chovanscina alla scala

SCALA LA MARCIA (SULL'OPERA ITALIANA) - STASERA DEBUTTA A MILANO LA ''CHOVANSCINA'' DI MUSORGSKIJ, ASSENTE DA 20 ANNI. MA A GUARDARE I CARTELLONI DELLE 13 FONDAZIONI LIRICHE ITALIANE, SONO PIÙ CHE SALVINIAN-SOVRANISTI: SOLO 33 TITOLI SU 150 NON SONO IN LINGUA ITALIANA, E SOLO VERDI E PUCCINI FANNO UN QUARTO DELLE OPERE IN PROGRAMMA. IL POCO CORAGGIO È DATO DAI BILANCI PERCOLANTI, MA SE SI OSA (VEDI L'OPERA DI ROMA) SI È RICOMPENSATI

Enrico Girardi per www.corriere.it

 

chovanscina alla scala

Il sipario della Scala si alza stasera (mercoledì 27 febbraio) sulla prima di «Chovanšcina», opera in 5 atti di Modest Musorgskij. Grandioso affresco epico sulla storia politica e sociale della Russia del XVII secolo, imbevuto di materiali melodici e ritmici provenienti dal profondo della cultura musicale slava, il secondo e ultimo capolavoro di Musorgskij torna alla Scala 20 anni dopo l’ultima apparizione, confermando il proprio destino di opera più unica che rara, a dispetto di una qualità teatrale e di una forza emotiva che lasciano attoniti.

 

chovanscina alla scala

Tutto ciò rende questo spettacolo, diretto da Valerij Gergiev per la regia di Mario Martone, uno dei fatti più eclatanti della vita musicale italiana. Infatti, non si tratta solo, come si diceva, di opera rara in sé ma cade anche in un quadro generale che mai come quest’anno, a chi osservi i cartelloni delle 13 Fondazioni liriche italiane (in realtà 14, ma la natura sinfonica di Santa Cecilia esclude l’Accademia romana da ogni discorso sulla programmazione operistica), sembra a dir poco prudente, per nulla propenso a percorrere i sentieri meno battuti.

 

 

chovanscina alla scala

«Chovanšcina» fa parte infatti di un gruppo di titoli non di repertorio che tutti insieme, considerando tra essi anche capisaldi della storia come l’«Ulisse» di Monteverdi o le opere giovanili di Mozart, rappresentano solo un quinto del totale. Si tratta cioè di 30 titoli su un totale tondo di 150. Fa ancora più impressione considerare poi che l’opera di Musorgskij è una delle sole 33 che saranno rappresentate in una lingua diversa dall’italiano. Ben 117 su 150, infatti – molto ma molto di più che una canzone italiana su tre alla radio, come invocato da Salvini – vantano un libretto nella nostra lingua: il 78% del totale. Succede così per esempio che il pubblico della turistica Venezia ascolterà cantare in italiano tutto l’anno (17 sui 18 titoli complessivi), con l’unica eccezione del francese del «Werther» di Massenet.

chovanscina alla scala

 

Vero che l’opera è forma d’arte nata in Italia e che il nostro è il Paese che ha contribuito maggiormente alla sua storia. Ma è vero anche che il Fondo unico per lo spettacolo, il famigerato Fus – denaro pubblico finalizzato a finanziare le istituzioni culturali che producono spettacoli dal vivo –, viene erogato a determinate condizioni, tra cui quella di «concorrere alla pluralità delle espressioni artistiche», come recita la legge.

 

chovanscina alla scala

Altri dati fanno drizzare le antenne degli osservatori. Di questi 117 titoli italiani, 31 (circa un quarto) sono del solo Giuseppe Verdi, e 20 (circa un sesto) del solo Giacomo Puccini: due autori sommi, certamente, ma che da soli occupano più di un terzo dell’intera proposta lirica 2018/19 del Paese. E dei 31 di Verdi, solo 3 («Attila» alla Scala e a Cagliari; «I masnadieri» ancora alla Scala), escono da quel recinto di una decina di opere (su 27 totali) che comprende le pagine più popolari. Né va dimenticato che 8 Fondazioni su 13 (più della metà), hanno inaugurato la stagione con un’opera di Verdi: «Attila» a Milano; «Il trovatore» a Torino, Bologna e Firenze; «Rigoletto» a Roma, «Macbeth» a Venezia; «Aida» a Genova, «Simon Boccanegra» a Bari. Che sia un record, non c’è dubbio. Se sia un buon record di cui vantarsi si potrebbe discutere a lungo.

 

billy budd teatro opera roma

Resiste Bizet con la sua «Carmen» e non naufraga Richard Strauss. Ma ai compositori in lingua tedesca (a partire da un gigante come Wagner), francese, russa, inglese e boema non restano che le briciole e in molti, troppi casi, nemmeno quelle. I direttori artistici invocano l’attenuante che, in tempi duri, è necessario che il botteghino «pesi» il più possibile nel bilancio delle Fondazioni.

 

E ogni «Traviata» o «Bohème» garantiscono sempre introiti maggiori di ogni «Boris» o «Chovanšcina». Ma questo non può essere un ricatto. Non va dimenticato che l’anno scorso le recite del semisconosciuto «Billy Budd» di Britten all’Opera di Roma andarono esaurite. Semplicemente, si trattava di spettacolo splendido. E il passaparola produsse risultati inaspettati, come è lecito sperare ora per la suggestiva «Chovanšc

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