 cani, 12 pappagalli, 4 iguana.
Si compra i diritti di “Cowgirlsx”, buffo progetto iperfemminista. Lo girerà qualche anno dopo Gus Van Sant. La troviamo in “Roxanne” con Steve Martin, in “Ritratto di signora” di Jane Campion, in “Twilight of the Ice Nynph” di Guy Maddin e altre stravaganze. Ma ormai la sua grande stagione è finita. Si è ritirata da tempo in Texas, a Blanco, dove morirà di diabete. Nel sonno.
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