LA “TERRAFERMA” CROLLA SOTTO I PIEDI DI NANNI - NONOSTANTE IL SUCCESSO (ANCHE ALL’ESTERO) DI “HABEMUS PAPAM”, L’ITALIA DESIGNERÀ IL FILM DI CRIALESE PER LA CINQUINA (DA QUEST’ANNO, DECINA) DEGLI OSCAR PER IL FILM IN LINGUA STRANIERA - LA COMMISSIONE CON BELLOCCHIO E GUADAGNINO DECIDERÀ MERCOLEDÌ, MA IL RISULTATO È QUASI SCONTATO - “BAARIA”, VIRZÌ, “GOMORRA”: LE SCELTE DEGLI ULTIMI ANNI NON SONO MAI ARRIVATE A HOLLYWOOD…
Michele Anselmi per "il Secolo XIX"
Emanuele Crialese si prenota per l'Oscar. Il suo "Terraferma" sarà designato dall'Italia nella speranza che finisca nella cinquina, quest'anno allargata a otto-dieci titoli, riservata al "best foreign language movie", cioè non girato in inglese. La decisione ufficiale scaturirà dalla riunione di mercoledì 28 settembre, presso l'Anica; ma non ci sono dubbi che la commissione, composta dai registi Marco Bellocchio e Luca Guadagnino, dal giornalista di "Variety" Nick Vivarelli, dalla presidente dei cine-esportatori italiani Paola Corvino, dalle produttrici Francesca Cima, Tilde Corsi e Martha Capello, dal distributore Valerio De Paolis e da Nicola Borrelli per il ministero ai Beni culturali, lancerà il film di Crialese.
Non un successo al botteghino, lunedì scorso era sotto i 750 mila euro, ma forse il più adatto, dopo il generoso Premio speciale della giuria ricevuto a Venezia dal presidente Darren Aronofsky, per competere con i circa 60-70 film in arrivo da ogni parte del mondo.
Intendiamoci: la riunione di mercoledì non sarà pro-forma. I commissari sono effettivamente chiamati a scegliere tra gli otto titoli candidati dai rispettivi produttori. La sorpresa è sempre possibile, per quanto improbabile. Giova infatti ricordare che, nella corsa per il miglior film straniero, non si tratta di spedire il più bello in assoluto, ma il più adatto a inserirsi in quel contesto affollato.
"Terraferma", nell'intrecciare tema dell'immigrazione e sguardo isolano con epico palpito, potrebbe farcela secondo gli esperti. Più degli altri sette, che sono: "Habemus Papam" di Nanni Moretti, "Noi credevamo" di Mario Martone, "Nessuno mi può giudicare" di Massimiliano Bruno, "Notizie degli scavi" di Emidio Greco, "Tatanka" di Giuseppe Gagliardi, "Vallanzasca. Gli angeli del male" di Michele Placido, "Corpo celeste" di Alice Rohrwacher.
«Credo che la spunterà Moretti» s'è detto convinto il giovane Bruno, e magari "Habemus Papam", commedia esistenziale e buffa insieme, lo meriterebbe, al pari dell'affresco risorgimentale in chiave pessimista-meridionalista firmato da Martone. Ma tutti i segnali inducono a pensare che la spunterà Crialese. Per sapere se entrerà nel ristretto gruppo di fortunati bisogna attendere il 24 gennaio 2012, quando l'Academy annuncerà le candidature.
Un mese dopo, il 26 febbraio, animata da Eddie Murphy, la cerimonia al Kodak Theatre per la 84ª edizione degli Oscar. E chissà che il nostro Paolo Sorrentino non gareggi nelle categorie principali col suo "This Must Be the Place" interpretato da Sean Penn: proprio ieri i fratelli Weinstein hanno annunciato di averlo acquistato per gli Usa, da noi esce il 14 ottobre targato Medusa.
Sarà la volta buona? Tutti se lo augurano. Con l'eccezione del 2006, l'anno in cui "La bestia nel cuore" di Cristina Comencini, prodotto da Cattleya e Raicinema come "Terraferma", riuscì a infilarsi nella cinquina restando però a bocca asciutta, è dai tempi di "La vita è bella" di Roberto Benigni che l'Italia non si affaccia seriamente alla festa planetaria del cinema.
La statuetta per il miglior film straniero sarà pure una portata minore nel gran banchetto degli Oscar, come ricordava il compianto Tullio Kezich, e tuttavia brucia la ripetuta esclusione. Nel 2010 toccò a "La prima cosa bella" di Paolo Virzì, nel 2009 a "Baarìa" di Giuseppe Tornatore, nel 2008 a "Gomorra" di Matteo Garrone. La lista è lunga e contempla titoli pure di pregio, come "La stanza del figlio", "I centopassi", "Le chiavi di casa", "Nuovomondo" (sempre di Crialese).
Ogni anno, di questi tempi, ci si chiede se non ci sia un difetto di comunicazione tra Hollywood e l'Italia. C'è chi sostiene che siamo diventati, agli occhi degli americani, una cinematografia residuale. E chi replica dicendo che indichiamo i film sbagliati. Chissà . Di sicuro la presenza di Guadagnino e di Bellocchio nella commissione ha il sapore di un risarcimento, avendo l'anno scorso riscosso "Io sono l'amore" e "Vincere", specie il primo, un notevole successo negli Stati Uniti.
Comunque decidano i nove esperti italiani, basta che non finisca come in Russia. La designazione del film da spedire all'Oscar s'è impastrocchiata fino a diventare un triste caso politico. Il faraonico "Cittadella" di Nikita Mikhalkov, stroncato dalla critica e ignorato dal pubblico, ha ottenuto cinque voti su otto nella commissione dove siede lo stesso Mikhalkov.
Il presidente Vladimir Menshov, già premio Oscar nel 1981 col suo "Mosca non crede alle lacrime", s'è rifiutato di firmare il verbale della seduta, contestando pubblicamente il verdetto, a suo dire manovrato con logiche clientelari dal potente collega, caro al regime di prima e di adesso. A rimetterci sono stati "Faust" di Aleksandr Sokurov ed "Elena" di Andrej Zvjagintsev: l'uno Leone d'oro a Venezia, l'altro Premio speciale della giuria a Cannes.









