1- SCRIVO MALE MA AMMAZZO BENISSIMO: QUANDO LA REALTÀ SUPERA IL ROMANZETTO 2- ARRESTATO UN ASPIRANTE SCRITTORE PIEMONTESE PER L’ASSASSINIO DI UNA PROSTITUTA NIGERIANA DI CUI ERA INNAMORATO. L’OMICIDIO ERA RACCONTATO NEL SUO MANOSCRITTO 2- DANIELE UGHETTO PIAMPASCHET (NOME VERO, SE AVRÀ SUCCESSO NON GLI SERVIRÀ UNO PSEUDONIMO) AVEVA LA FISSA PER LE NIGERIANE (UNA L'AVEVA SPOSATA). FINCHÉ ANTHONIA, PROTAGONISTA DEL SUO RACCONTO INEDITO, È STATA RIPESCATA NEL PO, ACCOLTELLATA 3- ESSI’, LA FINZIONE SVILUPPA L’ORGANO: LIDIA RAVERA E MARIAROSA MANCUSO SCATENATE

1- IL DELITTO NEL SUO ROMANZO. ARRESTATO L'AUTORE - L'ASPIRANTE SCRITTORE FREQUENTAVA LA VITTIMA
Lidia Ravera da "il Fatto Quotidiano"

"Salì in macchina e raggiunse rapidamente la vecchia casa di campagna. Rovistò nel fienile in mezzo alla paglia. Afferrò un fucile da caccia insieme alla cartuccera e tornò da Anthonia". Non è una prosa folgorante, ma, come direbbe un agente letterario, "il romanzo c'è": perché Anthonia è una prostituta nigeriana di 26 anni. Perché è molto bella. Ma soprattutto perché viene uccisa. Il fucile da caccia che riposava fra la paglia tronca la sua giovane vita. A imbracciarlo è il protagonista maschile, che la ama perdutamente, che ha tentato di toglierla dalla strada, che la vuole redimere o possedere interamente o punire.

Titolo dell'opera: "La rosa e il leone". La Rosa è Anthonia, il leone è, come spesso capita, l'alter ego dell'autore: Daniele Ughetto Piampaschet, trentaquattrenne, laureato in filosofia, di professione precario. Uno che, come molti della sua generazione, non lavora stabilmente, non studia più, non ha una identità professionale. Uno che vive a casa di mamma e papà (a Giaveno, ridente cittadina piemontese), e, lì accoccolato, si dedica alle sue passioni dominanti: la scrittura e le nigeriane. Di nigeriana ne ha sposata una (il matrimonio è durato quasi dieci anni), ne ha amate altre, di romanzi non ne ha mai pubblicati.

Il che fa di lui un paria: poche figure sono socialmente discriminate come quella di chi scrive ma non è pubblicato, conosciuto, famoso. Almeno fino a ieri. Perché ieri, il Piampaschet, è stato arrestato, con l'accusa di aver ucciso la protagonista del suo romanzo. Una ragazza nigeriana. Una delle tante che ha ammesso di frequentare "in cerca di ispirazione". Gli piacciono da morire, le nigeriane, le tampina, le racconta, prova a toglierle dalla strada. Fin qui sarebbe tutto legittimo, perfino commendevole, ma l'ultima, Anthonia Egbuna, musa ispiratrice del pregevole Piampaschet inedito, non è morta per fiction, è morta di morte reale. È stata ripescata nel Po il 26 febbraio scorso, straziata dalle coltellate (nel romanzo erano colpi d'arma da fuoco). Era scomparsa dal 28 novembre.

Fatale coincidenza? Pare di no. L'aspirante scrittore , fra il febbraio 2011, giorno del primo incontro con Anthonia, e il 28 novembre, giorno della sua morte, le ha telefonato 1900 volte. Poi ha smesso. Certo, lei non rispondeva. Ma lui non ci ha più provato. Strano. Più strano ancora: ha cambiato cellulare. E subito dopo, altro elemento che gli inquirenti hanno interpretato negativamente, ha lasciato Giaveno per trasferirsi a Londra. Ma a Londra era andato a lavorare durante le Olimpiadi. Come guardarobiere. Non c'è da stupirsi: capita ad un sacco di filosofi precari di accettare qualsiasi offerta, ovunque, e magari di fermarsi per continuare a lavorare. Invece lui è stato arrestato giovedì scorso, non a Londra.

A casa di mamma, a Giaveno (anche gli assassini vanno in ferie?) con l'accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Ieri l'arresto è stato convalidato, con tanto di custodia cautelare. Avrà, perciò, l'occasione di misurarsi con un'altra classica fonte di ispirazione letteraria: lo stato di detenzione, l'universo carcerario. Da Silvio Pellico a Solgenytzin, passando per Dostoevskij, la prigionia ha prodotto ottimi romanzi. Del resto, l'unico essere umano che, dalla restrizione della propria libertà, può trarre qualche vantaggio, è proprio lo scrittore. Quale condizione migliore di una cella, per concentrarsi su una storia, approfondirla, curare la tessitura della pagina, la lingua, lo stile? Naturalmente devi essere colpevole.

Altrimenti il senso dell'ingiustizia di cui sei vittima ti travolge e allora addio prosa. La domanda sorge inevitabile: è davvero colpevole Daniele Ughetto Piampaschet? Gli inquirenti hanno un vantaggio su di noi: hanno letto il manoscritto. Ma il manoscritto, presentasse anche la più dettagliata ricostruzione di ciò che si prova piantando un coltello nella carne della tua donna, non è una prova. Se sei molto convincente è perché sei un bravo scrittore, non perché sei un bravo assassino. Eppure, la reazione istintiva del lettore, leggendo qualsiasi storia, dalla più cruenta alla più banale, è che l'autore l'abbia vissuta in prima persona e, in preda ad un attacco irrefrenabile di pubblica confidenza, abbia deciso di raccontare i fatti suoi. Molto raramente, è vero.

Perfino la moda francese della "autofiction", quei romanzi in cui lo scrittore inserisce se stesso fra i personaggi, mescolano avare porzioni di realtà con verosimili invenzioni. Forse è questo il caso di Piampaschet. Forse la sua Anthonia è una somma di tante ragazze che ha conosciuto. Forse non torcerebbe un capello a nessuna di loro e scarica sulla pagina le sue pulsioni peggiori. Forse invece l'ha uccisa veramente e non ha saputo resistere alla tentazione di raccontarlo, perché non è bravo a inventare, e questa volta, finalmente, aveva fra le mani una storia. La più sciagurata delle ipotesi è che abbia ucciso veramente, per conquistare questo spazio su un giornale. E vedersi finalmente pubblicato.


2- SCRIVO MALE MA AMMAZZO BENISSIMO - CHE PUÃ’ SUCCEDERE SE SI CONFONDE LA FINZIONE LETTERARIA COL TRUE CRIME
Mariarosa Mancuso per "Il Foglio"

Marilyn Monroe va a frugare tra le carte di Arthur Miller e trova un manoscritto. Nelle pagine viene descritta una ragazza un po' labile, bionda ossigenata, seguita passo passo da un'insegnante di recitazione, propensa alle crisi di abbandono. Lei si riconosce e va su tutte le furie. Il marito scrittore finge di cadere dalle nuvole: "Ma cara, cosa vai a pensare, è solo finzione letteraria". Ovvio che lei non se la beve - fingeva l'ocaggine, mica lo era davvero (i maschi mancano di un detector adatto alla bisogna).

"Finzione letteraria" serve a rassicurare la consorte che non è lei la cornuta del romanzo. Serve a zittire i parenti che dicono "quella lì somiglia tutta a zia Luigina" (la domanda infastidiva particolarmente Edith Wharton, convinta che per fare una zia romanzesca ce ne volessero almeno dieci in carne e ossa). Serve a rassicurare la giovane amante, che nel romanzo appare bruna e non bionda per un ingenuo tentativo di depistaggio, sulla sua qualità di musa ispiratrice. Serve per discolparsi davanti all'ispettore di polizia che ti interroga in questura, dopo aver perquisito la casa trovandoci un manoscritto sospetto: "E' vero, racconto un delitto, ma non per questo l'ho commesso davvero".

"Io sono uno scrittore. Io invento", diceva John Irving con fierezza, nell'epoca non ancora afflitta dall'autofiction e nel paese felice che tiene in massimo conto la fiction. Da noi, se appena si conosce il giovane autore - o la non tanto giovane autrice esordiente grazie al successo in un altro mestiere - si riescono ad appiccicare i nomi e i cognomi veri sui personaggi (con il terrore, sfogliando certe pagine e riconoscendo conoscenze comuni, di ritrovarsi coinvolti nel pasticciaccio).

Daniele Ughetto Piampaschet, presunto assassino della prostituta nigeriana smascherato attraverso un romanzo ritrovato in un cassetto, sta in questa scia. Presunto assassino, e - come scrivono i giornali con una sfumatura di disprezzo - "aspirante scrittore". Piacerebbe ritrovare le stesse parole e toni quando il vicino di scrivania darà alle stampe il resoconto fedele della sua infanzia, della sua passione per il calcetto o la cucina, del cascinale rimesso a nuovo - detto buen retiro - dove usa villeggiare.

Ughetto non è un secondo nome. Gli Ughetto-Piampaschet (con il trattino) sono registrati nel catalogo dei cognomi di Francia, con relativa genealogia e distribuzione geografica. Di lì a Torino il passo è breve, e se lo scrittore dovesse aver successo non gli servirà neppure uno pseudonimo come Sveva Casati Modignani (Bice Cantaroni, che all'inizio scriveva in coppia con il marito Nullo). A giudicare dalle pagine pubblicate come prova a carico, scrive maluccio ma non peggio di tanti colleghi saliti nella classifica dei bestseller.

L'avvocato userà il manoscritto per discolparlo: com'è che qui si parla di un fucile e non di accoltellamento? Se la storia è vera, se il giovanotto sarà ritenuto colpevole - si auspica con prove più solide di un romanzaccio - entrerà nella categoria degli scrittori che hanno preso la categoria letteraria del True crime un po' troppo sul serio (sono i romanzi che raccontano delitti reali, meglio se efferati).

Il più famoso si chiama Jack Unterweger, noto come Jack The Writer o Prigioniero Poeta. Nel 1974 uccise una ragazza strangolandola con il reggiseno, in carcere cominciò a scrivere, finse una redenzione, fu graziato nel 1990 dopo una petizione firmata da intellettuali austriaci, tra cui il premio Nobel Elfriede Jelinek. Lo mandarono a Los Angeles come cronista di nera, e anche lì - guarda caso - tre prostitute furono strangolate con i rispettivi reggiseni.

Finché a qualcuno venne il sospetto che il cronista e l'assassino erano la stessa persona. Un romanzo - intitolato "Amok", sul comodino di un poliziotto astuto e forte di memoria - smascherò nel 2007 il polacco Krystian Bala: aveva ucciso l'amante della moglie, e si dilettava con il Michel Foucault di "Sorvegliare e punire". Meglio Dostoevskij o Nabokov, che le ninfette e le vecchiette le molestavano solo nei romanzi.

 

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