UNO, NESSUNO E CENTOCAV – COL METODO DEL CAOS ZELIG BERLUSCA RIESCE A STARE ALL’OPPOSIZIONE CON FITTO E AL GOVERNO CON ALFANO

Salvatore Merlo per "Il Foglio"
Quello che dice oggi non conterà mai come quel che dirà domani, ma la acrobazia di domani è nulla in confronto alla capriola che verrà il giorno dopo. E dunque il Cavaliere s'infila caparbio nel vicolo cieco della sfiducia al governo di Enrico Letta ma poi - oplà - vota la fiducia come niente fosse; chiede la grazia ma non la chiede; sostiene il governo di Mario Monti, ne condivide il programma fino all'ultimo rigo, spinge la Pitonessa Santanchè allo slancio emotivo di adottare Elsa Fornero ("Elsa è mia sorella"), ma poi molla Monti, Fornero e tutto il cucuzzaro tecnocratico, in scioltezza: "Al voto! Al voto!, governo delle élite? Puah! Un colpo di stato! Fornero? Da buttare".

Ora che il Sultano di Arcore sembra incastrato nell'inevitabile divorzio dal giovane Alfano, mentre i giornaloni inseguono i suoi voli imprevedibili e da tre mesi raccontano ubriacati una crisi che tuttavia mai esplode (ma è sempre sul punto di), lui, lo stesso che ha organizzato il Consiglio nazionale di sabato prossimo, lui che ha preteso questo teatro della crudeltà e della resa dei conti, ora confessa di lavorare "per impedire la maledetta scissione". Berlusconi è un garbuglio di spudoratezze e pudori, depistaggi e confessioni distorte: un uomo babele, dove cento lingue fanno chiasso insieme, e l'una viene dagli umori che sono irrefrenabili, l'altra dall'intelletto cupido e ardente, l'altra dalla vanità, l'altra dall'orgoglio, l'altra dalla paura...
Dunque il Consiglio nazionale potrebbe slittare, forse non tenersi affatto, o concludersi, chissà, con un bacio sulla guancia di Angelino, un abbraccio invece d'uno schiaffo e un calcio nel sedere. E tra i due, tra il padrino e il suo gregario, tra il Cavaliere e il Delfino bianco, è ormai una partita a tennis, ma di quelle giocate da fondo campo, di quelle che vanno in notturna, che non finiscono mai, quelle che sfiancano il pubblico, quelle che poi ai giocatori gli si consegnano anche le chiavi del campo e si va tutti via, perché Alfano ha imparato da Berlusconi. "C'è il gioco del Dottore", dice Sandro Bondi, "è c'è quello del Dottorino", stesso stordimento, un passo avanti e due indietro, un colpo a entrare e due a uscire, strano e asfissiante solfeggio. E' il metodo Berlusconi.

Il suo naturale è di apparire, sparire, tessere inganni, disegnare spirali, confondersi e confondere, per poi decidere in un intreccio di esuberante commedia."Vive in un caos disumano" dice Bondi, "è sfibrante" dice Cicchitto, "ci tramortisce" confessa Santanchè, perché solo Berlusconi è capace di sopravvivere a se stesso, alle sue adulterazioni fantasiose, alle mille fate morgane che crea per irretire e alle quali finisce lui stesso con il credere, irretito, eppure sempre padrone. Con il metodo del caos è riuscito a rinviare il voto sulla sua decadenza, condannato ad agosto dalla Corte di cassazione è ancora senatore, e forse scavallerà persino il 2013: domina l'opposizione con Fitto, ma è anche al governo con Alfano, l'Italia politica è per lui come un uovo (o si rompe da dentro o si rompe da fuori).

E solo a lui è concesso di mentire e smentirsi senza mai soffrirne, accettare Monti e abbattere Monti, creare Letta e combattere Letta, nominare i ministri e disconoscerli ("Quagliariello? Mica l'ho messo io lì"), ritirarsi dalla vita politica e ritirare il ritiro. E' lui l'unica opzione di se stesso, è lui l'offerta politica, è lui l'ideologia, è lui il partito, dunque può fare tutto e tutto gli viene perdonato, un despota inconoscibile, non esige che lo si nomini o preghi, è l'imprendibile, indiscusso creatore. E il suo è il bronzo tecnologicamente più evoluto d'Italia, tramortisce persino i cronisti che inseguono la sue pazze volute, scrivono che "Berlusconi stavolta fa sul serio e romperà con Alfano" - regola numero uno al Foglio: vietato scrivere compunti che Berlusconi fa sul serio - e incauti si spingono fin dentro il labirinto della sua accesa fantasia, ma lì inevitabilmente si perdono, ogni tentativo di definire o comprendere, per loro, si risolve in una somma di negazioni.

Dunque svengono, disfatti dalla contraddittorietà che si fa scienza del potere, mentre lui, mago e circense, con eleganza di giocoliere resta sempre in piedi, ribaldo. Ed è un metodo, il pazzotico metodo Berlusconi, il caos in terra, il sadico strumento del suo dominio, il mezzo con il quale sempre ha governato i suoi parlamentari impiegati, imbrigliato i suoi furbi alleati, si chiamassero questi Fini o Bossi, domato persino i suoi ministri rampanti e ambiziosissimi.

Giulio Tremonti ne porta ancora i segni. "Giulio non si tocca", "è il mio genio dell'economia", "date retta a Giulio", diceva Berlusconi, persino a Stefania Prestigiacomo che in lacrime si lamentava d'essere tiranneggiata e mobbizzata. Ma poi, d'un tratto, "caro Giulio, adesso dovresti dimetterti". Ed è come se il Cavaliere sentisse il bisogno attorno a sé d'un tempo sforzato, di vivere sopra il rigo, una vita cantabile - più opera buffa che seria - ma da tenore, comunque.

 

 

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