“DA ALMENO 40 ANNI L’EGEMONIA CULTURALE E’ SALDAMENTE IN MANO ALLA DESTRA” - ALDO CAZZULLO: “DAL TEMPO DI ‘CORRI A CASA IN TUTTA FRETTA C’È UN BISCIONE CHE TI ASPETTA’. NEL SENSO CHE L’INDIVIDUALISMO, IL FAMILISMO, LA RITIRATA NEL PRIVATO COMINCIATA ALL’INIZIO DEGLI ANNI 80 NON SONO MAI FINITI. NON A CASO IL FONDATORE DELLE TV PRIVATE È DIVENTATO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. DOV’È L’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA? NEL FATTO CHE SI GIRI QUALCHE FILM ‘DE SINISTRA’? MA I CINEMA SONO VUOTI, LA GENTE È A CASA DAVANTI ALLA TV SE HA PIÙ DI CINQUANT’ANNI, O DAVANTI AL TELEFONINO…”
Dalla rubrica delle lettere del “Corriere della Sera”
Caro Aldo, il tentativo della destra di archiviare l’egemonia culturale della sinistra è fallito miseramente. Il caso Boccia-Sangiuliano è solo l’ultimo inciampo del ministro della Cultura, come la gaffe su Dante fondatore del pensiero di destra a Cristoforo Colombo influenzato dalle teorie di Galileo Galilei. Senza contare il caso Sgarbi e il caso Morgan. Il desiderio della destra di mettere le mani sulla cultura si è tradotto in una serie di attacchi scomposti agli scrittori di sinistra. Tutto si riduce a una lotta per conquistare il potere attraverso la lottizzazione. Di cultura francamente ne abbiamo vista ben poca.
Gabriele Salini
Risposta di Aldo Cazzullo
Caro Gabriele, mi scusi, ma di quale egemonia culturale si parla? Da almeno quarant’anni, dal tempo di «corri a casa in tutta fretta c’è un Biscione che ti aspetta», l’egemonia culturale è saldamente in mano alla destra. Nel senso che l’individualismo, il familismo, la ritirata nel privato cominciata all’inizio degli anni 80 non sono mai finiti. Non a caso il fondatore delle tv private è diventato presidente del Consiglio, e anche da morto esercita una notevole influenza sulla vita pubblica italiana.
Pure la storica casa editrice della sinistra italiana, l’Einaudi, è di Berlusconi. Dove vede, gentile signor Salini, l’egemonia culturale della sinistra? Nel fatto che si giri qualche film «de sinistra»? Ma i cinema sono vuoti, la gente è a casa davanti alla tv se ha più di cinquant’anni, o davanti al telefonino. Nel fatto che ci sia ancora qualche antifascista? Ma la scelta tra il nazifascismo e i suoi oppositori non è una scelta tra destra e sinistra, bensì tra barbarie e civiltà. O sarebbe stato meglio che avessero vinto Hitler, le Ss, i treni piombati, le camere a gas?
Poi, certo, c’è destra e destra. C’è la destra liberale e c’è la destra postfascista. È vero che Berlusconi sdoganò i postfascisti, sostenendo Fini nella sfida con Rutelli, al tempo in cui Fini definiva il Duce «il più grande statista del secolo» (e prese il 47% al ballottaggio, mentre il Fini del fascismo male assoluto si fermò allo 0,4). Ma dal punto di vista di Berlusconi, i postfascisti erano alleati minori, una forza che serviva a fare il pieno di voti contro la sinistra ma che non avrebbe mai preso il bastone del comando. Anche questo spiega l’insofferenza malcelata di Berlusconi per l’ascesa di Giorgia Meloni.
Tuttavia, l’egemonia culturale non è solo un fatto di leader e di partiti. La sinistra un tempo prometteva di «vivere diversamente» (slogan di Mitterrand nel 1981). Chi crede oggi che la politica possa cambiare le cose? Possa trasformare la società? Possa risolvere le grandi questioni del nostro tempo?
La sinistra potrà ancora vincere qualche elezione; se accadesse in Italia, sarebbe la prima volta, visto che nel 1996 l’Ulivo ebbe la maggioranza solo perché la Lega e Berlusconi si erano divisi, e i 24 mila voti in più raccolti nel 2006 con un’alleanza che andava da Dini e Mastella a Pecoraro Scanio e Turigliatto può a fatica essere definita una vittoria. Ma in Occidente l’egemonia culturale della sinistra è una chimera da molto tempo.
Ps: il nuovo ministro Giuli viene invitato a scegliere «tra Giovanni Gentile e il generale Vannacci». All’evidenza, Gentile è il simbolo di una destra «buona». Eppure Giovanni Gentile scrisse il manifesto degli intellettuali fascisti e fu fascista sino all’ultimo giorno, aderendo alla Repubblica di Salò che mandava gli ebrei italiani ad Auschwitz. Gli apologeti ricordano che cercò di salvare qualche ebreo amico suo.
Se non altro, il generale Vannacci al fascismo si limita ad alludere.