“IL CINEMA SERVIVA A SODDISFARE UN BISOGNO DI SPAESAMENTO” – UN SAGGIO RIPERCORRE IL RAPPORTO DI ITALO CALVINO CON IL GRANDE SCHERMO: DA QUANDO, “FIGLIO PERDIGIORNO”, ANDAVA A VEDERE BUSTER KEATON E CHARLOT, FINO ALL’INNAMORAMENTO PER IL “BIANCORE APPENA ROSATO” DI GINA LOLLOBRIGIDA E AL SOGNO EROTICO DI SILVANA MANGANO: “LA PIÙ BELLA RAGAZZA CHE ABBIA MAI VISTO” – GLI ELOGI A FELLINI E LA SCARSA SIMPATIA PER BERTOLUCCI E PASOLINI
Paolo Di Paolo per “il Venerdì di Repubblica”
Negli anni dell'adolescenza, andava al cinema tutti i giorni. Una specie di mania che lo spingeva a uscire di casa con una scusa: bastava l'alibi di una sessione di studio con un amico per ritrovarsi in una sala buia e semivuota.
Sullo schermo, il volto di Buster Keaton o di Charlot. Ed era uno straordinario spazio di libertà che si apriva: a costo però di liquidare il senso di colpa da «figlio perdigiorno». Evasione? Ma sì: «A me il cinema serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamento, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso».
Così scrive Italo Calvino in quella Autobiografia di uno spettatore che è la confessione di un autentico cinefilo, o «cinemaniaco», come lo definisce un giovane studioso nato nel 1996, Davide Maria Zazzini, nel documentatissimo Il cinema per me era tutto il mondo. Italo Calvino spettatore (Galaad edizioni).
DAVIDE MARIA ZAZZINI - IL CINEMA PER ME ERA TUTTO IL MONDO
È l'illuminante ricognizione di un rapporto più decisivo di quanto solitamente si intuisca: perché se è vero che Calvino, a differenza di Mario Soldati o di Pasolini, non ha fatto il cinema, è però altrettanto vero che l'ha costeggiato, esplorato, interrogato in molteplici vesti.
«Reporter sui set, inviato a due Mostre del cinema di Venezia (che anni dopo lo riabbraccerà da presidente di giuria), soggettista (anche a sua insaputa), promotore delle sue storie per il grande schermo, consulente per soggetti, sceneggiatore (con più celebri rifiuti), editore di libri di sceneggiature, "sociologo" del cinema, membro di cineclub, a lungo fidanzato con un'attrice (Elsa De Giorgi); dal punto di vista letterario, poi, autore di opere in cui tutto rimanda insistentemente alla tecnica di ripresa cinematografica», scrive Zazzini nella premessa al volume.
Che offre anche materiali dispersi e rari: come per esempio rimandi alle precoci recensioni cinematografiche di un Calvino diciassettenne su un inserto del Giornale di Genova, o a quella clandestina - censurata all'epoca dall'Unità - al film Anni difficili di Luigi Zampa. Ma ci mette anche di fronte a un ragazzo ipnotizzato dalle dive degli anni Trenta e Quaranta, sedotto dalle icone di quel «gigantesco firmamento» in cui convivono Greta Garbo, Marlene Dietrich e Mirna Loy.
Un sogno erotico che «perdura ben oltre la sala», e che coinvolgerà più avanti il «biancore appena rosato» della pelle di Gina Lollobrigida, e soprattutto della «più bella ragazza che io abbia mai visto»: Silvana Mangano, incontrata sul set di Riso amaro.
Vista da vicino, Calvino la descrive così: «È romana, ha diciott' anni, il viso e i capelli della Venere di Botticelli, ma un'espressione più fiera, dolce e fiera insieme, occhi scuri e capelli biondi, un incarnato terso e limpido, senza ombre né luci, spalle che s' aprono con una dolcezza da cammeo, un busto d'una ardita armonia di linee trionfali e aeree, la vita come uno stelo snello, e un mirabile ritmo di curve piene e longilinee».
gina lollobrigida vittorio de sica pane, amore e gelosia
Oggettivamente folgorato, questo Calvino venticinquenne! Nel frattempo si dedica, per quotidiani e riviste, a un'acuta osservazione degli stilemi del cinema neorealista nel suo farsi. Il lavoro di De Sica e Zampa, di Rossellini e De Santis gli pare l'esito di una battaglia (giusta) contro il cinema «convenzionale e falso dell'americanismo cosmopolita».
Cinema e politica, cinema e letteratura, cinema e società: le interpretazioni di Calvino sono giocate su una non comune capacità di creare connessioni. Ma quando avverte una parentela troppo marcata tra film e libri, una confusione di intenti tra sceneggiature e romanzi dai quali sono tratte, insiste sulle differenze.
ITALO CALVINO GORE VIDAL ALBERTO ARBASINO
Da inviato al Lido di Venezia per la mostra d'arte cinematografica, verso la metà degli anni Cinquanta, si trova di fronte a diverse pellicole che adattano opere letterarie e - spiega Zazzini nel suo saggio - non lesina critiche dove rileva indebita promiscuità fra mondi poetici diversi. Se approva Senso di Visconti, è perché «sviluppando il suo autore senza tradirlo, è riuscito a centrare un nodo culturale contemporaneo, a fare insieme autobiografia, saggio, problema morale e giudizio di costume. La letteratura può essere questo per il cinema: un punto di partenza; l'importante è dire cose nuove».
silvana mangano in teorema di pasolini
L'innamoramento per Fellini dev' essere nato su questa base: l'impressione di una originalità senza ascendenze, spuria, perfino misteriosa. Di fronte a certe scene della Dolce vita - scrive - «non ci resta che far tanto di cappello».
La fedeltà a Fellini, dai Vitelloni a Amarcord fino a E la nave va, è assimilabile a un processo di immedesimazione in un alter ego. Ma questa non è una sorpresa, mentre forse lo è la scarsa simpatia di Calvino per Il conformista di Bertolucci o il Salò di Pasolini: «L'idea di ambientare il romanzo di Sade ai tempi e ai luoghi della repubblica nazi-fascista mi sembra pessima da ogni punto di vista.
La terribilità di quel passato che è nella memoria di tanti che l'hanno vissuto non può essere usata come sfondo per una terribilità simbolica, fantastica, costantemente fuori dal verosimile come quella di Sade». L'ultimo capitolo del bel saggio di Zazzini è dedicato all'esperienza di giurato, anzi di presidente di giuria a Venezia nel 1981. L'interessato, con eccessivo understatement, dice di essere stato chiamato proprio perché «non so niente di cinema, perché sul cinema non ho mai teorizzato».
È divertente, in ogni caso, che Calvino si trovi quell'anno davanti a Sogni d'oro di Nanni Moretti, a cui avrebbe volentieri assegnato metà Leone d'Oro (lo vinse effettivamente, e da sola, Margarethe von Trotta con Anni di piombo). Lo humour di Moretti piacque allo scrittore: un'altra via "altrettanto" seria - così lo definisce - «di arrivare alla verità e alla propria liberazione».
pier paolo pasolini e italo calvino al caffe rosati
Ma coglie anche, si potrebbe dire con lungimiranza, una «sottile malinconia». È conquistato da Francisca di Manoel de Oliveira, fuori concorso, e dalla retrospettiva sul cinema di Howard Hawks. Il "cinemaniaco" ritorna adolescente, e propone che i giurati assistano alle proiezioni insieme al pubblico: perché «la risata, lo sberleffo, la noia» fanno parte del film. Ma forse ce ne stiamo dimenticando.
Mario Verdone con Federico Fellinidolce vita - Fellinisilvana mangano 1gina lollobrigida 4gina lollobrigida vittorio de sica pane, amore e gelosia silvana mangano 15silvana mangano 29silvana mangano 14silvana mangano 34ljuba rizzoli e silvana manganosilvana mangano 30silvana mangano 27albero sordi vittorio gassman silvano manganosordi mangano dino de Laurentiissilvana mangano nel film di pasolini edipo resilvana mangano in riso amaro 2SILVANA MANGANO RISO AMARO silvana mangano kirk douglas ulisse Tosi Visconti ManganoCALVINO ndex fellini