SKY HA UN X FACTOR - ANDREA SCROSATI: ‘’PER IL PROSSIMO ANNO GIÀ CONFERMATI CATTELAN E FEDEZ PER GLI ALTRI ANCORA NON SI SA - IL SUCCESSO ITALIANO È CLAMOROSO: NEGLI STATI UNITI È STATO CANCELLATO, IN FRANCIA E SPAGNA LO RIPRENDONO QUEST' ANNO, IN GRAN BRETAGNA HA FATTO FLOP - LA QUARTA SERIE DI “GOMORRA” È IN SCRITTURA. STAVOLTA LAVORIAMO SUI COLLETTI BIANCHI, SULLA FACCIA RISPETTABILE DELLA CRIMINALITÀ’’
Marco Molendini per Il Messaggero
Sky ha un X Factor. Andrea Scrosati ne è convinto. Quarantacinque anni, executive vice president della piattaforma, nella quale lavora dal 2007, ha la delega sull' intrattenimento e sull' informazione, che sono stati settori trainanti dell' affermazione del gruppo Murdoch: oggi gli abbonati sono 4 milioni e 780 mila e, dall' anno del suoi lancio, il 2003, la pay tv ha prodotto sull' economia italiana un impatto che viene stimato attorno ai 37 miliardi.
L' X Factor di cui parla Scrosati, però, è legato direttamente al talent musicale che, da sette anni, è l' appuntamento più generalista della tv satellitare. Tanto per avere un' idea su quanto sostiene, basta guardare i numeri: la terza serie di Gomorra, che pure è un grande successo, un altro biglietto da visita di Sky Italia, si è chiusa con una puntata che ha avuto 900 mila spettatori, X Factor con la sua finale, dieci giorni fa, è arrivato a 2,7 milioni, cifra stellare per una piattaforma i cui risultati non dipendono dall' Auditel ma dal gradimento dei suoi abbonati. Non, comunque, fino al punto di non tener conto di un simile responso.
Scrosati, il dato italiano è davvero clamoroso, ma soprattutto è in una curiosa controtendenza rispetto all' esito delle altre edizioni del programma: negli Stati Uniti è stato cancellato, in Francia e Spagna lo riprendono quest' anno dopo una sosta di dieci anni dovuta ai bassi ascolti, in Gran Bretagna l' ultima edizione, terminata a inizio dicembre, ha toccato il suo punto più basso nei rating.
«E' vero, siamo in netta controtendenza e dire che, quando l' abbiamo preso, sei anni fa, c' era grande scetticismo proprio perché eravamo la prima pay tv a scegliere un prodotto di quel genere».
Forse non era solo scetticismo, dopo l' operazione Fiorello era il vostro tentativo più robusto di pestare i piedi alle generaliste.
«Il successo italiano, secondo me, è legato proprio all' avere trasferito il programma su una pay, dove il pubblico lo devi riconquistare ogni volta, rimotivandolo.
Insomma, a Sky siamo strutturalmente portati a migliorarci sempre. Ma non è solo questo».
Che altro c' è?
«C' è la scelta di rischiare costantemente con l' obiettivo di anticipare le tendenze culturali della società. Una scelta che è nel Dna di Sky, anche grazie e soprattutto alla spinta che viene dal nostro ad Andrea Zappia. Poi c' è l' interazione coi nostri clienti, che studiamo attentamente. I 36 milioni di voti, che abbiamo avuto in questa edizione, di cui 8,7 nella finale, arrivano grazie al fatto che con noi si può votare col telecomando e perché si può farlo da piattaforme diverse, dal nostro decoder, dalle app e dai social. Il tutto è frutto del lavoro di un team incredibile che è la vera forza di Sky. Quella valanga di voti solo grazie a chi gestisce la tecnologia è potuta arrivare senza alcun problema».
Cosa cambierà a X Factor 12?
«Ci saranno molte novità, come sempre ogni anno cerchiamo di rinnovare gli equilibri e la dinamica sul palco. Ma ci sarà ancora Alessandro Cattelan, che è un punto di riferimento, e tra i giudici abbiamo già confermato Fedez».
E Manuel Agnelli, Mara Maionchi e Levante?
«Stiamo riflettendo».
Le considerazioni che fa sul talent valgono anche per gli altri prodotti? Per esempio Gomorra?
«La quarta serie è già in scrittura. Ogni stagione ci indirizziamo su nuovi piani di racconto, stavolta stiamo lavorando sui colletti bianchi, sulla cosiddetta faccia rispettabile della criminalità».
A proposito di serie, vi siete posti la domanda su cosa fare di House of cards 6, dopo il licenziamento di Kevin Spacey?
«Siamo comunque molto interessati. Noi abbiamo comprato l' intera serie da Netflix attraverso la Sony. Bisogna vedere se il nuovo prodotto sarà considerato come capitolo della serie principale, e in questo caso il contratto nostro sarebbe ancora valido. Il discorso sarebbe diverso se, invece, la storia si trasforma in uno spin off».
Il nuovo decoder Q è nato anche come risposta alle nuove piattaforme come Netflix e Amazon?
«Sky Q non è un decoder, è un' esperienza avvolgente, costruita per far vedere al nostro pubblico quello che vuole come e quando vuole. Ormai il pubblico si muove sempre più verso una visione su misura, indipendente dai palinsesti. Ma bisogna continuare a proporre contenuti che si consumano assieme.
X Factor in questo senso è un esempio perfetto: per la prima volta, dopo tanto tempo, grazie a questo show le famiglie sono tornate a vedere un programma insieme, godendo del senso concreto di avere un ruolo attivo attraverso il voto, che diventa capace di determinare la storia.
Per questo, spesso, i vincitori annunciati a X Factor non hanno vinto. In questo senso i social media sono una opportunità unica, permettono una visione collettiva anche quando sei da solo».
Significa che questa è la strada che prenderà la vostra futura programmazione, che quindi proverà a essere sempre più social?
«Stiamo studiando nuovi contenuti per la generazione Z, i post millennials, investendo su produzioni originali. Lo facciamo già con Social face e lo faremo con Social dream, il film sugli youtuber che uscirà al cinema e poi andrà su Sky 1. Poi continuiamo a puntare su prodotti che partono da storie locali ma si sviluppano attorno ad archetipi universali, come la serie Il miracolo, otto episodi di Niccolò Ammanniti, la cui vicenda parte dal ritrovamento nel covo di un boss della ndrangheta di una statuetta della Madonna che piange sangue. E stiamo lavorando anche su molti progetti seriali europei».
Sul futuro scommetterebbe su un'ulteriore espansione della pay tv?
«Non ne ho dubbi. Basta guardare a cosa succede nei mercati più avanzati, quelli che si sono mossi prima. Negli Stati Uniti la pay copre ormai il 90 per cento degli spettatori, ma i quattro network generalisti continuano ad avere il 50 per cento della platea. Succederà anche da noi. Continuerà a esserci uno spazio considerevole per la tv generalista, ma in prospettiva la distinzione fra i due pubblici diminuirà sempre più con l' esaurimento della generazione che sulla pay non è mai andata. Il risultato finale sarà un unico pubblico che si muoverà disinvoltamente su tutte le piattaforme disponibili, pay e generaliste».