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“SE FAI LE VACANZE IN MOTOCICLETTA LE COSE ASSUMONO UN ASPETTO COMPLETAMENTE DIVERSO” – L’ULTIMO VIAGGIO DI ROBERT M. PIRSIG, SCOMPARSO IERI A 88 ANNI: SCRISSE "LO ZEN E L'ARTE DELLA MANUTENZIONE DELLA MOTOCICLETTA” CHE FU RIFIUTATO DA PIU’ DI 100 EDITORI PRIMA DI DIVENTARE UN FENOMENO EDITORIALE DI CULTO

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Paolo Di Paolo per repubblica.it

 

''Se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso". Forse basta una frase così a riconoscere Robert M. Pirsig, lo scrittore americano nato a Minneapolis e scomparso ieri, nel Maine, a ottantotto anni. È più facile ricordare il titolo del suo maggior successo editoriale, un autentico longseller - "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" (1974) - che il suo stesso nome.

 

Ma la fisionomia di Pirsig, scrittore-filosofo, è più trasparente nel meno conosciuto "Lila: indagine sulla morale" (1991). Scritto dopo un silenzio durato diciassette anni, è il libro in cui dà sostanza narrativa ai grandi interrogativi esistenziali. Lo spessore psichico dei personaggi è più decisivo della trama, che si riduce - su un piano concreto quanto su quello allegorico - in un viaggio: in questo caso, lungo il fiume Hudson verso l'Oceano. Nell'altro libro, quello a cui la fama di Pirsig è inchiodata, la traversata in motocicletta dal Minnesota alla California in compagnia del figlio Chris (morto nel '79 durante una rapina) c'è la stessa ossessione: la ricerca, o riconquista, dell'Io primitivo. La radice di sé, più inquieta e più oscura.

 

Mescolando princìpi di saggezza Zen, pagine di Platone, misticismo un po' generico, autobiografia e speculazione intellettuale, Pirsig riversa nel racconto una sorta di teoria metafisica (che, a posteriori, lui stesso definisce "della Qualità"). Rifiutato inizialmente da più di cento editori (almeno così Pirsig raccontò), Lo Zen divenne per almeno un paio di decenni un libro-feticcio, da milioni di copie e decine di traduzioni.

 

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La storia personale dell'autore - accidentata, segnata da un'intelligenza precoce e problematica, e dall'esperienza, negli anni Sessanta, dell'elettroshock - si rivela progressivamente nelle pagine di "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta". La situazione più rassicurante e in apparenza serena - il viaggio di un padre e di un figlio - diventa il pretesto di uno scavo interiore dall'esito imprevedibile.

 

A conquistare valanghe di lettori a ogni latitudine, è il tono della narrazione: Pirsig è affabile, come uno zio appena tornato da luoghi impervi, un guru involontario, devoto alla natura, "into the wild". Sentenzioso il giusto, fornisce massime di vita ("Il viaggio: esperienza dell'altro, formazione interiore, divertimento e divagazione, in una parola, metafora della vita") e salda lo spirito "on the road", l'anima di hippy cresciuto (ma si schermiva se definito così) a un'intensità emotiva magnetica, da filosofo del quotidiano.

 

Le pagine più interessanti ed efficaci restano quelle in cui Pirsig si limita al racconto di viaggio: quando il resoconto dell'esplorazione si colora di stupore rinnovato a ogni tappa ("Ho visto questi acquitrini mille volte, eppure ogni volta mi sono nuovi"), quando registra le impressioni proprie e dei compagni di viaggio, quando - bevendo una birra sul lago Minnetonka - nota qualcosa - un dettaglio umano o del paesaggio - e lo ferma. Quando la "carcassa", il rottame, la vecchia e sgangherata motocicletta, diventa l'occasione di una scommessa pazza e generosa.

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"Abbiamo incrociato un vento di sud-ovest, e la moto s'inclina sotto le raffiche, come di sua spontanea iniziativa, per controbilanciare il loro effetto". Ma subito dopo aggiunge: "Da un po' ho come la sensazione che ci sia qualcosa di strano in questa strada, un'apprensione indefinita, come se qualcuno ci sorvegliasse o ci seguisse". Ed è forse - anche se non lo dice - l'ombra scura da cui non si è mai liberato.

 

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