maria elena boschi banca etruria renzi

AHI, AHI, AHI, MARIA ‘ETRURIA’! NON TI HANNO DETTO CHE LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE? A DIFFERENZA DI QUELLO CHE HA DICHIARATO, LA BOSCHI ERA PRESENTE AL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 22 NOVEMBRE IN CUI E’ STATA IDEATA LA NORMA SALVA BANCHE

Franco Bechis per “Libero Quotidiano”

maria elena boschi banca etruriamaria elena boschi banca etruria

 

Maria Elena Boschi, ministro dei rapporti con il Parlamento e delle riforme istituzionali era regolarmente presente al consiglio dei ministri in cui è stata ideata e sottoposta al giudizio collegiale da Matteo Renzi la norma cosiddetta "salva papà Boschi", quella contenuta all' articolo 35, comma 3 del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2014/59/Ue del 15 maggio 2014. Lei per altro aveva sempre sostenuto di non avere partecipato al consiglio dei ministri del 22 novembre scorso che varò il provvedimento salva-banche che riguardava fra le altre anche quella Banca popolare dell' Etruria e del Lazio di cui il padre Pier Luigi era stato vicepresidente fino a febbraio 2015.

 

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Ma non è in quel testo che è contenuto lo scudo alzato dal governo a protezione degli amministratori delle banche oggetto di procedura di risoluzione nei confronti dei creditori sociali a cui è impedita ogni azione di rivalsa. La norma come spiegato ieri da Libero è invece nel testo che recepiva la direttiva europea, sul cui impianto poi si poggia tutto il salva-banche.

 

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Quel decreto legislativo è approdato in consiglio dei ministri in tre occasioni. Nella prima- il 10 settembre scorso- i ministri hanno approvato per la prima volta il testo che conteneva lo scudo per papà Boschi approvandolo come schema di decreto. E nel registro delle presenze della segreteria del consiglio dei ministri risulta la partecipazione ai lavori anche del ministro Boschi.

 

C' era, ma essendo segretato quel verbale, senza la divulgazione da parte del presidente del Consiglio Renzi non è possibile conoscere il comportamento tenuto dalla Boschi durante la discussione e l' approvazione dello schema di decreto. Di certo è stata poi lei a trasmetterlo con lettera di accompagnamento a sua firma ai presidenti delle Camere. Ma qui non c' è alcun tipo di conflitto di interesse: è il suo lavoro, e la lettera è una prassi per ogni provvedimento che esce dal consiglio dei ministri, indipendentemente dal suo contenuto.

 

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Il decreto legislativo con la salva papà Boschi è poi passato alle Camere per i pareri necessari resi dalle commissioni di merito, che lo hanno poi licenziato il 4 novembre con un parere non vincolante in cui si proponevano al governo alcune valutazioni "possibili", senza però chiedere modifiche al testo, tanto meno a quell' articolo 35 che nessuno aveva notato, nemmeno i rapporti degli uffici studi parlamentari. Il 6 novembre il decreto è tornato in consiglio dei ministri per l'approvazione finale a dire il vero in identico testo.

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Quella sera con un piccolo giallo il provvedimento risultava esaminato, ma non licenziato. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, lo disse alla stampa dopo con qualche imbarazzo, non fornendo grandi spiegazioni.

 

Ne nacque un piccolo giallo, ma molti se lo spiegarono con le caratteristiche di quella serata: i lavori del consiglio dei ministri erano stati turbati dagli strascichi di un duello a distanza, piuttosto puntuto, fra Renzi e il senatore Pd Corradino Mineo, che aveva alluso la subalternità del premier a «una donna bella e decisa».

 

In ogni caso dal registro delle presenze a quel consiglio dei ministri non risulta la partecipazione ai lavori della Boschi. Così come non risulta nemmeno alla riunione dei sette giorni dopo quando il decreto legislativo con la norma salva papà Boschi è stato definitivamente licenziato per andare alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale il giorno 16 novembre.

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Come spiegato ieri da Libero quello scudo che impedisce l'azione dei creditori sociali nei confronti degli ex amministratori delle banche sottoposte a risoluzione non era previsto in alcun passaggio dalla direttiva europea a cui si faceva riferimento. Anzi, la direttiva raccomandava agli stati membri l'esatto opposto: di non fare venire meno i diritti di rivalsa sanciti dai rispettivi ordinamenti civili e penali. È stata una invenzione del governo italiano. I parlamentari che non erano così preparati sulla materia, non se ne sono accorti.

 

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Ma quella differenza con una certa sorpresa è stata notata in Bankitalia e in Abi durante gli incontri tecnici per la valutazione del testo legislativo. E il governo ha provato a difendersi arrampicandosi sui muri: «Abbiamo messo quello scudo, rifacendoci all' articolo 37, comma 9 della direttiva europea».

 

Una scusa bella e propria, perchè lì veniva solo «non precluso» agli stati membri «la facoltà di conferire alle autorità di risoluzione ulteriori strumenti e poteri esercitabili quando un ente o un' entità soddisfa le condizioni per la risoluzione, purché a) ove applicati a un gruppo transfrontaliero, tali poteri non siano di impedimento all' efficace risoluzione di gruppo; e b)siano coerenti con gli obiettivi della risoluzione e con i principi generali che la disciplinano».

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Ulteriori strumenti e poteri conferiti alle autorità di risoluzione, non l' immunità di fronte ai creditori sociali per papà Boschi. C' è una bella differenza. I parlamentari, ignari di questo problemino, si sono accapigliati su altri punti del decreto legislativo, preoccupati perfino di difendere i diritti «dei piccoli enti locali» che erano azionisti delle banche che poi avrebbero affrontato la procedura di risoluzione.

 

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