IL MAUSOLEO DI SILVIO – TETRA INAUGURAZIONE CON BERLUSCONI MUMMIFICATO TRA STUCCHI E COLONNE CHE MOLLA I MINISTRI AL LORO DESTINO: “FARSA ITALIA”

1. REPLICHE
Jena per "La Stampa"
Farsa Italia

Ugo Magri per La Stampa

Quello che Berlusconi davvero pensa del governo, gli è quasi sfuggito dalle labbra nel discorsetto inaugurale della sfarzosa sede azzurra collocata a pochi metri da dove aveva lo studio Andreotti. «Siamo stati talmente responsabili», sono le parole rivelatrici del Cav, «che abbiamo accettato di stare con soli 5 nostri ministri in un governo composto da 23 persone, e abbiamo accettato i dicasteri che ci hanno assegnato...".

Come dire: trattarci peggio di così non avrebbero potuto. Per cui, se domani l'esecutivo dovesse cadere, nei dintorni di Arcore nessuno si straccerebbe le vesti. Certo non il Cavaliere, al quale delle poltrone di Alfano («l'unico da me indicato», confida privatamente) e degli altri suoi colleghi importa uno zero virgola.

Quando li ha incontrati nel primo pomeriggio, con loro che si mostravano pronti al sacrificio delle dimissioni casomai lui gliel'avesse chieste, Silvio è stato magnanimo, «ma nooo, restate dove siete, tenete duro sulle nostre battaglie» ha risposto. Però senza autentico pathos, senza la vibrazione della sincerità.

A qualcuno è parso che, nel confronto con la gestualità irosa del suo messaggio tivù, ieri Berlusconi fosse più conciliante perlomeno nei toni. Forse gli hanno riferito che l'audience è stata tutt'altro che eccezionale, sui social network il rimbalzo complessivamente modesto, l'impatto sul popolo moderato decisamente in chiaroscuro...

Sia come sia, la sostanza del messaggio non è cambiata, al premier lui non staccherà la spina in quanto «una crisi ora sarebbe destabilizzante e la stabilità rappresenta un bene»; però la tregua durerà «fino a quando il governo porterà in fondo i provvedimenti e manterrà gli impegni», insomma fintanto che Letta obbedirà ai diktat di Forza Italia, incominciando da quello sull'Iva.

Cicchitto, tra i rari ottimisti, vede un bicchiere mezzo pieno «perché si apre una fase di confronto anche duro sui contenuti». E tuttavia, proprio nei riguardi di Letta, il Cavaliere per la prima volta mostra segni di fastidio. Senza nominarlo apertamente gli dà dell'ipocrita («chi dice che la legge è uguale per tutti, che le sentenze si devono rispettare», vale a dire i concetti espressi dal premier in mattinata, «si ripara dietro un'ipocrisia non accettabile»). Nella psicologia berlusconiana, questa fase politica non dà i frutti sperati, dunque va già declinata al passato.

L'inaugurazione si è celebrata in un clima tutt'altro che festoso. L'uomo è parso di umore tetro, e non per colpa degli arredi. Anzi, grandi complimenti alla Santanché per come gli ha curato l'immenso studio, talmente vasto che per attraversarlo farebbe comodo un monopattino: megascrivania presidenziale, due divani da sei posti, una quantità di poltrone, addirittura quattro colonne per dividere la piazza d'armi in due distinti ambienti.

Ovunque, poster del Cavaliere in pose vagamente dannunziane. Il gruppo dirigente forzista ha sciamato per i corridoi ammirando senza fiato la ricchezza degli arredi, che rendono la nuova sede simile a un ufficio di pubbliche relazioni o a una magione d'alto bordo dove chi lavora viene relegato negli stanzini della servitù.

Ma più dei denari investiti nel lusso, che fa a pugni con l'Italia in bolletta, ha colpito i testimoni l'incomunicabilità assoluta tra le due fazioni, i «falchi» e le «colombe», la gioia un po' prepotente dei primi che hanno preso il totale controllo delle operazioni e il senso di straniazione delle seconde, quasi si domandassero «dove siamo capitate?».

Con Berlusconi unico trait d'union pienamente consapevole di esserlo ma stanco, snervato, forse tentato in cuor suo di mollare tutti quanti al loro destino. Se il suo orgoglio non lo obbligasse a recitare fino in fondo la parte del condottiero che giammai si arrende.

 

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