1. DOPO LE PENSIONI, IL SECONDO ROUND DELLO SCONTRO TRA POTERI DELLO STATO E RENZI 2. IL 23 GIUGNO LA CORTE COSTITUZIONALE DOVRÀ DECIDERE SUL BLOCCO DEGLI STIPENDI DEI DIPENDENTI PUBBLICI E SE I RICORSI DEI SINDACATI VERRANNO ACCOLTI PER IL GOVERNO SI APRIRÀ UNA VORAGINE DA 17-18 MILIARDI DI EURO: UN PUNTO DI PIL ABBONDANTE, QUANTO BASTA PER FAR SALTARE TUTTI GLI EQUILIBRI DELLA NOSTRA FINANZA PUBBLICA
Francesco Bonazzi per Dagospia
Il giorno in cui Pier Carlo Padoan e Matteo Renzi rischiano di uscire da Palazzo Chigi con le mani alzate è il 23 giugno. Quel giorno la Corte Costituzionale dovrà decidere sul blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici e se i ricorsi dei sindacati verranno accolti per il governo si aprirà una voragine da 17-18 miliardi di euro: un punto di Pil abbondante, quanto basta per far saltare tutti gli equilibri della nostra finanza pubblica. E i segnali per l’esecutivo sono tutt’altro che buoni, anche in forza di una precedente sentenza della Consulta.
Il blocco degli stipendi riguarda 3 milioni e 300 mila dipendenti pubblici e fu deciso nel 2010 dall’ultimo governo Berlusconi. Nei suoi primi tre anni si calcola che abbia consentito allo Stato di risparmiare oltre 11 miliardi di euro. Il governo di Enrico Letta lo ha prorogato e così ha fatto anche quello Renzi, con il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia che lo scorso autunno ha annunciato l’ulteriore blocco per il 2015. Secondo i calcoli ufficiosi del ministero dell’Economia, rimettere in moto gli stipendi pubblici, per l’anno in corso, sarebbe costato non meno di 4 miliardi. Soldi che non c’erano ieri e non ci sono neppure oggi, specie dopo la mazzata della Consulta sulle pensioni.
matteo renzi pier carlo padoan
Contro il blocco hanno protestato fin da subito vari sindacati minori, mentre Cgil, Cisl e Uil sono sempre state prudenti. I primi ricorsi alla Corte Costituzionale sono infatti partiti da organizzazioni minori, ma il 27 novembre dell’anno scorso le cose sono cambiate e i tre maggiori sindacati hanno sganciato il siluro che adesso rischia di affondare Renzi: hanno presentato ricorso alla Consulta.
Una mossa che all’epoca è stata forse sottovalutata dal governo, ma che arrivò dopo un incontro a Palazzo Chigi andato malissimo e nel pieno dell’approvazione del Jobs Act. Insomma, in parte anche una risposta “politica” dei sindacati a un governo vissuto come sempre più ostile. Se vogliamo, il raccolto del premier spaccone dopo ampia semina di tempesta. Poi c'è da dire che anche il governo Renzi ci ha messo del suo, in autunno, sbloccando gli stipendi del solo comparto sicurezza. Una mossa che potrebbe spingere la Consulta a ritenere "irrazionale" il blocco per tutti gli altri.
Ora la sentenza attesa per il 23 giugno fa paura al governo ed è iniziato un (goffo) fuoco di sbarramento. Venerdì Padoan, intervistato da “Repubblica”, ha sostenuto che la Consulta, nel prendere le sue decisioni, dovrebbe tenere conto degli equilibri di finanza pubblica. Non solo, ma per il futuro si augura “una migliore interazione” con l’Avvocatura generale dello Stato e il governo.
Peccato che sabato il presidente Alessandro Criscuolo abbia a sua volta ribadito in un’intervista che il principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio dev’essere tutelato da altri poteri, a cominciare dall’esecutivo. “L’interazione tra poteri”, poi, non è prevista da nessuna norma e sembra tanto un invito all’inciucio rivolto a un potere di controllo come la Consulta, che deve restare separato.
Ovviamente non è sulla base di queste prime scaramucce che si può prevedere che cosa deciderà la Corte, però c’è un precedente specifico che è molto illuminante. Il 10 dicembre del 2013, presidente Gaetano Silvestri, la Consulta ha respinto una prima ondata di ricorsi contro il blocco del 2010. Ma lo ha fatto con una motivazione che avrebbe dovuto far riflettere la Madia e Padoan quando hanno deciso la loro proroga.
Nella sentenza si legge che la Corte “ha ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione”. Insomma, per tre anni, il blocco poteva andare bene perché “eccezionale” e “temporalmente limitato”.
matteo renzi pier carlo padoan
Ma adesso che gli anni sono diventati cinque il blocco è ancora “ragionevole”? Come si vede, la partita è decisamente aperta e forse oggi il governo si pente di non aver trovato quei 4 miliardi per il 2015. Specie adesso che rischia di pagarne il quadruplo. I sindacati possono essere molto vendicativi.