
RENZI VENDE FUMO - IL PREMIER CAZZONE CAMBIERÀ I VERTICI RAI CON LA LEGGE GASPARRI: LA SUA RIFORMA DELLA TV PUBBLICA RISCHIA DI ESSERE INSABBIATA AL SENATO - UNICA CERTEZZA: GLI ATTUALI CONSIGLIERI SARANNO TUTTI SOSTITUITI
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Matteo Renzi si prepara a rivoluzionare i vertici della Rai ma con la vecchia legge Gasparri. È un’ipotesi ma il premier ha paura che il Senato stia andando troppo piano, che il ricambio a Viale Mazzini possa complicarsi se si attende l’approvazione della riforma che lui stesso ha presentato. Dunque, Renzi comincia a ragionare sul rinnovo dei vertici con le regole che ci sono già. Prima dell’estate, se serve, quando saranno più chiari i progressi nell’esame parlamentare del provvedimento governativo. A Palazzo Chigi non sono granchè fiduciosi.
Il premier aveva detto: «La tv pubblica è un luogo di cultura, non può essere governata da una legge che porta il nome di Gasparri». Così era nato il disegno di legge di riforma, sull’onda di questo principio e di una scadenza improrogabile: gli attuali amministratori di Viale Mazzini concludono il mandato il 25 di questo mese. Adesso Renzi medita di cambiare le carte in tavola. Costretto, obbligato dagli eventi, spiega ai suoi fedelissimi. «Stanno insabbiando il nostro disegno di legge al Senato.
ANNA MARIA TARANTOLA DAVANTI AL CAVALLO DI VIALE MAZZINI
E io non voglio prorogare il consiglio in carica. Se non si danno una mossa, faremo le nomine con la legge vigente», è il concetto che da qualche giorno si sente ripetere a Palazzo Chigi. Il Parlamento non dà segnali di voler imprimere l’accelerazione necessaria e il capo del governo studia il piano B peraltro annunciato pubblicamente nella conferenza stampa in cui fu presentato il testo della riforma.
«Se non va bene, non ci sarà alcun decreto.Procederemo con la Gasparri», disse Renzi. Ed è la strada che sembra segnata. Al Senato l’iter sulla riforma è partito. La legge è in commissione. Sono in corso le audizioni degli esperti e dei vertici Rai. L’impressione però è che i tempi non siano brevissimi. Anche l’attenzione del premier non è la stessa dedicata a provvedimenti più cari all’esecutivo: la legge elettorale o il Jobs act o la scuola.
In realtà il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Luigi Zanda, che tiene i collegamenti Parlamento-governo, rassicura. È certo di aver raggiunto un accordo nella commissione che potrebbe portare alla prima approvazione del ddl entro metà giugno. Il testo verrebbe poi trasmesso alla Camera dove, con numeri della maggioranza più garantiti, potrebbe davvero vedere la luce a luglio. Secondo il cronoprogramma renziano, quindi.
Eppure Renzi non è convinto e parla di «affossamento», di «ritardi», di «tira e molla ».
Il decreto lo ha escluso da subito, di concerto con Sergio Mattarella che aveva comunicato, discretamente, le sue perplessità. Il Quirinale era intervenuto anche sul testo, cassando l’ipotesi di consiglieri eletti dalle Camere riunite, procedura prevista nella Costituzione solo per precise fattispecie. Il progetto di riforma firmato da Antonello Giacomelli è nato anche su queste basi e con l’urgenza dei tempi di fine mandato dell’attuale vertice guidato da Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi.
Un testo che ha qualche punto critico ma che con un accordo blindato può fare velocemente la sua corsa. La presidente Tarantola ha fatto notare proprio l’altro ieri il nodo dei poteri dell’amministratore unico, figura chiave della riforma. «Il Cda appare mantenere un ruolo sulle nomine che spettano all’ad sentito il consiglio. Ma l’ad dovrebbe potersi discostare dalle opinioni del consiglio anche sulle nomine editoriali. Bisogna evitare incertezze applicative».
L’altro novità,quella del consigliere eletto dai dipendenti (1 su 7), sconta l’incertezza normativa. Dovrebbe essere eletto dall’assemblea dei lavoratori, assemblea che però non esiste nello statuto dell’azienda, e sulla base di un regolamento che va costruito dal nulla. Così si rischia di avere, per due o tre mesi, un cda monco di un consigliere.
La Gasparri è immediatamente applicabile ma non ha meno problemi. La commissione di Vigilanza, l’organo che elegge i 9 consiglieri e il presidente, è balcanizzata. Il Pd ha 16 membri ma molti sono bersaniani, Forza Italia è spaccata come in Parlamento, i 5 stelle hanno una loro forza: il presidente Roberto Fico e 6 parlamentari (possono strappare un consigliere). Il vero problema è come eleggere il presidente Rai che ha bisogno del voto dei 2/3 della Vigilanza.
Una maggioranza qualificata, a oggi, appare difficilissima da individuare. Però questa è la via scelta da Renzi. Gli attuali consiglieri saranno tutti sostituiti, a cominciare da Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, esponenti della società civile. Verro, De Laurentiis e Rositani hanno raggiunto il limite di due mandati. È già cominciata la competizione per queste poltrone.
Ma il governo guarda soprattutto alla direzione generale. Alcuni nomi sono già stati sondati dal premier. Nella rosa ristretta ci sono due uomini e due donne. L’attuale amministratore delegato di 3 Vincenzo Novari è in pista, insieme con il vicepresidente di Sky Andrea Scrosati. Ma Renzi è tentato dall’idea di una donna al comando operativo dell’azienda. I nomi in pole sono due: Patrizia Grieco, presidente di Enel e Marinella Soldi, amministratore delegato di Discovery Channel.