ARCHI-STAR DEI MIEI STIVALI - LIBESKIND ALZA IL DITINO CONTRO I COLLEGHI CHE LAVORANO PER REGIMI AUTORITARI, SOPRATTUTTO IN CINA ED EMIRATI ARABI - GREGOTTI (NEW TOWN DI JIANGWAN): “MA È PROPRIO LIBESKIND CHE LAVORA PER IL POTERE, QUELLO FINANZIARIO, CHE PRODUCE ARCHITETTURA STALINISTA” - FUKSAS (AEROPORTO DI SHENZEN): “LUI HA FATTO CITYLIFE PER I LIGRESTI, LA PEGGIOR SPECULAZIONE IMMOBILIARE ITALIANA DA CRAXI IN POI”…


Pierluigi Panza per il "Corriere della Sera"

Servire il principe o il popolo... Un vecchio problema per gli architetti. Quando il committente di un'architettura è un monarca assoluto, per i progettisti è spesso più semplice realizzare un'opera, basta seguirne le inclinazioni del gusto. La democrazia invece, con le sue burocrazie e i suoi riti, allunga i tempi dei progetti e spesso li incaglia. Detto questo, l'attacco lanciato da Daniel Libeskind ai colleghi che lavorano per i «nuovi dittatori» è un giusto richiamo o un autogol fuoritempo?

Su Architects' Journal, Libeskind ha criticato aspramente quei colleghi che si mettono al servizio di «regimi autoritari». Discettando su etica e committenza, Libeskind ha sottolineato che, ancora oggi, gli architetti possono essere usati per servizi poco apprezzabili. Così, in una ricostruzione dei possibili riferimenti, ieri si sono cimentati blog e giornali facendo trapelare vari nomi di progettisti ai quali sarebbero rivolti gli strali dell'archistar.

Primi fra tutti quelli che stanno realizzando grandiosi progetti in Cina, come Rem Koolhaas (China Central Television), la cui poetica, comunque, come mostra un bel libro di Roberto Gargiani, (Rem Koolhaas/OMA, Laterza, pp. 230, 25), si è formata nel contesto culturale delle neo-avanguardie fine anni Sessanta. Oltre a Koolhaas gli strali di Libeskind sarebbero contro Herzog & de Meuron (Stadio nazionale) e gli italiani Massimiliano Fuksas (per l'aeroporto di Shenzen) e Vittorio Gregotti (per la new town di Jiangwan).

Inoltre, genericamente gli architetti che stanno lavorando negli Emirati, a Dubai, ad Abu Dhabi e a Riad, ovvero nei santuari di una certa architettura contemporanea. Insomma, per Libeskind non si può servire due padroni, l'architettura e il denaro. L'etica dell'architetto preclude di porsi al servizio di Paesi a rischio totalitario.

Ieri, Vittorio Gregotti, ha inviato a Daniel Libeskind una lettera di commento. «Gli ho risposto - riferisce - di andarsi a leggere Architettura e potere di Deyan Sudjic». Un libro (Laterza, pp.384, 20) dove si dimostra come edificare sia il mezzo con cui l'egotismo degli individui al potere si esprime nella sua forma più pura, come dimostrano gli edifici commissionati da Imelda Marcos nelle Filippine, la moschea voluta da Saddam Hussein e le ville per Mao di Zhang Kaiji ma anche la piramide di Mitterrand o il Millennium Dome dell'epoca Blair.

Aggiunge Gregotti: «Se c'è un esempio di rispecchiamento del potere è proprio quello di Libeskind. Tutti i suoi progetti sono espressioni al servizio del potere finanziario, esempi di adesione al potere, sono come architettura stalinista. Il mio intervento in Cina non è al servizio del grande dittatore, ma dello scongelamento della Cina, secondo me è un'apertura, nasce con l'inizio della concessione ai privati».

Anche Massimiliano Fuksas rispedisce al mittente le accuse lanciate da Libeskind. «È molto meglio lavorare con l'emiro di Abu Dhabi e sperimentare un modello di città sostenibile, come fa Norman Foster, piuttosto che impegnarsi in Citylife, che è la peggiore speculazione immobiliare italiana da Craxi in poi, realizzata all'ex Fiera di Milano, come ha fatto Libeskind. Io - continua Fuksas - ho progettato l'aeroporto di Shenzen, in Cina, ma nessuno mi ha chiesto di inneggiare al comunismo capitalista cinese. Libeskind non avrebbe dovuto progettare tanti centri commerciali che, per i moralisti americani, sono quanto di peggio si possa immaginare».

Di Koolhaas, sull'argomento, ricordiamo che, dopo la delusione del progetto abbandonato alla Maddalena, disse: «La morale è una sola: la politica rovina la buona architettura. In ogni parte del mondo».

Da accusatore, insomma, la raccolta delle reazioni al suo j'accuse fa finire Libeskind sul banco degli accusati, specie per Citylife. Un progetto realizzato con Zaha Hadid, un'archistar che figurerebbe tra i suoi «accusabili».

Si tratta di un discorso pericoloso quello tra architettura e potere e si tratta di architetture che, spesso, non reggono ai tempi. Lo ricorda lo storico Francesco Dal Co a proposito delle opere bulgare di Georgi Stoilov, che celebravano il regime. La Casa del partito sul monte Buzludja, una sorta di pantheon, «è completamente abbandonata. Rapidamente il tempo ha provveduto a trasformare in una rovina questa costruzione così pretenziosamente e insensatamente moderna» (Dal Co ha dedicato a essa un saggio su Casabella). Un monito per tutte le costruzioni «da regime» up-to-date.

 

 

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