SCRIBA-FOLIES! - QUANDO TOM WOLFE CON 5 BYPASS TIRAVA L’ALBA NEI CAMPUS PER SPIARE POMICIATE E AMPLESSI…

Luigi Mascheroni per "il Giornale"

Jonathan Safran Foer, il cui Ogni cosa è illuminata (2002) ha ricevuto le recensioni più entusiastiche tra tutte le opere prime degli ultimi dieci anni, da bambino scorreva l'elenco telefonico e pensava: «Tra cent'anni questa gente sarà tutta morta», e forse è per questo che nei suoi libri aleggia sempre la paura.

Khaled Hosseini scrisse Il cacciatore di aquiloni di getto, in un anno, tra le 5 e le 8 del mattino, prima di andare a lavorare come medico tirocinante. Mentre Charles Frazier, il cui romanzo Tredici lune è stato forse, dopo Ritorno a Cold Mountain, il più atteso degli ultimi 10-15 anni in America, in una giornata buona scrive al massimo un paragrafo, o due.

Come, cosa, quando e perché si scrive? Un'ottima risposta è il libro Come leggere uno scrittore (Codice, pagg. 380, euro 21) in cui John Freeman, direttore dell'edizione americana della leggendaria rivista Granta, ha raccolto i suoi incontri con una cinquantina di grandi autori della narrativa mondiale, da Don DeLillo a McEwan, da Robert M. Pirsig a Jim Crace. Dove si viene a sapere, ad esempio, che:

DETERMINAZIONE
Toni Morrison, quando era una mamma single, abitava a Midtown Manhattan e il Nobel era di là da venire (1993), lavorava in una casa editrice. Si alzava tutti i giorni alle 5 e scriveva prima di svegliare i bimbi e prepararli per la scuola. Ancora oggi, che probabilmente è la scrittrice più pagata d'America, quando lavora a un romanzo si sveglia all'alba, prende matita e bloc-notes, e comincia a scrivere. Finché non le fa male la mano.

L'ARTE DI SCRIVERE
Un giorno Haruki Murakami, quando fumava tre pacchetti di sigarette al giorno, ebbe una «rivelazione», come la chiama lui: «E se andassi a fare una corsetta?», si chiese. Dopo tre anni uscì L'arte di correre (2007). Ancora oggi è un bestseller.

MAI DARSI PER VINTI
Richard Ford ha cominciato a scrivere racconti molto tardi, e in parte perché Raymond Carver lo incoraggiò a farlo. Gli fece leggere il suo primo racconto, Rock Springs, del 1987: «All'inizio non gli è piaciuto. Io gli ho detto che si sbagliava. Me lo rivedo ancora Raymond, che mugugna con la sigaretta in bocca: "Ma sì... mah, chissà..."».

L'ARTE DI TACERE
A differenza di altri premi Nobel come Grass, Wole Soyinka o Dario Fo, ognuno dei quali ha pubblicato memorie autobiografiche che ripercorrono la propria formazione politica, Nadine Gordimer preferisce il silenzio: «Non amo parlare di ciò che io e mio marito abbiamo fatto quando eravamo attivisti... Penso che le uniche cose della mia vita che possano minimamente interessare agli altri siano i libri che ho scritto».

SCIENTIFICITÀ
Oliver Sacks, 80 anni, è costretto dall'artrite a scrivere con penne oversize. Si sveglia tutti i giorni alle 4,30: prima nuota, poi visita i pazienti, poi risponde alle mail, quindi scrive.

COSE DIVERTENTI DA NON FARE PIÙ
David Foster Wallace continuava a ripeterglielo a quelli di Harper's: «Lo capite o no che non sono un giornalista?». E loro gli rispondevano: «È per questo che ti chiediamo dei pezzi».

SCRIVANIE SEPARATE
Siri Hustvedt e Paul Auster, la coppia di scrittori di successo più famosa del mondo (e «la più prolifica industria letteraria d'America»), vivono a Brooklyn da oltre 30 anni, in un bellissimo loft, ma scrivono separati. Lei non sopporta il ticchettio della macchina per scrivere, e lui va a lavorare in un piccolo appartamento lì vicino.

SNOBISMI
Kazuo Ishiguro, a detta del direttore di Granta, è lo scrittore più elegante e permaloso che abbia incontrato. Per l'intervista al Café Richoux di Piccadilly, a Londra, si è presentato in maglione nero e pantaloni impeccabili. Ma si è innervosito quando nel discorso è uscita la parola fantascienza. «Mentre scrivo un romanzo non penso mai in termini di genere. Il mio modo di scrivere è diverso, parto sempre dalle idee».

PREVIDENTE
Joyce Carol Oates, che dal 1963 a oggi ha pubblicato mille racconti, 50 romanzi, una dozzina di saggi, testi teatrali e poesie, tiene in casa una cassettiera a prova d'incendio, dove custodisce le opere già scritte, in attesa di pubblicazione.

VI(T)E GAY
Per qualche strano caso di karma immobiliare, nella stessa via di Manhattan abitano tre delle figure più illustri dell'arte e della letteratura gay: in cima alla strada il poeta John Asbery, poco più avanti lo storico Martin Duberman che col suo Cures «ha liberato schiere di omosessuali dal giogo della terapia dell'odio di sé», e vicino all'ottava Strada, nell'angolo più gay di quella che è probabilmente la città più gay d'America, Edmund White. Giusto a fianco di una chiesa.

OSSESSIONI
Imre Kertész negli ultimi cinquant'anni ha passato la maggior parte del tempo a pensare al suicidio.

SCRUPOLOSO
Durante le sue ricerche per scrivere Io sono Charlotte Simmons (2004), che parla della pervasività del sesso nella vita universitaria americana, Tom Wolfe, con cinque bypass, stava in giro nei campus fino alle 4 o alle 5 del mattino a piantonare i seminterrati delle confraternite per spiare «pomiciate» e «amplessi». Diventò tanto sciolto nello slang sullo «scopare» da essere in grado di parlarlo lui stesso.

SULL'UTILITÀ DELLA CENSURA
Mo Yan (Nobel nel 2012): «La censura è una questione di astuzia. Nella vita reale ci possono essere questioni spinose o temi critici che non si vuole vengano affrontati. In questi casi lo scrittore può usare l'immaginazione per isolarle dal mondo reale, o esagerare la situazione perché sia più vivida... Sono convinto che limitazioni e censure, in realtà, abbiamo un effetto benefico sulla creatività letteraria».

NON ARTE, MA ARTIGIANATO
Donna Leon è una delle gialliste più famose del mondo: dal suo debutto, nel '92, ha pubblicato un romanzo all'anno, quasi tutti ambientati a Venezia, con protagonista il commissario Brunetti (sono pubblicati in 23 lingue ma non in italiano, per suo espresso rifiuto). Sullo snobismo della critica, dice: «Sono un falegname, non un liutaio».

TOUR PROMOZIONALE
John Updike, sei mesi prima della morte (2009): «Quando ho cominciato, negli anni '50, agli scrittori non veniva chiesto di promuovere il libro, di girare per le librerie, di firmare copie... Dovevamo solo scrivere, e tutto finiva lì. Adesso pubblicare il libro è solo l'inizio della storia, perché poi ti tocca uscire e andare a venderlo».

SUL BLOCCO DELLO SCRITTORE

Paul Theroux alla domanda se ha mai sofferto del «blocco dello scrittore»: «È una grande paura, ma ne esiste una ancora peggiore, si chiama scrivere male».

 

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