“ROMA NORD CHE SOMIGLIA AL VIETNAM? LA MIA ERA UNA BATTUTA” – PIETRO CASTELLITTO TORNA SULLA FRASE CHE HA SCATENATO UN PANDEMONIO DI IRONIE: “È UNA DI QUELLE FRASI CHE SE LE DICI IN VIDEO NESSUNO SE NE RICORDERÀ PIÙ. SE INVECE VENGONO SCRITTE HANNO TUTTA UN’ALTRA FORZA. DETTO QUESTO, NON ME NE FOTTE” – LE POLEMICHE SUL “FIGLIO DI”? “È PIENO DI “FIGLI DI”, CON GENITORI PIÙ IMPORTANTI DEI MIEI, CHE VORREBBERO FARE FILM SOTTO I 30 ANNI E NON CI RIESCONO. QUINDI, A UN CERTO PUNTO, SUBENTRA QUALCOS’ALTRO. IL TALENTO. O LA FORTUNA. O ENTRAMBE LE COSE" - VIDEO
Gianmaria Tammaro per esquire.it - Estratti
Con Enea Pietro Castellitto non voleva piacere a tutti, ma a chiunque. (...)
Che differenza c’è?
Che può parlare a qualsiasi uomo o donna, di qualsiasi estrazione sociale. Ma non deve essere per forza apprezzato da tutte le persone, nella loro totalità.
È un film borghese? Un film che parla di borghesia?
Assolutamente no: non è un film borghese. Se poi la condizione del protagonista è quella di un ragazzo di buona famiglia, che può essere associata alla borghesia, è un aspetto ulteriore, che non ha niente a che fare con la storia. I borghesi esistono. Non è una mia invenzione. E se vogliamo parlare di questo mondo, di questa realtà, rischiamo di parlare anche di loro. Questo non può essere un peccato originale per cui essere condannati.
Ho visto che più volte hai citato Moretti.
Se me lo chiedono, ne parlo.
Allora te lo chiedo anche io: credi che Enea, proprio come i primi film di Moretti, possa essere un racconto generazionale?
Penso che entrambi, ognuno con le proprie differenze, abbiamo fatto film da giovani. E che quindi abbiamo provato a raccontare il mistero della gioventù. Non so se il mio film possa inaugurare un nuovo filone generazionale.
No?
I tempi sono diversi. Le generazioni sono disgregate; i giovani, spesso, si fanno la lotta tra di loro, per raggiungere determinati obiettivi, e non sembrano avere punti in comune. I giovani di oggi, rispetto a quelli degli anni Settanta, sono collocati in un terreno decisamente più dispersivo. Una volta c’era quasi una nettezza di aspirazioni e direzioni: ci si ritrovava in qualcosa, abbastanza facilmente. Oggi non è così.
pietro castellitto benedetta porcaroli
In questa disgregazione, c’è pure il rischio di prestare il fianco alle critiche delle generazioni precedenti?
Sì, sicuramente. Da quando ho cominciato a scrivere, mi è venuto naturale raccontare la vita. In questo modo, mi ritrovo tra le mani sceneggiature in cui vengono mischiati i generi e che partono dal mio punto di vista sulle cose.
E dunque, ovunque, ci sono io. Non è cinema fatto per il cinema; è un cinema fatto per affrontare quello che penso. E quando fai così, quando cioè tendi a esprimere quello che pensi, è inevitabile scontrarsi con persone che quello stesso punto di vista non lo condividono. Tendenzialmente, però, non sono loro a criticarmi.
E chi ti critica, allora?
Chi non accetta il fallimento. Le persone che mi odiano, solitamente, hanno un cuore marcio che di notte grida: “ho fallito perché sono buono, ho fallito perché sono onesto”.
Ma non sono né l’uno né l’altro. Sono ipocriti perché non si guardano dentro, perché se si guardassero dentro smetterebbero di stimarsi. E capirebbero, una volta per tutte, che non si può passare la vita a chiamare la propria codardia con il soprannome di “integrità morale”. Quando poi avrebbero voluto soltanto il successo, la vittoria e il cieco trionfo. Io ho fallito tante volte e tante volte ancora fallirò, ma ho sempre cercato di usare quel dolore per capirmi meglio.
Senti di essere stato avvantaggiato rispetto agli altri ragazzi che vogliono fare e che fanno il tuo stesso mestiere?
Il vero vantaggio che ho avuto è stato crescere in una famiglia che mi ha abituato a coltivare la sincerità e che mi ha aiutato a sviluppare un’ironia personale. E poi sono cresciuto in una famiglia in cui è sempre stato normale relazionarsi con gli altri o immaginare che nella vita si potessero fare anche film. Dal punto di vista strettamente pratico, a 19 anni ho smesso di fare solo l’attore e a 20 ho cominciato a scrivere sceneggiature. Andavo dai produttori come tanti altri ragazzi.
Quanto tempo ci hai messo per sentirti dire di sì?
Sei anni. E ci sono ragazzi, che non sono “figli di”, che ci hanno messo di meno. Se ripenso al mio passato, vedo tanta fatica, tanto lavoro e tanto sacrificio. I vantaggi veri sono stati nelle condizioni che mi hanno portato a essere quello che sono. È pieno di “figli di”, con genitori più importanti dei miei, che vorrebbero fare film sotto i trent’anni e non ci riescono. Quindi, a un certo punto, subentra qualcos’altro.
Cosa?
Il talento, se vuoi. O la fortuna. O entrambe le cose.
Quando hai detto che Roma Nord somiglia al Vietnam non eri letterale, giusto?
La mia era una battuta.
Non mi pare che tutti l’abbiano capito.
Sai cosa? È una di quelle frasi che se le dici in video cadono lì, sul momento: nessuno se ne ricorderà più. Se invece vengono scritte hanno tutta un’altra forza. Detto questo, però, davvero: non me ne fotte.
pietro castellitto foto di bacco
Secondo te, abbiamo perso – o stiamo perdendo – il senso dell’umorismo?
Abbiamo puntato il dito contro tutti quei sentimenti umani che se frequentati e valorizzati portano al talento.
Stiamo esaltando la mediocrità?
Totalmente. Un ragazzo che cresce rispettando tutto ciò che quest’epoca professa diventa mediocre. Non stupido, attenzione.
(…)
I giovani di oggi, mi dicevi, non si sentono vivi. Tu, invece, ti senti vivo?
A tratti.
Da che cosa dipende?
Dall’energia. Serve energia, per sentirsi vivi. E serve energia per andare avanti, per trasformare il dolore in movimento. E l’energia, come sai, ha degli alti e dei bassi. Sono sempre vivo, ma non sempre me ne accorgo.