IL RACCONTO DI BECHIR, EX CALCIATORE DELLA SERIE A TUNISINA, PASSATO CON L’ISIS NEL LIBRO DI SIMONE DI MEO “HO SCELTO DI VIVERE ALL’INFERNO”: “I RICCHI ARABI COMPRAVANO LE DONNE SALDANDO CON ORO E GIOIELLI. MA PRETENDONO CHE LA ‘SPOSA’ SIA CONSEGNATA LORO PERFETTAMENTE DEPILATA NELLE PARTI INTIME...”
Estratto del libro di Simone Di Meo “Ho scelto di vivere all’inferno” - Edizioni Imprimatur
I combattenti e tutti quelli che hanno raggiunto una certa posizione all’interno dello Stato Islamico beneficiano di diritti superiori. Non solo di natura economica ma anche sociale. Vivono meglio, insomma. Se sei ricco o se sei importante, il Califfato è un posto migliore di tanti altri, in Medioriente. Questa è una delle poche verità nei discorsi di Al Baghdadi che mi sento di confermare. A patto, ovviamente, che ti abitui a vivere all’inferno.
LIBRO DI SIMONE DI MEO - HO SCELTO DI VIVERE ALL INFERNO
Puoi sposarti, comprare casa, fare shopping, avere auto di lusso, godere di molte donne anche contro la loro volontà. Puoi bere alcolici, puoi praticare l’omosessualità, puoi corrompere chiunque e dovunque. Non devi temere i tribunali, se hai abbastanza soldi per comprare il giudice o i testimoni; non devi preoccuparti di ciò che è vietato perché
puoi tranquillamente infrangere la legge. Puoi organizzare qualsiasi genere di traffico illegale in cambio di robuste mazzette.
Quello che però non puoi trovare, nelle terre desolate dell’Is, è l’amore. Puoi trovare sesso, ma non sentimento. È difficile se non impossibile che una donna sposi liberamente un terrorista, e se lo fa è perché è stata plagiata da quelle, come mia moglie, che sui social network le adescano e le convincono a compiere l’egira. Io ero un’eccezione tra i miei uomini. Ma solo perché avevo conosciuto la mia fidanzata quand’ero ancora a Tunisi e facevo il calciatore.
Credo di essere stato molto invidiato per questo. Invidiato perché avevo – e forse non ho più – una compagna che mi amava. I terroristi siriani e iracheni si accontentano di acquistare – come capre in una fiera – le compagne con cui divideranno il letto e la casa. Molto spesso si tratta di ragazze non ancora maggiorenni o, addirittura, di bambine. C’è pure chi decide di prendere in moglie le combattenti che si sono arruolate nelle nostre brigate, ma è una minoranza.
Di solito, un jihadista va al mercato delle donne e ne sceglie una. Pagandola molto se è bella e se ha gli occhi verdi e la dentatura sana. Due qualità estetiche molto ricercate in Siria, in particolar modo tra le schiave yazidi che non assurgono mai al rango di moglie ma solo di schiava sessuale. Spesso, il mio capo mi ha delegato a trattare la vendita delle spose. È molto più semplice di quanto si possa immaginare. Non c’è bisogno di alcun documento, nessun contratto. Basta la parola. Basta una stretta di mano, e la femmina passa da un padrone all’altro.
Quelle disgraziate non sanno chi le ha acquistate fino al momento della consegna. Ignorano il nome, l’età, l’aspetto fisico del loro promesso marito. Non hanno diritto a intromettersi nella trattativa. A Raqqa c’era – e credo che ci sia ancora – un albergo dove vengono alloggiate le ragazze che finiranno all’asta.
Il mio compito è quello di spuntare il prezzo più alto e di accontentare le richieste “particolari” degli acquirenti. I ricchi arabi sono i clienti migliori, sotto questo punto di vista: hanno le idee sempre molto chiare e saldano con oro e gioielli. Hanno un solo vezzo, se così possiamo definirlo: pretendono che la sposa sia consegnata loro perfettamente depilata nelle parti intime. Non ne conosco il motivo ma so che sono assai esigenti sul punto.
Di questa incombenza non mi occupo io, naturalmente, ma una mia collaboratrice
sempre, comunque, sotto il mio comando. È una donna originaria dell’Iraq. Prende in custodia la prescelta, dopo la chiusura dell’affare, e la sottopone agli “interventi” richiesti dal marito.
Mi è capitato di osservarla nel suo piccolo laboratorio dove, in una padella, fa sciogliere a fuoco lento diversi tipi di olii, una manciata di zucchero e tuorlo d’uovo. Impasta fino a ottenere una specie di crema rossastra che favorisce la depilazione. L’operazione è molto dolorosa perché, per rimuovere i peli, sono disponibili solo vecchi rasoi, coltelli dalla lama arrugginita e, in qualche caso, delle lamette tutte rotte. Le ragazze piangono
durante il trattamento ma questa rozza “estetista” continua senza sosta a raschiare l’inguine arrossato. Il suo stipendio è di poche decine di dollari al mese che pagano i trafficanti di donne.
L’applicazione della crema è ripetuta fino a ottenere la pelle liscia. Se malauguratamente rimanesse un’ombra di peluria, il combattente potrebbe addirittura ripudiare la donna. Sotto il niqab e il sitar, le giovani devono indossare gli indumenti pretesi dallo sposo. Molto spesso sono completini intimi occidentali, giarrettiere, slip... Cose che in altre circostanze sono considerate blasfeme, vietate. Non c’è tenerezza, non c’è affetto tra uomini e donne che sono costretti a conoscersi e a prendersi sulla base dei prezzi di giornata. Quando al marito viene consegnata la moglie, non la tocca. Non la bacia, non la accarezza.
A malapena la guarda. Lei invece ha sempre gli occhi bassi, occhi umidi di lacrime. Sa che, da quel momento in poi, è diventata una cosa utile solo a soddisfare i piaceri
carnali del compagno. La prima notte di nozze è anche quella più pericolosa per le donne. Se non sono vergini rischiano la vita. Il marito considera un affronto un rapporto che sia stato consumato prima del matrimonio, pure se si tratta di uno stupro.
La donna è considerata impura. Come se una ragazza che viene sopraffatta e picchiata
da più uomini per approfittare di lei possa sentire piacere da una violenza carnale.
Se la sposa è vergine, il marito mostra ai commilitoni e ai parenti il sangue versato al primo rapporto su un panno. Se, povera lei, non lo è più; allora lui mostrerà la sua testa mozzata a ricompensa dell’oltraggio subito. Quel pezzo di stoffa rossastra diventa il segno tangibile della virilità dell’uomo e della sua bravura nell’aver scelto una compagna illibata.
Questo dice la Sharia. Questo pretendono nei territori della Bandiera Nera. In Tunisia non c’è tutta questa attenzione. Ricordo anzi che c’era addirittura un “parco dell’amore”, a Tunisi, dove i ragazzi coglievano i primi frutti dell’amore. Pagando una congrua cifra, c’è inoltre la possibilità di far controllare alle donne che si occupano della depilazione la “purezza” o meno della promessa sposa. Non so come riescano a fare in maniera tanto accorta queste “ispezioni” ma pochissime volte le ho viste sbagliare il “verdetto”.
Per i foreign fighters trovare una compagna è ancora più facile. Sposano tutti donne provenienti dai loro stessi Paesi che si sono convertite. Nei miei mesi nel Califfato, non ho mai incontrato un soldato ceceno, francese o tedesco che abbia sposato un’irachena o una siriana. Anche io, d’altronde, che sono un foreign fighter, ho sposato una tunisina che si è convertita all’Is. Credo che sia per colpa della differenza di lingua, di cultura, di abitudini se non ci sono tanti matrimoni misti tra musulmani e occidentali.
Le donne cristiane che abbracciano l’Islam sono le più ricercate, soprattutto se sono giovani. I mariti le custodiscono gelosamente e, addirittura, quando le sposano ne cambiano il nome. È come se, dando loro una nuova identità, le costringessero ad abbandonare la vita precedente per votarsi anima e corpo alla causa del Profeta (benedizioni e preghiere su di lui) e ai loro mariti, ovviamente.
Talvolta mi è capitato di assistere a lezioni di mira impartite alle giovani spose dai loro coniugi. Imbracciano il fucile e sparano all’impazzata ridendo come pazze. Le più esagitate le ho viste addirittura con le cinture esplosive addosso. È usanza regalare temibili kalashnikov alle mogli occidentali e chiamare Muhammad (Maometto) i figli di queste unioni in segno di rispetto per il Profeta (benedizioni e preghiere su di lui). In Siria ho fatto cose alle donne di cui mi vergogno ogni volta che guardo negli occhi mia moglie.
E non solo perché l’ho convinta a seguirmi in quella scellerata avventura ma per il livello di brutalità a cui mi sono abituato indossando la divisa nera. Ho portato coi miei Pk decine di schiave al macello. Le ho date in pasto ai jihadisti drogati e assatanati di sesso che ne hanno fatto scempio in stupri di gruppo.
Tante non hanno resistito al dolore e sono morte, o si sono suicidate. Altre moriranno nel giro di qualche anno per le malattie che hanno contratto cambiando decine, centinaia di partner ogni mese. Ho visto massacrare decine di bambini yazidi, poi buttati come carcasse di cani in fosse comuni. Ho fatto ingoiare benzina agli uomini che non volevano
ubbidirmi, e li ho dati alle fiamme. Nell’Is tutto è morte. È una notte lunghissima su cui non si alza l’alba.