IL NOME DELLA ROSA DIVENTA OPERA LIRICA – A MILANO DEBUTTA IL 27 APRILE (MUSICA E LIBRETTO DI FRANCESCO FILIDEI): IL REGISTA DAMIANO MICHIELETTO SPIEGA COME SARA’ L’ADATTAMENTO DEL ROMANZO DI UMBERTO ECO: “OGNI STANZA APPARIRÀ COME UN’INSTALLAZIONE ARTISTICA. ABBONDERANNO I RIFERIMENTI AL MONDO MEDIOEVALE, MOLTO CARNALE, INQUIETANTE. IL FILM? L’AVEVO VISTO DA RAGAZZO. RIVENDENDOLO ADESSO, MI È PIACIUTO MENO. È LENTO” – “NON È LA PRIMA OPERA NUOVA CHE BATTEZZO. NE HO FATTE CINQUE O SEI. QUELLA A CUI SONO PIÙ AFFEZIONATO È…”
Gregorio Moppi per “la Repubblica” - Estratti
Romanzo del 1980 tradotto in una quarantina di lingue, più di cinquanta milioni di copie vendute, portato al cinema (con Sean Connery protagonista) e in tv (con John Turturro), ora Il nome della rosa di Umberto Eco diventa un’opera lirica firmata dal compositore Francesco Filidei, toscano adottato dalla Francia, classe 1973, al terzo incontro con il teatro musicale dopo Giordano Bruno e L’inondation. L’ha commissionata la Scala insieme all’Opéra di Parigi, e il Carlo Felice di Genova partecipa in coproduzione.
A Milano debutta il 27 aprile e resta in cartellone per altre quattro sere fino al 10 maggio. Sul podio Ingo Metzmacher; nel nutrito cast anche Lucas Meachem, Kate Lindsey, Katrina Galka, Gianluca Buratto, Daniela Barcellona, Carlo Vistoli, Marco Filippo Romano, Roberto Frontali.
Lo spettacolo è di Damiano Michieletto, regista da serie A: una manna, per lui, contribuire alla venuta al mondo di questa partitura, dato che quasi in ogni intervista reclama la programmazione di opere nuove poiché il teatro, che è sempre rivelazione del mondo presente, non può esistere soltanto come museo. In questi giorni Michieletto si trova a Monaco di Baviera, impegnato nelle prove della Figlie del reggimento di Donizetti la cui première è fissata poco prima di Natale.
Qual è la genesi di questo “Nome della rosa”?
«Un’idea che da tempo frullava in testa a Filidei. È stato lui a domandare il nullaosta agli eredi di Eco e ad articolare il progetto con Milano e Parigi».
il nome della rosa opera lirica
Già pronta la musica?
«Sì, abbiamo lo spartito canto e piano su cui i cantanti stanno studiando le parti e su cui io ho sviluppato la regia, seppur con la consapevolezza che durante le prove qualcosa potrà mutare.
Perché sarà allora, alla presenza dei musicisti in carne e ossa, che tutti quanti noi scopriremo davvero il colore di una partitura finora ascoltata soltanto attraverso software audio. Intanto posso dire che il coro ha un rilievo assoluto e che è bello il libretto, scritto da un team capeggiato da Filidei che ha ben spremuto le seicento pagine del libro in modo tale da mantenere alta la tensione narrativa tesa verso la ricerca avvincente di chi ha compiuto gli omicidi in monastero».
Che Medioevo porta sulla scena?
«Assecondo la struttura simmetrica data da Filidei all’opera, suddivisa in giorni e stanze, costruita su una scala cromatica e attorno alle figure della rosa e del labirinto. Ogni stanza apparirà come un’installazione artistica. Abbonderanno i riferimenti al mondo medioevale, molto carnale, inquietante, ma resi con sguardo contemporaneo. Per esempio si vedrà una cattedrale sospesa.
Prenderanno vita le immagini intagliate nel suo portale: i frati, i santi, gli animali tratti dai bestiari d’epoca. Poi la cattedrale andrà a fuoco. E da ultimo appariranno carrellini da obitorio con sopra i cadaveri degli assassinati. Ci sono anche episodi comici. Filidei, da toscano, ci ha inserito qualcosa che rimanda a Boccaccio. E a me piace bilanciare dramma e comicità».
Quanto incide sul suo spettacolo la memoria del famoso film?
«L’avevo visto da ragazzo. Rivendendolo adesso, mi è piaciuto meno. È lento. Comunque non influisce su come ho concepito lo spettacolo, perché il teatro si muove in spazi e linguaggi simbolici».
Non le mette ansia lavorare su una partitura che non sa esattamente come suona?
«Mi entusiasma partecipare a un work in progress
(...)
Non è la prima opera nuova che battezza.
«Ne ho fatte cinque o sei. Quella a cui sono più affezionato è Animal farm , di Alexander Raskatov, dal romanzo di Orwell, data ad Amsterdam. Mi ha impressionato che il compositore l’abbia scritta a matita su carta, oggi che tutti usano il computer, e che, appena finita, ci abbia radunati attorno a un pianoforte per suonarcela e cantarla, come si faceva nell’Ottocento. È stata un successo perfino a Vienna, teatro restio alle novità. Merito anche di come il pubblico è stato informato e preparato».
Dovesse entrare in repertorio, il “Nome della rosa ” andrebbe in mano ad altri registi.
Le dispiacerebbe?
«Macché. Significherebbe che la partitura ha fatto centro».