1- GIULIETTO È SDEGNATO, GRILLI BASTONATO E L’UNICO STRACCIO DI IDEA È QUELLA CHE VUOLE IL MINISTRO DELL’ECONOMIA “COMMISSARIATO” DA TIPINI COME GALAN E CROSETTO 2- ANCHE PER LE BANCHE ITALIANE È ARRIVATO IL MOMENTO DELLA VERITÀ, MA C’È GENTE COME PIETRO MODIANO CHE SENZA PUDORE RICORDA LA STAGIONE DEI “DERIVATI” 3- INVECE DI PREOCCUPARSI DI BANCA INTESA (MAGARI CON QUALCHE AUTOCRITICA, DA AIRONE AD ALITALIA), PASSERA FA IL “RISERVISTA” ANTI-BERLUSCA: “ABBIAMO I PROBLEMI DI SEMPRE A CUI SI AGGIUNGONO I PROBLEMI DEGLI ULTIMI MESI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EVIDENTI IN TUTTO IL MONDO. E ABBIAMO UNA MANOVRA FATTA IN MANIERA CONFUSA” 4- GLI GNOMI DI ZURIGO PUNTANO SU ERMOTTI, IL MANAGER PERFETTO CHE PIACEVA TANTO A PROFUMO E CHE MARPIONNE CONSIDERA L’ASSO NELLA MANICA PER I GUAI DELLA FIAT: SCORPORARE FERRARI DAL LINGOTTO PER METTERLA SOTTO L’OMBRELLO EXXOR 4- BEBè BERNABÈ PIANGE SULLE SPALLE DELL’AMICO GIANNI LETTA PER L’ASTA DELLE FREQUENZE TELEFONICHE: 2,9 MILIARDI CHE SONO STATI SOTTRATTI AGLI INVESTIMENTI
1- ANCHE PER LE BANCHE ITALIANE Ã ARRIVATO IL MOMENTO DELLA VERITÃ, MA C'Ã GENTE COME PIETRO MODIANO CHE SENZA PUDORE RICORDA LA STAGIONE DEI "DERIVATI"
I banchieri italiani che hanno partecipato all'Assemblea del Fondo Monetario di Washington sono tornati questa mattina in Italia con le orecchie arrossate dalla dura reprimenda che il segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner, ha rivolto ai Paesi dell'Eurozona.
Nessuno di loro ha voluto commentare lo scenario apocalittico dell'uomo di Obama che si è vendicato per l'indifferenza con cui era stato ascoltato appena una settimana prima durante un vertice in Polonia. Durante i ricevimenti offerti all'ambasciata d'Italia, sia Ghizzoni che Passera hanno evitato giudizi e con parole abbastanza ovvie si sono limitati a ribadire la solidità del Sistema Italia.
Soltanto Corradino Passera si è concesso una battuta sull'incertezza che regna nel nostro Paese e ha aggiunto qualche parolina velenosa nei confronti del governo quando ha detto: "abbiamo i problemi di sempre a cui si aggiungono i problemi degli ultimi mesi del presidente del Consiglio evidenti in tutto il mondo. E abbiamo una manovra fatta in maniera confusa".
Adesso è inutile aggiungere il nome dell'ex-McKinsey alla lunga lista dei "riservisti" che si candidano a scendere in politica accanto a Monti, Profumo, Montezemolo, Abete e per qualcuno anche la Marcegaglia. Prima di qualsiasi pronunciamento sarebbe opportuno che i nostri banchieri tenessero d'occhio l'enorme preoccupazione della loro clientela. Non passa giorno in cui non si leggono episodi che tradiscono il panico di migliaia di imprese alle quali stanno arrivando letterine micidiali che annunciano il raddoppio dei tassi sulle linee di credito concesse dalle banche.
Qualche cliente ha deciso di ritirare i depositi sul conto corrente per chiudere i contanti in una cassetta di sicurezza, mentre altri stanno cercando di capire come in Grecia si siano suicidate decine di persone. Per le banche è arrivato il momento della verità e non è da escludere che in uno di questi giorni assisteremo a una marcia su Piazza Affari sul tipo di quella che è avvenuta ieri a Wall Street da parte degli "indignados".
In questa situazione di allarme rosso l'autocritica non basta più e chi la fa rischia di attirarsi soltanto un'amara ironia. Eppure c'è gente come Pietro Modiano, il banchiere milanese che dopo aver saltellato ai vertici di Unicredit e di IntesaSanPaolo, sente il bisogno fisico di esternare con disinvoltura sui derivati, i frutti tossici che hanno messo nei guai migliaia di clienti.
All'età di 60 anni con i capelli ingrigiti e due poltrone a disposizione (Nomisma e Carlo Tassara) pensa che sia giunto il momento per rinnegare la sua esperienza, e lo fa in un'intervista riportata sabato dal settimanale "MilanoFinanza" dove a proposito dei frutti tossici dice testualmente: "poiché l'albero si giudica dai frutti, non possiamo negare di aver fatto errori, eppure il mercato ci esaltava, anche perché abbiamo realizzato una macchina molto efficiente", e a quanto pare l'esaltazione e l'efficienza erano tali da procurare danni "sul fronte della distribuzione perché abbiamo sottovalutato l'effetto dei nuovi prodotti su una rete non abbastanza specializzata".
Nelle ultime settimane il marito dell'ex-ministro Barbara Pollastrini si è sprecato per sostenere la sua idea di una patrimoniale che procuri un gettito di 200 miliardi senza compromettere il risparmio dell'80% delle famiglie italiane. Nonostante gli sforzi sorretti dalla simpatia dei vecchi amici del Pd e di Gad Lerner, il progetto della patrimoniale stenta ad andare avanti. Questo non impedisce all'ex-banchiere di ammettere con la più grande faccia tosta che la stagione dei derivati è stata piena d'errori e ha procurato una parte dei danni che oggi pesano nelle tasche degli italiani e nelle casse delle banche.
Come diceva Napoleone I: "dal sublime al ridicolo il passo è breve", ma purtroppo da ridere è rimasto poco.
2- GLI GNOMI DI ZURIGO PUNTANO SU ERMOTTI, IL MANAGER PERFETTO CHE PIACEVA TANTO A PROFUMO E CHE MARPIONNE CONSIDERA L'ASSO NELLA MANICA PER I GUAI DELLA FIAT
Se è vero che Mozart a quattro anni suonava il pianoforte e a cinque componeva, è altrettanto vero che Sergio Ermotti, il banchiere ticinese nominato a fine settimana al vertice del colosso svizzero Ubs, a 14 anni ha iniziato la sua carriera presso una banca di Lugano.
Nella sua biografia si legge che dopo l'apprendistato è stato subito promosso al grado di mandatario commerciale e già nell'87 era vicepresidente a Zurigo di Merrill Lynch che poi lo mandò a Londra a dirigere la divisione dei derivati europei.
Da questa mattina il 61enne manager siede a capo del board di Ubs composto da altri 12 gnomi svizzeri che devono risollevare le sorti della banca dopo la truffa del dipendente ganese che ha fatto sparire 2,3 miliardi.
Sembra quasi una barzelletta ma anche in questo caso si ripete ciò che è avvenuto alla Societé Générale nel gennaio 2008 quando l'anonimo impiegato Jerome Kerviel procurò alla seconda banca francese un buco di 4,9 miliardi. Sarà tutto vero, ma certo nei pub di Londra qualcuno pensa malignamente che per coprire le loro voragini i più grandi colossi della finanza scaricano addosso a qualche disgraziato la capacità di perforare i forzieri.
Adesso Ermotti, che è stato nominato ad interim dovrà rimboccarsi le maniche, ma dovrà farlo con il garbo imposto dal prontuario che l'Ubs ha distribuito pochi mesi fa ai suoi dipendenti e di cui Dagospia aveva dato un'ampia descrizione. Nella banca svizzera - così si legge nel manuale dei comportamenti - l'odore del corpo non deve tradire il sudore, non si devono usare braccialetti, piercing, tatuaggi, creme e la biancheria intima non può eccedere le normali misure (questo avvertimento vale ovviamente per le donne).
Sotto questo profilo Ermotti è perfetto perché ha il fisico del manager ideale che trasuda efficienza da tutti i pori, ed è questa la ragione per cui nel 2005 Alessandro Profumo lo imbarcò in Unicredit mettendogli tra le mani la divisione Markets and investment banking.
Quando Alessandro il Grande lasciò la banca il perfetto Ermotti si aspettava di diventare numero tre di piazza Cordusio, ma fu bruciato dalle manovre del Palazzo e del massiccio Palenzona che gli preferirono la trimurti Ghizzoni, Fiorentino, Nicastro.
Per il banchiere ticinese fu uno schiaffo insopportabile e dopo dieci anni di frequentazioni intense con Profumo rafforzate da una comune fede per l'Inter, decise di ritornare in quella Svizzera e in quella banca dove aveva conosciuto Sergio Marpionne. L'intesa tra i due manager è sempre stata solida e si è interrotta soltanto quando il manager dal pullover sgualcito (indecente per il "prontuario Ubs") ha lasciato la carica di vicepresidente della banca svizzera per tuffarsi nell'avventura americana.
Adesso esistono tutte le condizioni per riannodare i rapporti perché Ubs non ha mai smesso di seguire le vicende di Marpionne e di Fiat Chrysler. Nei giorni scorsi la seconda banca mondiale che in un anno ha perso in Borsa oltre il 33%, ha elaborato un dossier pieno di giudizi positivi sul futuro della Fiat e ha suggerito a Marpionne la strada per uscire dalla crisi.
Secondo quanto rivelato sabato dal settimanale "MilanoFinanza", l'idea partorita da Ermotti sarebbe quella di scorporare la Ferrari dall'azienda del Lingotto per metterla sotto l'ombrello della cassaforte Exxor con il risultato di valorizzare per 4,5-5,5 miliardi la società del Cavallino rampante. Non a caso ieri a Singapore dove campeggiava sulla pista della Formula1 la pubblicità dell'Ubs, avrebbero dovuto riunirsi i 13 gnomi dell'Istituto svizzero, ma la nomina di Ermotti che rappresenta un tappo provvidenziale e provvisorio li ha costretti a rientrare precipitosamente a Zurigo.
3- GIULIETTO Ã SDEGNATO, GRILLI BASTONATO E L'UNICO STRACCIO DI IDEA Ã QUELLA CHE VUOLE IL MINISTRO DELL'ECONOMIA COMMISSARIATO
Offeso, sdegnato e soprattutto silenzioso. Così è apparso Giulietto Tremonti nei corridoi del Fondo Monetario dove i giornalisti italiani hanno cercato invano di strappargli qualche giudizio sulle polemiche con il Presidente Patonza.
Anche le due giornaliste, Stefania Tamburello del "Corriere" ed Elena Polidori di "Repubblica", che da vent'anni rispettano il mandato divino di seguire i lavori del Fondo Monetario, hanno dovuto arrendersi di fronte alla reticenza del ministro. Appena tornato in Italia l'ex-tributarista si è chiuso nella sua casa di Pavia e ha staccato il telefono. C'è qualcosa di drammatico in questa solitudine che non riceve conforto nemmeno dall'apprezzamento di Mario Monti e di Eugenio Scalfari alla sua assenza nella votazione della Camera per l'arresto di Milanese.
Questa sera Giulietto dovrebbe incontrare Bossi per trovare una spalla su cui lacrimare e verso le 21 sarà seduto davanti al televisore per assistere all'"Infedele", il programma di Gad Lerner che avrà ospite Mario Monti, il più autorevole tra i "podestà forestieri" capace di tirar fuori qualche idea per uscire dalla crisi.
Perché una cosa è certa: non è certo nelle battute sprezzanti di Galan e di Crosetto (il politico che più assomiglia all'Hulk dei cartoni animati) che si può ritrovare il modo di riempire un pacchetto di proposte per uscire dai guai, ed è probabile che Giulietto rida nel suo intimo quando sente che le ricette nuove dovrebbero arrivare da liberisti frusti come Antonio Martino e il premio Nobel 81enne Gerry Becker che hanno bevuto il latte alla scuola di Chicago di Milton Friedman.
Purtroppo anche la tecnostruttura di via XX Settembre appare disarmata con quel Vittorio Grilli che è stato bastonato per la Banca d'Italia, e nemmeno si può attingere alle cinque proposte della "ingrata" Marcegaglia che pensa di far deflagrare l'universo ma forse si sta già rendendo conto che i suoi ultimatum sono esagerati.
Qualcosa di più si potrà capire soltanto a metà settimana quando nel delirio di Palazzo Chigi che vorrebbe commissariare il ministro del rigore, quest'ultimo tornerà a Roma e riunirà intorno a un tavolo per un seminario un gruppo ristretto di tecnici e imprenditori. Qualcuno ha scritto che si sta preparando a replicare il copione già visto sul panfilo Britannia nel '92 e che si aprirà una nuova stagione di privatizzazioni per vendere gioielli e immobili dello Stato. Sono tutte ipotesi perché in realtà il Tremonti offeso, sdegnato e silenzioso non ha tra le mani gli antibiotici per curare l'economia malata.
4- BERNABÃ PIANGE SULLE SPALLE DI GIANNI LETTA PER L'ASTA DELLE FREQUENZE TELEFONICHE
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che oggi Franchino Bernabè si recherà a L'Aquila per inaugurare la nuova biblioteca "Salvatore Tommasi" restaurata dopo il terremoto.
In questa occasione il manager di Telecom potrà esprimere a Gianni Letta il suo disappunto per come è andata l'asta sulle frequenze della telefonia mobile di quarta generazione che si è conclusa venerdì con un enorme sforzo finanziario da parte di Telecom, Vodafone e Wind. Dopo 322 rilanci l'asta si è chiusa portando nelle casse dello Stato 2,9 miliardi che secondo Bernabè sono stati sottratti agli investimenti.
Un fardello che con il titolo Telecom a 0,77 rischia di metterlo in grande difficoltà con i soci che controllano l'azienda".














