CATRICALÀ CE LA FA? – LA LETTERA DI MONTIMER A “REPUBBLICA” È UN PIZZINO INVIATO INNANZITUTTO AL SOTTOSEGRETARIO BERLUSCONES DI PALAZZO CHIGI - DOPO L’ABIURA PUBBLICA RICHIESTA A CATRICALÀ SUL CSM, PER LA SECONDA VOLTA RIGOR MONTI PRENDE LE DISTANZE DAL SUO LETTA-LETTA TRAMITE IL QUOTIDIANO DI EZIOLO MAURO - IL PREMIER TRABALLANTE HA CAPITO CHE LA VIA PER IL QUIRINALE PASSA DA LARGO FOCHETTI (E DALLA MAGGIORANZA DI CENTROSINISTRA DEL PROSSIMO PARLAMENTO)? LO SAPREMO SABATO A BOLOGNA NELL’INTERVISTA CON DIRETTORE E FONDATORE DI “REPUBBLICA”…

Giorgio Meletti per "Il Fatto Quotidiano"

Per il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Antonio Catricalà, la lettera del premier Mario Monti pubblicata ieri su La Repubblica equivale, se non proprio a un preavviso, sicuramente a una minaccia di licenziamento. L'esuberante giurista calabrese gliene ha fatte
di tutti i colori. Dopo aver promesso uno stile improntato a "riservatezza e sobrietà", nel solco del suo maestro, mentore e protettore Gianni Letta, ha infilato una serie di errori che per Monti nascono dall'esigenza di accontentare i suoi potentati di riferimento.

L'infilata
Il primo già a gennaio, quando infilò nel decreto sulle liberalizzazioni una parziale ma venefica riforma dell'articolo 18, all'insaputa della stessa Elsa Fornero, provocando il primo scontro pubblico tra membri del governo. A fine maggio Catricalà ha infilato quello che in gergo pugilistico si definirebbe un micidiale uno-due.

Prima ha trascinato Monti in una memorabile figuraccia dando lo strenuo appoggio di palazzo Chigi all'idea del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro (amico di Catricalà ma anche del piduista Luigi Bisignani) di fare la nuova discarica della Capitale a pochi metri da Villa Adriana, patrimonio dell'umanità tutelato dall'Unesco.

Subito dopo ha fatto circolare una bozza di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che, tra i numerosi ma opinabili difetti, aveva quello insueprabile di essere semplicemente incompatibile con la Costituzione repubblicana. Nel primo caso Monti si è trovato a passare in due giorni dalla conferma della "piena fiducia" a Pecoraro (23 maggio) alla decisione obbligata di bloccare la discarica di Corcolle e a far fuori il prefetto.

Il premier non ha gradito di essere stato portato da Catricalà in un vicolo cieco - in fondo al quale c'era il muro delle dimissioni del ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi e di quello dell'Ambiente Corrado Clini.

Ma soprattutto Monti ha trovato incompatibile con il suo alto concetto di sè l'umiliazione della telefonata di Giulia Maria Crespi, presidente del Fai (Fondo ambiente italiano), che gli chiedeva conto della figuraccia planetaria che stava facendo non solo come capo del governo ma anche come consigliere del Fai.

Nel secondo caso, quello della riforma del Csm, arrivato dopo soli tre giorni dall'infortunio ambientale, Catricalà, una volta colto in fallo, si è giustificato parlando di una specie di errore del copia-incolla, per colpa del quale avrebbe mandato in giro una bozza fulminata da Monti con un sibilante "iniziativa inopportuna".

Il presidente del Consiglio ha chiaramente approfittato dell'editoriale domenicale di Eugenio Scalfari per togliersi un bel po' di sassoloni dalla scarpa. Il fondatore di Repubblica ha avvisato il professore di Varese, definendo Catricalà "creatura di Gianni Letta" e notando che "rema sistematicamente contro la sua politica".

Monti, che ormai conosciamo come maestro insuperabile nella cattiveria silenziosa, ha scritto a La Repubblica una difesa del suo braccio destro maliziosamente bofonchiante. Prima fa presente che non dorme in piedi, e che quando ha nominato Catricalà e gli altri due super-burocrati messi sulla graticola, Mario Canzio e Vincenzo Fortunato, "non ero certo all'oscuro dei loro rispettivi percorsi di carriera, nè di chi avesse avuto un ruolo decisivo nel valorizzarli in passato".

Poi arriva la minaccia di licenziamento: "Nel caso riscontrassi in loro anche un solo caso di mancata correttezza o lealtà, non esiterei a privarmi della loro collaborazione". 
Per Catricalà è un colpo durissimo. Poche righe lo hanno trasformato da longa manus di Gianni Letta nel governo tecnico a sorvegliato speciale, praticamente sfiduciato. Non è la prima volta che la sponsorizzazione di Letta costa a Catricalà una battuta d'arresto.

Nel 2010 il sostegno di palazzo Chigi non gli bastò per diventare presidente della Consob, dove ha dovuto cedere il passo a Giuseppe Vegas, candidato del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Pochi mesi dopo ha fallito anche la scalata all'Autorità per l'Energia. Arrivato al governo al posto di Letta, tenuto fuori della porta dal veto del Pd di Pier Luigi Bersani, Catricalà ha tentato inutilmente di ottenere l'ambita delega ai servizi segreti, che invece Monti ha preferito dare all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro.

Il premier ha deciso che la necessità di dialogare con tutti "gli ambienti di riferimento" del suo governo ha un limite nella presentabilità degli interessi in gioco. Insomma, Catricalà ha esagerato, e Monti ha estratto un cartellino pressoché rosso.

 

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