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PARTIGIANO O REPUBBLICHINO? - A SALO’ IL MUSEO SUI 600 GIORNI DELLA REPUBBLICA SOCIALE CON LA POSSIBILITA’ DI CONFRONTARE SCELTE OPPOSTE - LA SCELTA FRA “VINCITORI” E “VINTI” FU PIÙ DIFFICILE, E DOLOROSA, DI QUANTO POSSIAMO IMMAGINARE

Luigi Mascheroni per “il Giornale”

 

Non c'è un reperto, non una divisa, un'arma o una lettera, nulla su cui si sia depositata la polvere della Storia. Non ci sono teche né espositori. Di per sé non c'è neanche un vero percorso.

repubblica sociale musarepubblica sociale musa

 

Eppure, qui dentro, nelle luminose sale high tech del MuSa, il museo aperto dentro l'ex complesso di Santa Giustina a Salò, c'è tutto il dramma della Repubblica Sociale Italiana. I grandi eventi che hanno ferito - con cicatrici ancora non rimarginate oggi- l'Italia alla fine della Seconda guerra mondiale, e la piccola storia quotidiana nella quale sono sprofondate, e spesse si sono divise, milioni di famiglie.

 

Benvenuti al museo della Rsi, una sfida ai luoghi comuni che ancora accompagnano la parola museo, e soprattutto che avvolgono l'epopea, da sempre tabù, della Repubblica sociale. Finalmente l'Italia ha il coraggio di «far vedere» tutta la storia. Senza pregiudizi, senza vergogna, senza apologia, senza falsi revisionismi.

 

Il museo della Rsi, curato, con Elena Pala, dallo storico Roberto Chiarini, da dieci anni direttore del «Centro studi sul periodo storico della Repubblica sociale», è allestito dentro il nuovo MuSa (di fatto ne è una sezione), il museo della città di Salò che dopo un anno di lavoro per la progettazione, due mesi di allestimento e un milione di euro di spesa, inaugura oggi. E si spera - visto il rigore della ricostruzione scientifica - senza polemiche, da parte dell'Anpi o di altri.

 

musa museo rsimusa museo rsi

«Il nostro intento non è esprimere un giudizio etico-politico, che spetta alla coscienza di ciascuno. E non è neppure un intento meramente didascalico-pedagogico. Quello che vogliamo fare - dice Chiarini, fra i massimi storici italiani della Destra e del neofascismo - è immergere il visitatore nel dramma che squassò le coscienze e le vite dei nostri padri e dei nostri nonni. Trasmettere la paura e il coraggio di fronte al dilemma di quanti nell'Italia di settant'anni fa dovettero fare una scelta».

 

E da qui, dalla prima sala, «La scelta», inizia il percorso lungo i 600 giorni della Rsi, quando nel novembre del '43 nelle case delle famiglie del Centro e del Nord d'Italia arriva la cartolina con la chiamata alle armi dello Stato Nazionale Repubblicano...

 

C'è il pannello con la famosa frase tratta da Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino: «E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte... a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso».

 

Una videoproiezione ricostruisce la scena dentro una qualunque casa italiana del '43: due attori recitano la parte di due fratelli chiamati a scegliere, e spiegare, le proprie ragioni. Il primo, che gli altri chiameranno spregiativamente «repubblichino», decide di arruolarsi a Salò.

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Il secondo, bollato dagli avversari come «ribelle», fugge in montagna fra i partigiani. E ora, visitatore, sta a te scegliere: da chi vuoi farti narrare quegli eventi lontani? Basta un clic per decidere il tuo percorso audio... E appena i dati delle visite saranno disponibili (qui verranno di sicuro molte scolaresche), sarà interessante sapere in quanti avranno scelto la divisa nera e in quanti il fazzoletto rosso.

 

Eccolo il modulo narrativo di questo strano museo, con schematici pannelli cronologici, cartine essenziali, fotografie e manifesti di Boccasile, tutto virato sul blu (colore-guida dell'elegante allestimento firmato dall'architetto Giovanni Tortelli), tante infografiche e video, ma senza cimeli.

 

«Immaginate cosa poteva succedere se avessi portavo qui, chessò, i gambali di Mussolini o le lettere della Petacci... Qualsiasi esposizione è in qualche modo una “monumentalizzazione”, a rischio di apologia... - spiega Chiarini - Non è in discussione quale sia la causa giusta e quale quella sbagliata. Vogliamo semmai mettere lo spettatore davanti alla tragedia che divise l'Italia».

 

rsirsi

E dividendo di volta in volta la coscienza dello spettatore, il percorso corre lungo la «Vita quotidiana» (i due fratelli divisi da opposte ideologie confortano la propria famiglia sfollata: «Perché per quanto io mi sforzi di proteggervi, non posso fare niente contro le bombe che cadono dal cielo...

 

Ma so che quello che stiamo facendo è la cosa giusta... combattere per il nostro popolo, per la nostra Italia, guidati dal nostro Duce...», dice il repubblichino; «... sono sicuro che quando questa guerra sarà finita lo sarà grazie al nostro coraggio. E allora, anche se niente sarà più come prima, faremo il possibile perché almeno qualcosa sia migliore...», dice il partigiano.

 

E poi, di sala in sala, di video in video, si passa nei rifugi antiaerei, e poi attraverso le privazioni (fra carte annonarie, orti di guerra e i «surrogati» che addolcivano una dura esistenza: la Frappeina, un frappé senza latte, l'astragalo che fece malamente le veci del caffè...), «La violenza e i rastrellamenti» (il video narra, dai due diversi punti di vista, la preparazione di un'imboscata da parte dei partigiani arrestati dai repubblichini), fino all'epilogo: «Mussolini è finito».

 

Nella sala: bauli, valigie di documenti e un rarissimo fotogramma che coglie il Duce infagottato sul camion tedesco in fuga verso Dongo. E nella videoproiezione un uomo solo, su un balcone affacciato sul lago di Garda, che ricorda, in flashback , quando da un altro balcone parlava alla folla di piazza Venezia. Due voci commentano. «Qui finisce l'Italia...». «Ora la ricostruiamo...».

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Repubblichini e ribelli, vincitori e vinti. Da qui, sulla riva occidentale del Garda, tra l'ottobre del '43 e l'aprile del '45, è passata la Storia. L'Albergo Laurin, sede del Ministero degli Esteri, Villa Amadei, che ospitava il MinCulPop, l'ex Liceo Fermi, dove c'era la X Mas, le scuole “Cervi”, dove battevano le veline gli impiegati dell'Agenzia Stefani, l'Albergo Italia, che era la Casa del Fascio e delle Guardie del Duce, Villa Feltrinelli, a Gargnano, dove per tutti quei lunghi 600 giorni visse la famiglia Mussolini e che oggi è un Grand Hotel cinque stelle. Dal turismo vacanziero al turismo culturale.

 

Oggi Salò, e il suo periodo più terribile e doloroso, ha il proprio museo. Dentro, oltre alla ricostruzione scenica, c'è anche un bellissimo video di nove minuti estrapolato da cinque ore di interviste che, in loop , dà voce a quattro ragazzi di allora, oggi novantenni. Una staffetta partigiana della Fiamme Verdi, un partigiano della Brigata Garibaldi, una ausiliaria della Rsi, un milite della Decima MAS.

giordano bruno guerrigiordano bruno guerri

 

Il nonno della ausiliaria era comunista. Mentre la staffetta partigiana era entusiasta del Duce fino a quando scoppiò la guerra. A dirci che la scelta fra «vincitori» e «vinti» fu più difficile, e dolorosa, di quanto possiamo immaginare oggi.

 

Il museo

Il «MuSa», Museo di Salò, allestito nell'ex monastero di Santa Giustina, diretto da Giordano Bruno Guerri, è diviso in sezioni (raccolta civica di disegni, codici miniati, collezione anatomica «Rini»...) tra cui quella curata da Roberto Chiarini sulla storia della Rsi. Info: www.museodisalo.it

Libri

Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere (Garzanti, 2010)

Roberto Chiarini, L'ultimo fascismo. Storia e memoria della Repubblica di Salò (Marsilio, 2009)

giordano bruno guerrigiordano bruno guerri

Lutz Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia. 1943-45 (Bollati Boringhieri, 2007)

 

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