IL MIO MIGLIOR NEMICO - NONOSTANTE UN PARTITO IN SUBBUGLIO, IL BANANA VUOLE MANTENERE I PATTI CON RENZI (NON HA ALTERNATIVE) E LASCERÀ CHE ALL’OPPOSIZIONE DI MATTEUCCIO CI SIANO I “PARRUCCONI CONSERVATORI” E IL PD
Ugo Magri per "La Stampa"
Tra Zagrebelsky e Renzi, Berlusconi sta con Renzi tutta la vita. Idem tra il presidente del Senato e il premier: Silvio sceglie senza esitazione Matteo. Già questo basterebbe a intuire come si regolerà il Cavaliere sulla riforma varata ieri dal governo: mai con i «parrucconi conservatori», epiteto che nella visione berlusconiana accomuna tutti quanti ossequiano la Costituzione.
E dunque, pur senza essere convinto fino in fondo di certi dettagli, l'uomo sosterrà Renzi nella sfida più spericolata. Nella sua dichiarazione diffusa ieri, si coglie lo stile felpato del consigliere politico Toti: «Noi rispetteremo fino in fondo gli accordi che abbiamo sottoscritto, e siamo pronti a discutere tutto nel dettaglio, senza accettare testi preconfezionati ma lavorando insieme». Non è certo il linguaggio di chi vuole mettersi di traverso...
Ma ci sono ulteriori motivi che spingono l'uomo a tenere dritta da barra, senza prestare orecchio alle grida disperate dei suoi senatori in rivolta. La prima ragione è nero su bianco. Nel celebre patto del 18 gennaio si specifica che la futura assemblea di palazzo Madama non dovrà costare un soldo ai contribuenti, non potrà votare la fiducia al governo e, soprattutto, «non sarà elettiva».
Venne insomma escluso di coinvolgere i cittadini nella scelta dei 148 senatori. Sul punto, Renzi ha ottime carte da giocare, e dice la verità quando sostiene di avere strappato alle destre grandi concessioni, di cui non ci si rese conto al momento. Minzolini, che sta con Gasparri e un altro manipolo di senatori forzisti sulle barricate, la mette così: «Qui rischia di finire come con la legge Severino, che la approvammo salvo pentircene amaramente un anno dopo...»..
Ma piaccia o non piaccia ai «berluscones», quel pezzo di carta fu firmato a largo del Nazareno non da un sosia bensì dal loro leader, forse distratto, o poco interessato ai dettagli, o addirittura ansioso di prendersi la rivalsa contro il ramo del Parlamento da cui era stato da poco espulso con ignominia...
Nel testo dell'intesa venne pure scolpito a lettere cubitali che la nuova legge elettorale avrebbe avuto la precedenza sulle riforme istituzionali: non a caso sollevano le loro rimostranze Brunetta e Romani, i due capigruppo «azzurri». Nella fattispecie, difficile dare loro torto. Però neppure su questo il Capo sembra intenzionato a far saltare il banco: «Occorre ora procedere con l'approvazione dell'Italicum prima possibile», si limita ad auspicare senza ultimatum.
Una pausa di riflessione sull'Italicum fa comodo in fondo pure a Forza Italia: gli ultimi correttivi alla legge potranno essere introdotti con i risultati delle Europee sotto mano. Il timore che aleggia dalle parti di Arcore, dove Berlusconi è stato rintanato ieri tra mille incontri legati al «fund raising» (leggi: caccia ai mecenate della prossima campagna elettorale), è di «sbagliare verso», di sostenere il contrario di quanto desiderano gli italiani, di essere o di apparire quelli che frenano le riforme. «Non saremo certo noi i guastatori», sussurra Mariastella Gelmini. Insomma: Berlusconi darà un po' di spago alle proteste, lascerà che si sfoghino i suoi senatori. Ma di nuovi incontri con il premier per rinegoziare le intese, al momento, non ve n'è sentore.
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