FISCO-INFERNO A HOLLYWOOD – IL PRODUTTORE WEINSTEIN CHIEDE MENO TASSE: ‘SE BUTTI UN’OCCHIATA AI NUMERI TI RENDI CONTO CHE GIRARE A NEW ORLEANS È MOLTO PIÙ CONVENIENTE”.

Mattia Ferraresi per "Il Foglio"

Il leggendario produttore cinematografico Harvey Weinstein è una delle incarnazioni più pure della cultura liberal di Hollywood. Da sempre convinto sostenitore del Partito democratico, nel 2008 si è gettato anima, corpo e portafogli nella campagna elettorale di Hillary Clinton salvo poi saltare sul più rapido carro di Barack Obama, per il quale ha organizzato favolosi eventi di fundraising e ha mobilitato il suo potente network di amicizie, peraltro già allineato su posizioni democratiche.

Quando non è in pista per sostenere una campagna elettorale, il cofondatore del colosso Miramax raccoglie fondi per cause umanitarie assai commendevoli, secondo quello spirito in cui la filantropia e le detrazioni fiscali felicemente s'abbracciano. Weinstein è innanzitutto uomo d'azienda guidato dalla stella polare del profitto, e l'impressionante lista di blockbuster che ha prodotto con la Miramax prima e con la sua Weinstein Company poi è testimonianza potente della sua sfera d'influenza: si va da "Pulp Fiction" e gran parte della filmografia di Quentin Tarantino fino ai più recenti "King's Speech" e "Silver Lining Playbook", passando per "Il Postino" e "Il Paziente Inglese".

Il suo attivismo per promuovere i suoi film presso la giuria degli Oscar ha portato la Academy a proibire questo tipo di attività di lobbying da parte delle case di produzione. L'ultimo idolo polemico di Weinstein sono le tasse, troppo alte in California per trattenere idee e talenti dalle parti di Hollywood. Qualche giorno fa, a un simposio organizzato dalla University of California di Los Angeles, ha chiesto pubblicamente incentivi fiscali per l'industria cinematografica: "Non ci sarebbe ragione per non girare e produrre film qui - ha detto - sennonché quando dài un'occhiata ai numeri ti rendi conto che girare a New Orleans è molto più conveniente".

Al suo interlocutore sul palco, Ken Ziffren, lo zar dell'industria cinematografica, ha chiesto di "fare tutto ciò che può" per convincere il governatore, Jerry Brown, a concedere sgravi fiscali alle produzioni hollywoodiane. C'è un elemento paradossale in questa richiesta. Brown ha sistemato i conti dissestati della California con uno dei programmi di innalzamento delle tasse più radicali della storia americana recente, specialmente per i più ricchi.

Gli elettori hanno approvato la misura con un referendum, e nell'immaginario democratico la California si è trasformata da gigante d'argilla sull'orlo del default e precursore della crisi finanziaria a modello per una politica economica responsabile. I predicatori dell'innalzamento delle tasse ai ricchi come strumento per ottenere in un colpo solo giustizia sociale e conti sostenibili guardano a Brown come a un amministratore democratico illuminato. Weinstein la pensa al contrario, e sostiene che un importante capitale industriale che è patrimonio dello stato rischia di disperdersi, perché là fuori ci sono ambienti fiscali più competitivi e business friendly.

Solitamente sono stati repubblicani con gabelle meno gravose e burocrazia più leggera. E' curioso - come ha notato la rivista Forbes - che l'invocazione di Weinstein non sia stata accolta dall'ambiente democratico californiano con proteste e accuse di indulgenza su una logica micragnosa fondata sulla massimizzazione dei profitti. Se l'industria del petrolio chiedesse pubblicamente incentivi fiscali per aumentare il suo giro d'affari le piazze si riempirebbero di manifestanti contro gli scopi diabolici dei signori dell'oro nero. Se la stessa cosa la dice un produttore con impeccabile curriculum liberal non suona poi così malvagia.

 

ROBERT GATES E HILLARY CLINTON OBAMA E HILLARY CLINTONHILLARY CLINTON E BARACK OBAMAPREMI CESAR 2014 - QUENTIN TARANTINOQUENTIN TARANTINO CON LA PANZA

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