ANOTHER BRICK IN THE WALL - PARLA IL LEGGENDARIO ROGER WATERS: "HO AVUTO LA FORTUNA DI ESSERE GIOVANE NEGLI ANNI ’60. ADESSO È TUTTO COME QUEI TALENT TIPO X FACTOR, NON C’È PIÙ ALCUNA SOSTANZA - BLAIR INSOPPORTABILE. OBAMA? NON PUO' FARE MOLTO"
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
«Un muro divide ancora il mondo in nord e sud, in ricchi e poveri, da una parte chi perseguita e dall’altra chi soffre», mi dice Roger Waters. E lui continua a cercare di tirarlo giù, un mattone alla volta. Prima con le canzoni, ora anche con il cinema.
L’appuntamento con il leggendario leader dei Pink Floyd è a Londra, in una sala d’albergo quasi di fronte ai grandi magazzini Harrods. È qui che ha temporaneamente stabilito il quartier generale per il lancio promozionale del suo film, The Wall, appunto. Capelli grigi ma lunghi come ai vecchi tempi, jeans, maglietta nera, giacca blu, alto e dinoccolato, a settantadue anni Roger Waters ne dimostra almeno dieci di meno e ha ancora l’aria della rockstar — appena un po’ più rilassata.
È come se il tempo, per la generazione sua, di Mick Jagger, di Paul Mc Cartney, di questi splendidi, incorreggibili settantenni, non dovesse passare mai. The Wall, dunque, film-concerto sullo strepitoso tour omonimo portato in giro per il mondo tra il 2010 e il 2013, road-movie sul suo passato di stella del rock e documentario pacifista, sarà in contemporanea sui grandi schermi di tutto il pianeta il prossimo 29 settembre, e in Italia, caso unico, per tre giorni anziché uno solo.
Un grande avvenimento che includerà anche una conversazione fra Waters e Nick Mason, in cui il duo della band di The Dark Side of the Moon si riunisce per rispondere alle domande inviate loro dai fan.
Mister Waters, che tipo di messaggio vuole lanciare con questo film?
«Prima mi lasci dire l’unica cosa che so dire in italiano: Sono molto felice di essere qui. Ah, no, aspetti, ne so anche un’altra: Signore, guidi piano per favore, mia moglie aspetta un bambino . Molto utile quando un’autista ti porta da Fiesole a Firenze, con tutte quelle curve. Dunque, dove eravamo?».
Al suo The Wall che esce nei cinema di mezzo mondo.
«Ah sì. Penso che la gente sarà colpita e sorpresa, anche quelli che hanno visto dal vivo il concerto, perché il film offre molto di più. Per me è stato il modo di riflettere sull’apparente indifferenza della nostra civiltà verso coloro che soffrono, verso i diseredati, le vittime delle guerre, le persone private della libertà, censurate, sfruttate, verso tutti coloro che sono tenuti ai margini della società».
È un caso che soltanto in Italia il film sarà proiettato per tre giorni, o invece riflette i suoi sentimenti per il nostro Paese, per la terra in cui ha perso la vita suo padre?
«La verità? Non lo sapevo, ma ora che me lo dice mi fa piacere, come mi fa sempre piacere parlare dell’Italia.
Ho pranzato di recente con un nuovo amico, Harry Shindler, un veterano inglese della Seconda guerra mondiale che vive da tanti anni nelle Marche, e che mi ha aiutato a scoprire il luogo in cui fu ucciso mio padre (un soldato britannico che perse la vita combattendo in Italia nel 1944, quando Waters aveva pochi mesi di vita: una storia raccontata in anteprima proprio da Repubblica nel 2013 , ndr).
Prima ancora avevo partecipato alla cerimonia di inaugurazione di un monumento alla memoria di mio padre ad Aprilia, la cittadina in cui perse la vita durante la battaglia per la liberazione di Roma. È stato un momento profondamente commovente per me. Da non molto ho letto Napoli ‘ 4-4, il libro di memorie di un ufficiale inglese durante l’avanzata da Salerno fino alla capitale.
Quel libro descrive benissimo l’umanità degli italiani, i sentimenti del vostro popolo. Quando sono a casa mia e ho un po’ di ospiti attorno al tavolo, alzo sempre un bicchiere e dico, in italiano: La famiglia! E poi aggiungo rivolto ai familiari e agli amici: questo è quello che deve voler dire essere italiani. Io vi ringrazio per il dono che avete fatto al mondo».
È caduto il muro di Berlino, da quando lei ha scritto The Wall. Ma quanti muri ancora dividono il mondo?
«Tanti. Il muro tra il nord e il sud del pianeta. Tra i ricchi e i poveri. Tra chi perseguita e chi soffre. E anche tra chi ha le chiavi del progresso, dell’informazione, e chi è condannato a vivere nell’ignoranza, nel buio. Non so come o quando li abbatteremo, ma almeno proviamoci, anche solo con una canzone se necessario».
La musica ha provato a lungo ad abbattere il muro della fame in Africa, nel Terzo Mondo, dal Live Aid al Live 8: ci è riuscita? Servono a qualcosa questi concerti di beneficenza, ad alcuni dei quali ha partecipato lei stesso?
«Una volta ho detto che, come minimo, male non fanno. Oggi dico di più: se anche servissero solo a dare a Bob Geldof un palcoscenico da cui denunciare le ingiustizie commesse dall’Occidente, la dittatura del Mercato, la diseguaglianza fra chi ha tutto e chi niente, varrebbe la pena averli fatti. L’ho cantato anch’io in una canzone: ci sono montagne di burro, e troppi bambini che non hanno niente da mangiare».
Qualche giorno fa un famoso promoter inglese ha detto che per i grandi concerti rock è iniziato il declino, per il semplice fatto che non ci sono più grandi rock band. È d’accordo?
«Io ho avuto la fortuna di essere giovane negli anni Sessanta-Settanta, quando quattro ragazzi potevano formare una band e avere il tempo e le opportunità per crescere, sviluppare un proprio pubblico, migliorare la qualità musicale.
Adesso è tutto come quei reality show tipo X Factor o America’s Got Talent . Non c’è più alcuna sostanza. Prendono un ragazzino e lo scaraventano nel circuito senza dargli né il tempo né le occasioni per maturare. In questo modo è naturale non nascano più grandi rock band».
E lei? C’è ancora qualche grande concerto nel suo futuro?
«Sono a metà di un nuovo album. Quando sarà pronto, fra un anno, un anno e mezzo, sì, mi piacerebbe portarlo in tour. Ai miei concerti mi diverto ancora».
Lei è stato a lungo un sostenitore del partito laburista, un militante della sinistra. Ci crede ancora, nella sinistra britannica e europea?
«Dopo la Thatcher e Reagan, la sinistra ha rinunciato a essere una vera sinistra. Personalmente trovavo Tony Blair insopportabile. Come se il socialismo, per vincere, dovesse diventare timido e moderato. E però le dirò una cosa: con tutti i suoi limiti, oggi preferisco il liberalismo occidentale alle sue presunte alternative. Almeno difende ancora i valori della Magna Charta, lo stato di diritto, i diritti umani. E comunque mi sento più garantito dalla democrazia europea che da quella americana».
ROGER WATERS AL CIMITERO MILITARE DI CASSINO
Obama non le piace?
«Obama mi piace. È sicuramente un uomo molto intelligente e si è sinceramente battuto per migliorare le cose. Ma cozza contro un muro, anche lì, un altro, e si è reso conto di non poter far molto».
Le ha dato più soddisfazioni, per passare a un argomento più leggero, la vittoria dell’Arsenal nella Coppa d’Inghilterra?
«Naturalmente sì, sono ancora un grande tifoso dell’Arsenal, anche se da quando abito a New York vedo le partite in tivù e non più allo stadio».
Perché preferisce New York a Londra?
«Perché New York ha quattro stagioni. Suona assurdo detto da un inglese, vero? Non sopportavo più il clima londinese ».
roger waters scrive sul muro che separa israele dalla palestina
Posso chiederle, per concludere, da dove le è venuta l’ispirazione per scrivere canzoni che sono diventate la colonna sonora della nostra generazione? Penso a Wish You Were Here, a The Dark Side of the Moon ? Lei è uno dei più grandi autori di rock del nostro tempo: da dove le arrivano la musica e le parole?
«Potrei darle la risposta convenzionale, che è parzialmente vera: mi siedo al pianoforte, oppure prendo la chitarra, inizio a giocare con le note, tengo un taccuino a portata di mano, e poi quando trovo il verso giusto mi chiudo nel mio studio e ci lavoro sopra.
Ma la risposta più vera è questa: quando una donna resta incinta, ma non ha ancora i sintomi, lo sa già? C’è qualcosa che le dice che dentro di lei c’è un bambino? Parole e musica arrivano nello stesso modo, misterioso, indecifrabile, magico. Davvero non saprei dire né come, né perché».
E un’ultima cosa, semplice curiosità: se dovesse capitarle di passare davanti alla centrale di Battersea, quella che appariva sulla copertina del vostro album Animals e che adesso stanno trasformando in un grande complesso di appartamenti e shopping-center, cosa pensa che potrebbe provare? Quel luogo ha ancora un valore per lei?
«Ce l’ha. Però le confesso che ci sono passato davanti proprio da poco, ero in treno, e non mi sono neanche ricordato di guardarla. Perché? Perché stavo leggendo un libro e il libro mi prendeva così tanto da farmi dimenticare tutto il resto. È un’altra fortuna che abbiamo ereditato dagli anni Sessanta-Settanta, l’epoca in cui si amavano i libri e non solo quello che passa internet».
IL MAIALE CON LA STELLA DI DAVID AL CONCERTO DI ROGER WATERS PINK FLOYD
WATERS rogerPINK FLOYD A POMPEI pink floyd-stampspink floyd’s ummagumma, 1969dave gilmour pink floydstereo 8 pink floydPINK FLOYD DARK SIDE OF THE MOON I PINK FLOYD