ORRORE SENZA FINE - UN INEDITO DI PRIMO LEVI: ‘’IL CONTAGIO DEL MALE NAZISTA, TRA COLLABORAZIONISMO E VENDITA DELLE COSCIENZE’’ – LEONARDO DE BENEDETTI, COMPAGNO DI PRIGIONIA DI LEVI: “MENGELE SORRIDEVA GENTILE MENTRE SELEZIONAVA GLI EBREI DA MANDARE NELLE CAMERE A GAS’’
1. COSÌ FU AUSCHWITZ
Da “la Stampa”
Uscirà per Einaudi il 27 gennaio, Giorno della Memoria, il volume Così fu Auschwitz (a cura di Fabio Levi e Domenico Scarpa, pp. 245, € 13), che raccoglie una serie
di testimonianze, in parte inedite, scritte tra il 1945 e il 1986 da Primo Levi e dal medico torinese Leonardo De Benedetti, suo compagno di prigionia. In questa pagina proponiamo uno stralcio del testo di Levi Testimonianza per Eichmann, uscito soltanto nel ’61 sulla rivista Il Ponte e riemerso di recente, e un brano della Denuncia contro il dott. Joseph Mengele resa nel 1959 da De Benedetti.
2. CAPIRETE COSA È IL CONTAGIO DEL MALE - COSÌ FU AUSCHWITZ: IN UN VOLUME TESTIMONIANZE INEDITE DELLO SCRITTORE E DI UN SUO COMPAGNO DI PRIGIONIA
Primo Levi, pubblicato da “la Stampa”
Pensate: non più di venti anni fa, e nel cuore di questa civile Europa, è stato sognato un sogno demenziale, quello di edificare un impero millenario su milioni di cadaveri e di schiavi. Il verbo è stato bandito per le piazze: pochissimi hanno rifiutato, e sono stati stroncati; tutti gli altri hanno acconsentito, parte con ribrezzo, parte con indifferenza, parte con entusiasmo. Non è stato solo un sogno: l’impero, un effimero impero, è stato edificato: i cadaveri e gli schiavi ci sono stati. [...]
Ma c’è stato anche di più e di peggio: c’è stata la dimostrazione spudorata di quanto facilmente il male prevalga. Questo, notate bene, non solo in Germania, ma ovunque i tedeschi hanno messo piede; dovunque, lo hanno dimostrato, è un gioco da bambini trovare traditori e farne dei sàtrapi, corrompere le coscienze, creare o restaurare quell’atmosfera di consenso ambiguo, o di terrore aperto, che era necessaria per tradurre in atto i loro disegni.
Tale è stata la dominazione tedesca in Francia, nella Francia nemica di sempre; tale nella libera e forte Norvegia; tale in Ucraina, nonostante vent’anni di disciplina sovietica; e le medesime cose sono avvenute, lo si racconta con orrore, entro gli stessi ghetti polacchi: perfino entro i Lager. È stato un prorompere, una fiumana di violenza, di frode e di servitù: nessuna diga ha resistito, salvo le isole sporadiche delle Resistenze europee.
Negli stessi Lager, ho detto. Non dobbiamo arretrare davanti alla verità, non dobbiamo indulgere alla retorica, se veramente vogliamo immunizzarci. I Lager sono stati, oltre che luoghi di tormento e di morte, luoghi di perdizione. Mai la coscienza umana è stata violentata, offesa, distorta come nei Lager: in nessun luogo è stata più clamorosa la dimostrazione cui accennavo prima, la prova di quanto sia labile ogni coscienza, di quanto sia agevole sovvertirla e sommergerla. Non stupisce che un filosofo, Jaspers, ed un poeta, Thomas Mann, abbiano rinunciato a spiegare l’hitlerismo in chiave razionale, ed abbiano parlato, alla lettera, di «dämonische Mächte», di potenze demoniache.
Su questo piano acquistano senso molti particolari, altrimenti sconcertanti, della tecnica concentrazionaria. Umiliare, degradare, ridurre l’uomo al livello dei suoi visceri. Per questo i viaggi nei vagoni piombati, appositamente promiscui, appositamente privi d’acqua (non si trattava qui di ragioni economiche). Per questo la stella gialla sul petto, il taglio dei capelli, anche alle donne. Per questo il tatuaggio, il goffo abito, le scarpe che fanno zoppicare. Per questo, e non la si comprenderebbe altrimenti, la cerimonia tipica, prediletta, quotidiana, della marcia al passo militare degli uomini-stracci davanti all’orchestra, una visione grottesca più che tragica. Vi assistevano, oltre ai padroni, reparti della Hitlerjugend, ragazzi di 14-18 anni, ed è evidente quali dovevano essere le loro impressioni. Sono questi, dunque, gli ebrei di cui ci hanno parlato, i comunisti, i nemici del nostro paese? Ma questi non sono uomini, sono pupazzi, sono bestie: sono sporchi, cenciosi, non si lavano, a picchiarli non si difendono, non si ribellano; non pensano che a riempirsi la pancia. È giusto farli lavorare fino alla morte, è giusto ucciderli. È ridicolo paragonarli a noi, applicare a loro le nostre leggi.
Allo stesso scopo di avvilimento, di degradazione, si arrivava per altra via. I funzionari del campo di Auschwitz, anche i più alti, erano prigionieri: molti erano ebrei. Non si deve credere che questo mitigasse le condizioni del campo: al contrario. Era una selezione alla rovescia: venivano scelti i più vili, i più violenti, i peggiori, ed era loro concesso ogni potere, cibo, vestiti, esenzione dal lavoro, esenzione dalla stessa morte in gas, purché collaborassero. Collaboravano: ed ecco, il comandante Höss si può scaricare di ogni rimorso, può levare la mano e dire «è pulita»: non siamo più sporchi di voi, i nostri schiavi stessi hanno lavorato con noi. Rileggete la terribile pagina del diario di Höss in cui si parla del Sonderkommando, della squadra addetta alle camere a gas e al crematorio, e capirete cosa è il contagio del male.
3. E MENGELE, SORRIDENDO, CONDANNAVA E SALVAVA - LA TESTIMONIANZA DI LEONARDO DE BENEDETTI CONTRO L’AGUZZINO: ERA ELEGANTE, QUASI GENTILE
Leonardo De Benedetti per “la Stampa”
Io fui deportato, nella mia qualità di Ebreo, dall’Italia il 20 Febbraio 1944 e giunsi alla stazione di Auschwitz la sera del 26 Febbraio 1944. Il convoglio di cui facevo parte era composto di 650 persone, delle quali il più vecchio aveva 85 anni, il più giovane 6 mesi. Appena scesi dal treno, nella stessa banchina della stazione ebbe luogo la prima selezione; io ebbi la fortuna di essere giudicato abbastanza giovane e ancora atto al lavoro, mentre mia moglie (che era con me e dalla quale fui repentinamente e brutalmente separato) fu avviata la notte stessa alla camera a gas, come appresi dopo la liberazione da alcune sue compagne scampate.
Nella stessa serata io, con altri 95 compagni, fui trasportato direttamente al Campo di Monowitz-Buna, ove ricevetti il numero di Matricola 174489 e dove rimasi fino al 17 Gennaio 1945, quando venni liberato dall’Armata Rossa. Durante tutti questi undici mesi, io dovetti lavorare in qualità di manovale presso diversi «Kommandos», tutti compiti molto faticosi; erano sempre lavori di scarico o di trasporti, non essendo mai riuscito a far valere presso l’«Arbeitsdienst» la mia qualità di medico e perciò non mi fu data la possibilità di entrare come medico o anche soltanto come semplice infermiere nel «Krankenbau».
Le mie condizioni fisiche ebbero naturalmente a subire un rapido e grave tracollo per la durissima fatica cui ero – come tutti gli altri prigionieri – sottoposto e che qui non è il caso di descrivere, anche perché oramai le condizioni di vita nei Lager sono note a tutti. Così, come è risaputo da tutti, ogni tanto si procedeva nei Lager alle cosiddette «selezioni», a quell’esame cioè delle condizioni fisiche dei prigionieri per rilevarne l’attitudine al lavoro: coloro che in seguito alle fatiche, alle sevizie, alla fame o alle malattie erano ridotti in uno stato di deperimento tale che ne compromettesse le possibilità di resistere al massacrante lavoro, erano avviati alle camere a gas.
Queste selezioni, nel campo di Monowitz, avvenivano in due tempi: la prima scelta era fatta da un ufficiale delle SS assistito dagli stessi medici del Krankenbau del campo e alcuni giorni dopo giungeva il dottor Mengele a sanzionare, attraverso una seconda visita, altrettanto rapida e superficiale, la scelta operata dal primo.
Entrambi gli esami erano, come ho detto, ridicolmente sommari: un’occhiata era sufficiente per stabilire un giudizio; e se, dopo la prima scelta, poteva persistere nei più ottimisti una sia pur debolissima ed ingenua speranza di potersi ancora salvare, la seconda scelta – quella operata dal dottor Mengele – era definitiva e rappresentava un giudizio inappellabile e una sentenza irrevocabile di morte.
I prigionieri arrivano ad Auschwitz
Il dottor Mengele si presentava al campo sempre in divisa irreprensibile e molto elegante e quasi raffinata, con gli alti stivaloni lucentissimi, i guanti di pelle, un frustino in mano; e mentre procedeva al tremendo esame assumeva un’aria sorridente e quasi gentile; con il frustino, man mano che i giudicandi sfilavano di corsa, nudi, davanti al suo sguardo, e si fermavano un attimo davanti a lui, indicava con suprema indifferenza il gruppo al quale il suo giudizio infallibile aveva assegnato il prigioniero: a sinistra i condannati, a destra quei pochissimi fortunati che egli giudicava ancora atti al lavoro, almeno fino alla prossima selezione. [...]