pasolini davoli

NINETTO, IL GRANDE AMORE DI PASOLINI E IL TABU’ DELLA PEDOFILIA - ROBERTO CARNERO SU “AVVENIRE”: NEL VOLUME DELLE "LETTERE" APPENA USCITO PER GARZANTI, RISPETTO ALL'EDIZIONE ORIGINALE CHE USCÌ PER EINAUDI, CI SONO PARECCHIE OMISSIONI, MOLTE DELLE QUALI LEGATE ALL'AMORE DI PASOLINI PER NINETTO DAVOLI (CHE AVEVA 14 ANNI QUANDO INCONTRÒ IL REGISTA LA PRIMA VOLTA) – TREVI: “NON HA SENSO DIFENDERE UNO SCRITTORE COSÌ ESPLICITO, COME ERA PASOLINI, DALLA SUA VITA”

Simonetta Sciandivasci  per “La Stampa”

PASOLINI DAVOLI

 

Di quello che di Pasolini è stato frainteso, trasfigurato e manipolato, s' è detto. E s' è detto anche di quello che ha scritto, interrotto, avrebbe potuto ancora scrivere. Eppure, il discorso su di lui non si conclude e, anzi, s' allarga.

 

PASOLINI COVER

Ora si discute di cosa si decide di dire e non dire, mostrare o non mostrare, e di come (e se) questo abbia a che fare con lo spirito del nostro tempo. Sul Corriere della Sera, Paolo Di Stefano ha ripreso quanto Roberto Carnero, professore e studioso di Pasolini (ha appena pubblicato Pasolini, Morire per le idee, Bompiani), ha fatto notare con preoccupazione su Avvenire: nel volume delle Lettere appena uscito per Garzanti, rispetto all'edizione originale che uscì per Einaudi, ci sono parecchie omissioni, molte delle quali legate all'amore di Pasolini per Ninetto Davoli (che aveva 14 anni quando incontrò il regista la prima volta).

 

Nel suo articolo, che principia mettendo sul piatto la cancel culture, Di Stefano scrive, in accordo con Carnero, che la ripulitura sarebbe avvenuta per «sottrarre Pasolini all'accusa di pedofilia». Emanuele Trevi, che del medesimo epistolario ha scritto con entusiasmo, e che su Pasolini ha costruito il suo Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie, 2018), dice alla Stampa: «Non credo abbia senso difendere uno scrittore così esplicito, come era Pasolini, dalla sua vita. Esattamente come Gabriel Matzneff, non ha mai nascosto niente. La bellezza dello scandalo, del resto, sta nell'ipocrisia.

ROBERTO CARNERO

 

 Mi viene sempre in mente, in casi come questo, Ulisse che va dai Feaci e, dopo aver raccontato le sue storie, si copre, si vela e piange: i Feaci si accorgono del suo pianto proprio perché si nasconde. Ciò detto, Carnero e Di Stefano hanno tutto il diritto di avanzare critiche a una scelta editoriale, così come chi l'ha fatta aveva il diritto di farla: è un nobilissimo braccio di ferro. A me l'epistolario di Garzanti ha entusiasmato, e l'ho scritto». Ma che scelta editoriale è quella che omette un fatto tanto significativo di un autore, specie in un epistolario, che è un documento biografico?

 

PASOLINI DAVOLI

«L'equivoco nasce dalla lettera, che può essere tante cose: un esercizio squisitamente letterario, innanzitutto. All'inizio di questo epistolario, ce n'è una di Pasolini al fratello morto, con tanto di epigrafe. Ma la lettera può essere anche un documento, una confessione non elaborata letterariamente. C'è un'ambiguità nello statuto: che cosa sono le lettere di uno scrittore?

 

 L'epistolario di Keats è un trattato di poesia romantica essenziale, ma contiene anche notizie private dell'autore. Le lettere di Pasolini, invece, hanno a che fare con un vissuto elaborato letterariamente: è lui che decide quale immagine di sé riscrivere artisticamente. Credo che, allora, la posta in gioco non sia la trasformazione della vita in opera d'arte: il discrimine vero è tra esperienza e scrittura. E per me non c'è differenza tra una lettera finta e una vera. Evidentemente, i familiari hanno giudicato inopportuno il tono confidenziale di alcune parti: è impossibile giudicare l'operazione, la cancel culture non c'entra»

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