UNA “CALDEROLATA” PER PITTIBIMBO - IL “SERIAL KILLER” CALDEROLI DEMOLISCE LA RIFORMA DEL SENATO DI CUI È RELATORE: “VA MODIFICATA. È UNA BARZELLETTA” - E IL FRONTE DEGLI ANTI-RENZI PREPARA LO SGAMBETTO IN AULA (OCCHIO AL VOTO SEGRETO SUGLI EMENDAMENTI)
Mattia Feltri per “La Stampa”
La minaccia aveva qualcosa di vago e qualcosa di stravisto: i numeri, che cambiano di volta in volta ma dicono sempre la stessa cosa, stavolta segnalavano centoventiquattro iscritti a parlare - fra loro tutti e quaranta i componenti del gruppo grillino - con una ventina di minuti a testa. Risultato: 2 mila 480 minuti per un totale di quarantuno ore e mezzo di dibattito. Come si farà mercoledì a cominciare a votare? Ed è un atteggiamento catalogabile alla voce ostruzionismo? Ma soprattutto, non sarà che ognuno - renziani, oppositori interni, Cinque stelle - tirerà dritto piantando delle bandierine qua e là senza l’ambizione di trovare una sintesi?
Insomma, si stava per cominciare la millesima maratona parlamentare, quando sul pessimismo planetario è calato il solito Roberto Calderoli, busto a proteggere le due vertebre rotte, dita steccate in una specie di gesso da cartone animato dopo la caduta della scorsa settimana. C’è da premettere che Calderoli è, insieme con Anna Finocchiaro, con cui costituisce una coppia imprevedibilmente affiatata, il relatore di maggioranza della riforma; e cioè sarebbe quello incaricato di spiegare ai senatori quanto è bella e quanto è giusta la modifica costituzionale voluta dal governo e aggiustata in commissione. Serviva dell’ottimismo, come ha spiegato all’aula lo stesso Calderoli:
«Di questa nomina ringrazio, per la fiducia e per il coraggio, la presidente (della commissione Affari costituzionali, ndr) Finocchiaro e chi con lei questa scelta ha condiviso. Di coraggio ce ne è voluto veramente tanto a nominare me come relatore di maggioranza. Era infatti come dare una pistola carica in mano a un serial killer, e sperare che non facesse una strage».
La benaugurante metafora non era poi così abnorme, e vi basti un passaggio dell’intervento: «Il testo del governo prevedeva 21 senatori su cento di nomina del presidente della Repubblica. Non è una riforma, è una barzelletta. Mi piacerebbe sapere chi ha scritto questa sciocchezza». Era lì ad ascoltare Maria Elena Boschi, vestita di nero in severità senatoriale, e molto indiziata della titolarità della proposta. Calderoli stava elencando tutti gli aggiustamenti che gli è toccato di fare in commissione, e poi ha detto che altrettanti ne andrebbero fatti in aula.
Sembrava un intervento di opposizione, «ma io ho ripetuto quello che ho sempre detto in commissione», ha spiegato poi Calderoli. Le tre correzioni fondamentali sono: 1) Una norma transitoria - ossia provvisoria - per l’elezione dei componenti del nuovo Senato, perché attualmente sono eleggibili solo consiglieri regionali e sindaci, e quindi incostituzionale perché non tutti possono concorrere alla carica; quando i consigli regionali saranno interamente rinnovati la norma sarà riproponibile.
maria elena boschi alla festa dell unita
2) Riduzione dei deputati a cinquecento, perché seicentoquindici, contro cento senatori, sono troppi.
3) Abbassamento della soglia di ottocentomila firme per la presentazione di referendum.
Al di là delle tre questioni, si è capito che la strategia di Calderoli era più cicciosa della geremiade a cui si è comunque assistito. Lungo una giornata faticosa, si è infatti assistito all’eterno richiamo alla P2 di Licio Gelli (la Cinque stelle Rosetta Enza Blundo), ai paralleli fra Matteo Renzi e Benito Mussolini (il leghista Raffaele Volpi), al ripescaggio di un discorso di dieci anni fa di Luigi Zanda contro le riforme del centrodestra, e perfettamente riproponibile oggi (ancora i Cinque stelle con Vito Crimi), per non dire del «concetto di aporia in senso socratico» suggerito da Felice Casson, uno della minoranza interna del Partito democratico.
Il fronte anti Renzi, insomma, pareva discretamente sfilacciato, e pure rassegnato, con un Corradino Mineo persuaso che «dal punto di vista dei numeri i giochi sembrano fatti». Ma dopo l’esordio di Calderoli i leghisti si sono tutti ringalluzziti e andavano in giro dicendo che «qui c’è aria di una calderolata». Breve indagine, e la calderolata consisterebbe nell’infilare qualche voto segreto su qualche emendamento cruciale. E lì i leghisti sono persuasi di portarsi dietro parecchia gente, e non soltanto fra gli oppositori palesi, ma anche fra i lealisti del Pd, gente che non vede l’ora di combinare uno scherzo al presidente del Consiglio.