IL CINEMA DEI GIUSTI – ‘’RITORNO ALLA VITA’’ È LA CONFERMA DI QUANTO SIA INTERESSATO WIM WENDERS ALLE BELLE INQUADRATURE PERFETTE E QUANTO POCO AL DRAMMA DEI SUOI PERSONAGGI. AL PUNTO CHE JAMES FRANCO SI LIMITA A RECITARE UN PO’ PER CONTO SUO, MA SE IMPORTA POCO A LUI FIGURARSI A NOI…
Ritorno alla vita di Wim Wenders
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Marco giusti per Dagospia
Diciamo che c’è un botto di neve. Oltretutto in 3D. E che James Franco, scrittore in crisi, con fidanzata petulante, Rachel McAdams, non ci vede granché quando mette sotto lo slittino di due fratellini. E solo uno si salverà. La mamma, Charlotte Gainsbourgh, stava leggendo un libro di Faulkner e non si era accorta che era troppo tardi per rimanere fuori a giocare.
Questo l’inizio durissimo dell’ultimo film di Wim Wenders, Ritorno alla vita, ma in inglese si chiama più propriamente Every Thing Will Be Fine, cioè “Tutto andrà a finire bene”, e vanta una complessa sceneggiatura dello scrittore danese Bjørn Olaf Johannessen e una bella fotografia di Benoit Debie. Man mano che il film procede e seguiamo il dramma di chi è sopravvissuto alla tragedia e dovrà affrontarne nell’arco di dodici anni le conseguenze e i sensi di colpa, cioè lo scrittore Tomas Eldan, James Franco, con relative fidanzate, prima Rachel McAdams poi Marie José Croze, la mamma Kate, Charlotte Gainsbourgh, e il figlioletto che poi crescerà, capiamo quanto sia interessato Wenders alle belle inquadrature perfette e quanto poco al dramma dei suoi personaggi.
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Al punto che James Franco si limita a recitare un po’ per conto suo, fa lo scrittore senza sentimenti, ma se importa poco a lui figuarsi a noi, e Charlotte Gainsbourgh va un po’ col pilota automatico ereditato dalle precedenti tragedie di Lars Von Trier. Questa indifferenza vagante coinvolge anche gli altri personaggi, ci sono perfino Peter Styormare come editore di Tomas e il grande Patrick Bauchau come vecchio padre.
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Diciamo anche che una storia così si sarebbe svolta meglio in Norvergia, o nel nord d’Europa, dove lo sceneggiatore Bjørn Olaf Johannessen l’aveva probabilmente ideata, che non in questo Canada composto da buon cinema europeo in trasferta. Ma diciamo anche che Wenders ha visto tempi migliori e si muove un po’ come il suo protagonista, alla ricerca di una ispirazione che non sempre viene.
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Qualche scena è più riuscita, la visita di Tomas a Kate a quattro anni dalla morte del figlio. Ma in generale domina un desiderio di comporre visivamente un film piuttosto che di descrivere una tragedia con dei personaggi umani. E bene fa Rachel McAdams a mollare due schiaffi al suo ex fidanzato per fargli capire quanto sia stato stronzo.
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Lui però pensa solo a scrivere romanzi, e da quando è avvenuta la tragedia si è come liberato creativamente tanto da diventare uno scrittore di successo. Kate, invece, la mamma, ha trovato conforto solo nella religione, ma non fa molto oltre a piangere e a muoversi languidamente col suo cane nella campagna. Bei golfini.
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Qualche mobile Ikea. Musica trombona quanto basta di Alexandre Desplat. Wenders ormai è quello degli spot per gli occhiali Persol e dei documentari alla moda. Ma di come vada avanti il suo dramma, veramente, ce ne importa poco o niente. Già in sala.