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DA OASI DELLE STAR A CITTA’-RIFUGIO PER IMMIGRATI SENZA PERMESSO: MALIBU E’ DIVENTATA UNA DI QUELLE “SANCTUARY CITY” CHE FANNO IMBUFALIRE TRUMP PERCHE’ SI RIFIUTANO DI OBBEDIRE ALLE AUTORITA' FEDERALI

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Matteo Persivale per il Corriere della Sera

 

 

Dodicimila abitanti ricchi e (spesso) famosi nelle ville sparse lungo 34 km di spiaggia e sulle dolci colline che guardano l' Oceano Pacifico, la sabbia di Paradise Cove dove i Beach Boys correvano sulla copertina del loro primo disco «Surfin' Safari», le onde dei surfisti di Zuma Beach con i baracchini su palafitte dove si appollaiavano le bagnine di Baywatch (negli anni 90 lo show tv più visto al mondo). Malibu città dei sogni a tre quarti d' ora di macchina dai grattacieli di Los Angeles - se miracolosamente non c' è traffico -.

 

Malibu dove vivono le grandi star (Robert Redford, Barbra Streisand, Angelina Jolie, Pierce Brosnan) e gli insospettabili (Bob Dylan) ma anche i grandi caduti (Mel Gibson, Courtney Love) e i personaggi allegramente trash (Britney Spears, Paris Hilton).

 

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Reddito pro capite altissimo e, dall' altro giorno, un titolo ufficiale: città rifugio per immigrati senza permesso, una di quelle «sanctuary city» che fanno imbufalire Donald Trump perché si rifiutano di obbedire alle autorità federali e di coadiuvarle nella ricerca degli «illegals». Il consiglio comunale ha votato - l' ala progressista ha portato a casa un tirato 3 a 2 - e ora la polizia locale non fermerà gli ispanici che vanno al lavoro, quelli che si alzano alle quattro del mattino a South L.A. per prendere 4 bus e arrivare nelle ville dei ricchi che senza di loro avrebbero i prati bruciati dal sole e le piscine con le alghe.

 

Sarebbe brutto e ingeneroso ironizzare sulla cittadina dei ricchi - con il Country Mart dove vanno a fare shopping Gwyneth Paltrow e le ragazze alla moda in trasferta dalla Valley, al di là delle colline - che decide di non perseguitare i lavoratori che la tengono così pulita e funzionale, che fanno funzionare le cucine dei ristoranti chic e le stazioni di servizio in un' area metropolitana di 18 milioni abitanti su 87 mila km quadrati che non può vivere senz' auto.

 

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Sarebbe ingeneroso e brutto perché il passaggio dell' iniziativa non era scontato e fa comunque riflettere. Merito di uno che all' impegno non si è mai sottratto, Martin Sheen, giovane capitano di «Apocalypse Now» e poi presidente saggio nel telefilm «The West Wing». Sheen, che di Malibu fu anche sindaco onorario anni fa (silurato per le frequenti iniziative a favore dei senzatetto), poche settimane dopo l' elezione di Trump è comparso davanti al consiglio cittadino per chiedere una risposta all' alta marea anti-immigrazione in arrivo da Washington.

 

Ha convinto tre consiglieri, abbastanza per regalare una piccola vittoria ai democratici in tempi a loro poco propizi. Il Los Angeles Times è andato a parlare con tanti lavoratori - quasi tutti messicani - senza documenti che vanno a Malibu. Già gravati dal timore di essere rimpatriati, almeno sanno che là nessuno chiederà loro i documenti, nessuno li denuncerà all' Immigrazione.

 

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Trump ha minacciato le città rifugio: «Vi taglieremo i fondi federali». Malibu riceve 50 mila dollari all' anno, non sarebbe una tragedia per la piccola utopia californiana allergica al populismo.

 

 

D' altronde i Beach Boys, 4 anni dopo la copertina di Paradise Cove, dentro un altro disco capolavoro, «Pet Sounds», ci domandavano - e ci domandano ancora -: «Non sarebbe bello vivere insieme, in un mondo dove ci sentiamo al nostro posto?».

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