CALTAGIRONE JR: “CI INTERESSA ANCHE LA GESTIONE DEI RIFIUTI, MA NON IN ITALIA: NORME TROPPO CONFUSE, INFILTRAZIONI DELLA MALAVITA: SOLO UN PAESE DI PAZZI POTREBBE TRASFERIRE L'IMMONDIZIA IN NORD EUROPA”
Paolo Possamai per "Affari & Finanza - la Repubblica"
Cemento ancora e sempre, ma bianco. L'intuizione di puntare sul bianco, con l'acquisizione nel 2004 della danese Aalborg, ha permesso a Cementir di scavallare la grande crisi delle costruzioni e di tornare a crescere. Puntando ancora sul bianco anche nel business plan 2014-2016, che prevede di aumentare i ricavi del 5% medio l'anno (fino a 1,15 miliardi), il margine operativo lordo del 16% ogni anno (fino a circa 240 milioni), fermi rimanendo investimenti attorno ai 70-75 milioni.
«Prevediamo anche di portare a zero la posizione finanziaria netta e di accrescere sensibilmente la redditività » rimarca il presidente, Francesco Caltagirone jr, 45 anni e da 18 ai vertici della società controllata dalla famiglia al 70%, che aggiunge: «Vogliamo liberare risorse per sostenere nuove acquisizioni, convinti come siamo che le opportunità non mancheranno. Ne abbiamo viste 2-3 anche negli ultimi 2 anni, ma avevano una struttura del debito non conveniente».
Avete individuato aree geografiche target in cui orientare la crescita e delle aziende in fase di selezione?
«In chiave di acquisizioni, e parlo di comprare aziende con stabilimenti che ci consentano di sviluppare mercati locali, pensiamo al Nord America, Africa ed Asia . Del resto, ricordo che la nostra storia è fatta di acquisizioni: dal 2001 a oggi, rilevando aziende in Danimarca e Turchia in primis, abbiamo quintuplicato il nostro giro d'affari e l'Italia pesa oggi il 13% del totale ricavi. Di tre aziende distinte, stiamo completando oggi il processo che ne costruisce una, con i relativi recuperi di efficienza e profittabilità . Da questa azione di centralizzazione gestionale sull'Italia derivano risparmi per 35 milioni sui costi e dovremmo vederne i benefici già con il bilancio 2014».
L'Italia è anche l'unico paese in cui Cementir è in perdita operativa.
«Nel piano figura anche l'obiettivo di tornare in utile pure in casa, dove ricordo peraltro che i consumi di cemento sono scesi dai 47 milioni di tonnellate del 2007 ai 21 milioni dello scorso anno».
Quali sono le linee guida del business plan triennale, al netto di acquisizioni?
«Il cemento bianco pesa per il 20% fatturato, noi puntiamo a allargare questo contributo. Immaginiamo, invece, di mantenere invariata la componente derivante dalla vendita di cemento grigio e di calcestruzzo. Il mustè rafforzare la nostra leadership mondiale sul cemento bianco, dove pesiamo già per il 15% del mercato, perché questa nicchia ci protegge in termini di vendite e di margini, con livelli di export elevatissimi. I nostri stabilimenti sorgono sul mare anche per favorire le esportazioni: Aalborg per esempio vende all'estero il 95% della produzione.
Per questo attendiamo che sia completato nella seconda metà di quest'anno il raddoppio dello stabilimento in Malesia, che ci assicurerà il 50% del mercato in Australia, e per questo nell'arco di 12 mesi valuteremo la possibilità di costruire nuovi impianti produttivi nel Far East. A parte il bianco, miriamo poi a sviluppare il segmento waste management ».
Ma che c'entra la produzione di cemento con la gestione dei rifiuti?
«In Danimarca il 40% del nostro combustibile deriva da rifiuti, che usiamo al posto del carbone, con benefici ambientali accertati. Aggiungo che a Aalborg il forno della cementeria assicura il riscaldamento domestico a 7-8mila famiglie. I rifiuti per il forno danese li trasportiamo dall'Inghilterra, dove tra Manchester e Liverpool abbiamo una concessione per raccolta e smaltimento rifiuti commerciali ed industriali. Abbiamo una concessione relativa pure al 18% dei rifiuti urbani di Istanbul(circa 700.000 tonnellate).
E da questo segmento di business stimiamo possa arrivare al 2016 un apporto di oltre 10 milioni all'Ebitda di gruppo. E ci sono almeno altri due paesi europei dove stiamo considerando di occuparci di waste management. Tra questi non c'è l'Italia di sicuro, perché le norme sono troppo confuse e contraddittorie e spesso il settore è infiltrato dalla malavita: solo un paese di pazzi potrebbe organizzare il trasferimento dell'immondizia in nord Europa ».
Escludete qualsiasi investimento a carattere straordinario sull'Italia? Cosa si aspetta nel nostro paese nel settore cementiero?
«In Italia abbiamo una enorme sovracapacità produttiva, oltre il doppio del mercato. Tant'è che noi abbiamo spento i forni di Taranto e Arquata Scrivia. Penso avverrà una forte concentrazione, ossia fallimenti e/o acquisizioni. Ma a noi non interessa aumentare il peso sul-l'Italia, anzi puntiamo tutto sull'estero ».
Ma in astratto - dato il peso dell'Italia sul vostro business complessivo e dati gli aggravi fiscali, creditizi, burocratici e di costo dell'energia - avrebbe ancora senso mantenere la sede operativa e legale del gruppo a Roma?
«Non abbiamo motivo per andare via dall'Italia e però nemmeno alcun vantaggio. Molto dipende dal fatto che ci finanziamo quasi interamente all'estero con istituti stranieri. Per crescere in Cina e Scandinavia, per esempio, abbiamo avuto credito facilmente a condizioni "tedesche", perché il business è credibile, abbiamo pochi debiti e un gruppo solido alle spalle. L'idea di base del gruppo Cementir, e anche del Gruppo Caltagirone, è semplice: restare in Italia, ma non dipendere dall'Italia in nulla. Massima spinta sulla internazionalizzazione. Mi pare che la strategia sia stata capita pure in Borsa, dato che il nostro titolo è cresciuto del 140% nell'ultimo anno».
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