LO SCIOPERO DEL PANINO - NON SOLO CINESI, CI SONO ANCHE GLI SCHIAVI DEI FAST FOOD AMERICANI CHE MOLLANO GLI HAMBURGER PER UN GIORNO: VOGLIONO IL DOPPIO DEL SALARIO

Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

«Sciopero» è una parola pressoché sconosciuta in luoghi come Charleston, in South Carolina, o Providence, in Rhode Island. Ma dopodomani i dipendenti delle grandi catene della ristorazione e dei fast food, da McDonald's a Wendy's, sciopereranno anche qui, oltre che in altre 98 città americane - comprese tutte le grandi metropoli - per ottenere un forte aumento retributivo: 15 dollari l'ora, il doppio del salario minimo di legge (oggi 7,25 dollari).

Una protesta così estesa fa scalpore in un Paese assai poco sindacalizzato come gli Stati Uniti. Anche perché quello della ristorazione - con i dipendenti che vanno e vengono, cuochi e camerieri part-time, studenti che magari lavorano nei ritagli di tempo - è da sempre uno dei settori più difficili da organizzare per i sindacati.

Ma le cose sono cambiate negli ultimi anni col rifiuto di molte aziende del settore di adeguare i salari al costo della vita e alla crescita della produttività del lavoro. Con molti disoccupati in giro e con a disposizione anche il serbatoio degli immigrati, queste imprese spesso non vanno oltre il salario minimo che, per un lavoratore con moglie e figli a carico, significa vivere in povertà anche se ha un impiego a tempo pieno.

La diffusione a macchia d'olio dei cosiddetti «working poor», un aspetto del più generale fenomeno della polarizzazione dei redditi, ha cambiato i termini dell'equazione sociale americana: se i conservatori continuano a considerare i sindacati un incendio da estinguere prima che trasformi l'America in un cumulo di macerie fumanti e vedono nel salario minimo una gabbia che blocca l'economia, l'onda di queste rivendicazioni comincia a essere guardata con simpatia, oltre che dai democratici sindacalizzati, anche da progressisti e centristi che con le «unions» non hanno mai avuto nulla a che fare.

Le proteste dei dipendenti della ristorazione sono iniziate a New York un anno fa e da allora si sono diffuse in tutto il Paese. L'ultimo «sciopero dell'hamburger», il 29 agosto, ha coinvolto 60 città. Ora si raddoppia e la politica osserva con attenzione: i democratici vogliono fare della battaglia per ridurre le diseguaglianze il cuore della campagna per le presidenziali del 2016.

Obama sta cavalcando questi umori: qualche giorno fa ha dato il suo appoggio a un disegno di legge presentato da due deputati democratici al Congresso che dispone l'aumento del salario minimo federale dagli attuali 7,25 a 10,10 dollari l'ora. I repubblicani sono insorti: «Una follia, il presidente sfascerà l'economia. Le aziende licenzieranno, metteranno robot dappertutto». In effetti Obama solo dieci mesi fa, nel discorso sullo Stato dell'Unione, aveva proposto sì un aumento del salario minimo, ma con un obiettivo di 9 dollari.

Perché la svolta? Probabilmente per tre motivi:
1) Per il cambio di umori nel Paese mentre anche molti economisti si sono convinti che, in assenza di altre manovre pubbliche a sostegno dell'economia, un forte aumento dei salari sarebbe un utile sostegno per la domanda interna senza veri rischi d'inflazione.

2) Perché, col Congresso fermo, molti Stati hanno già aumentato autonomamente il loro salario minimo: quello dello Stato di Washington è salito a 9,19 dollari l'ora, il New Jersey l'ha portato a 8,25, mentre la California ha appena deciso di arrivare (ma dal 2016) a 10 dollari.

3) In ogni caso, sostenendo le ragioni di tanta gente in difficoltà, Obama guadagna consensi, mette in cattiva luce i repubblicani e rischia poco, visto che l'aumento federale per ora non passerà: a marzo la Camera ha già bocciato con un margine ampio (233 contro 184) un tentativo di portare il salario minimo a 10 dollari.

 

 

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