DAGOREPORT – LA GAZALAND TRUMPIANA NON SI FARÀ: I PAESI ARABI NON ACCETTERANNO MAI LA DEPORTAZIONE DI 2 MILIONI DI “FRATELLI” PALESTINESI (NON PER SOLIDARIETÀ, MA PERCHÉ NON LI VOGLIONO FRA LE PALLE) – ALLORA A CHE È SERVITA LA SPARATA DI DONALD, OLTRE A SCATENARE L’INDIGNAZIONE DI MEZZO MONDO, COMPRESI IRAN E CINA? È LA SOLITA STRATEGIA: VENDERE AL MONDO LA “VISIONE” DI UN PRESIDENTE CON LE PALLE, CHE MINACCIA, STREPITA E MOSTRA I MUSCOLI. CHE POI ALLE PAROLE NON SEGUANO I FATTI, POCO IMPORTA: LA PRIMA NOTIZIA CHE ESCE È QUELLA CHE CONTA…
DAGOREPORT
DONALD TRUMP TRA LE MACERIE DI GAZA - IMMAGINE CREATA DALL INTELLIGENZA ARTIFICIALE
La Gazaland trumpiana non si farà mai. Il progetto di trasformare la Striscia in “riviera del Medio Oriente” non sta né in cielo né in terra, al massimo in un plastico. È chiaro a tutti, come scriveva due giorni fa l’informatissimo Jeremy Bowen sul sito della BBC, che “non si realizzerà”. Il motivo è di una logica disarmante, e sono bastate poche ore per renderlo chiaro a tutti: “Richiede la cooperazione degli Stati arabi che lo hanno rifiutato”.
Giordania ed Egitto, che a parole si dicono “fratelli” dei palestinesi, non vogliono nemmeno uno dei due milioni di abitanti della Striscia (temono che portino nei loro paesi il terrorismo di Hamas, instabilità e rotture di coglioni), ma non potranno mai accettare di mettere la firma su un piano di deportazione che viola il diritto internazionale ed è, citando Fantozzi, una “cagata pazzesca”.
Anche le parziali retromarce del giorno dopo sono solo specchietti per gli allocconi: dire, come ha fatto il Segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che i trasferimenti dei palestinesi saranno “temporanei”, significa voler prendere per il naso il mondo.
Soltanto per mettere in piedi la macchina costruttiva, terminare i lavori e trasformare Gaza in una Singapore mediterranea serviranno (oltre a una ventina di miliardi abbondanti) 10-15 anni. E tra tre lustri, chi andrà a riprendere i profughi fatti evacuare a forza, con Israele a puntellare, e magari allargare, i propri confini?
palestinesi sfollati tornano al nord della striscia di gaza 15
Il progetto di Trump ha quindi per ora avuto due risultati. Da un lato ha rafforzato l’estrema destra israeliana. Dall’altro ha rinfocolato la propaganda dei nemici dell’Occidente.
L’Iran ha potuto a ragione prendere posizione e dire che si tratta di un “attacco senza precedenti ai principi fondamentali del diritto internazionale e alla Carta delle Nazioni unite”, e soprattutto alla Cina, che pure ha preso posizione contro l’asse Trump-Netanyahu: “Gaza è dei palestinesi, non una merce di scambio politica, né tanto meno oggetto di qualcosa che si può decidere in base alla legge della giungla".
DONALD TRUMP TRA LE MACERIE DI GAZA - IMMAGINE CREATA DALL INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Ai mandarini di Pechino non pare vero di avere un presidente come Trump. Come si legge in un’approfondita analisi di “Politico Magazine”, infatti, le sparate del tycoon stanno rendendo inaffidabile Washington agli occhi del mondo, con il risultato di far sembrare il regime comunista di Xi Jinping un interlocutore serio, pacifico e tranquillo.
E l’idea che gli Stati Uniti “prendano possesso di Gaza, con una posizione di proprietà”, come ha detto Trump, sarebbe l’ennesima dimostrazione che apre la bocca più che altro per darle fiato. Ma “The Donald” è più astuto di quel che sembra: nella sua mente da immobiliarista, infatti, sa bene (Berlusconi c’era arrivato 30 anni fa) che è più importante alimentare i sogni, che realizzare fatti.
In queste tre settimane scarse di presidenza, il marito di Melania ha firmato centinaia di ordini esecutivi, ha smantellato la propaganda woke, minacciato di annettere la Groenlandia, strepitato contro Canada e Messico (imponendo dazi e subito rinculando trovando un accordo con entrambi). Fatti concreti, zero. Parole, tantissime: il solo giorno dell’insediamento, ne ha pronunciate 22mila, mandando nel panico gli stenografi abituati alla lentezza di “Sleepy Joe” Biden.
mark zuckerberg - lauren sanchez - jeff bezos - sundar pichai elon musk al giuramento di trump
Trump sa anche di poter contare sulla grancaassa dei social network: “X”, di proprietà di Elon Musk, è diventato un veicolo incontrollabile di fake news e disinformazione, e poi c’è Facebook, del neo-trumpiano Mark Zuckerberg.
Strumenti utilissimi ad amplificare le proprie posizioni e battaglie, come si è visto nel caso UsAid, con gli account filo-trump che hanno rilanciato anche la propaganda del Cremlino (parlando di presunti milioni ad Angelina Jolie per diffondere notizie pro-Ucraina). Vera o falsa, la prima notizia è quella che rimane. È una legge dell’informazione che vale per tutto il mondo e che Trump ha certamente interiorizzato, insieme a un altro dogma: chi mena per primo mena due volte.
il ritorno a nord degli abitanti della striscia di gaza foto lapresse 4
Insomma, mostrare i muscoli, e ricorrere all’ormai celebre strategia dello “shock and awe” (colpisci e terrorizza), serve a Trump per mostrare ai suoi elettori di avere una visione. Ma per quanto funzionerà? Quanto può essere sostenibile questo livello di scontro con tutti gli apparati statali e internazionali? Quel che è certo è che il Grand Old Party, ciò che resta del “vecchio” partito repubblicano, pur rimanendo in sonno è fortemente indispettito dall’atteggiamento trumpiano. Al Congresso, lo si vede negli scazzi tra il senatore Lindsay Graham e lo speaker della Camera, Mike Johnson.
Graham, non certo un ingenua verginella ma un veterano della politica americana dura e pura, ha stigmatizzato il progetto di Trump per Gaza: “Non penso che gli abitanti della Sud Carolina sarebbero eccitati nel mandare soldati americani a prendersi la Striscia. Penso che sarebbe problematico”. Piccole crepe che si aggiungono agli scontri tra i trumpiani della prima ora e chi è salito sul carro del vincitore soltanto adesso (vedi alla voce Bannon contro Musk).
Le tensioni, al momento, rimangono sotto traccia: i partiti americani non sono organizzazioni politiche con una struttura radicata, ma di fatto soltanto comitati elettorali. E quello repubblicano si è via via completamente trumpizzato: la protesta rimane in sonno, ma esiste.
JEREMY BOWEN: IL PIANO DI TRUMP PER GAZA NON SI REALIZZERÀ, MA AVRÀ DELLE CONSEGUENZE
Traduzione di un estratto dell’articolo di Jeremy Bowen per www.bbc.com
Il piano di Donald Trump che prevede che gli Stati Uniti “prendano possesso” di Gaza, con una “posizione di proprietà” costringendo la popolazione ad andarsene, non si realizzerà. Richiede la cooperazione degli Stati arabi che lo hanno rifiutato.
DONALD TRUMP BENJAMIN NETANYAHU
Tra questi vi sono la Giordania e l'Egitto - Paesi che Trump vuole accolgano i palestinesi di Gaza - e l'Arabia Saudita, che potrebbe essere chiamata a pagare il conto. Anche gli alleati occidentali degli Stati Uniti e di Israele sono contrari all'idea. Alcuni - forse molti - palestinesi di Gaza potrebbero essere tentati di andarsene se ne avessero la possibilità. Ma anche se un milione se ne andasse, altri 1,2 milioni sarebbero ancora lì.
Presumibilmente gli Stati Uniti - i nuovi proprietari della “Riviera del Medio Oriente” di Trump - dovrebbero usare la forza per rimuoverli. Dopo il catastrofico intervento americano in Iraq nel 2003, questo sarebbe profondamente impopolare negli Stati Uniti.
Sarebbe la fine definitiva di ogni residua speranza che una soluzione a due Stati sia possibile. Ovvero l'aspirazione di porre fine a un conflitto vecchio di oltre un secolo con la creazione di una Palestina indipendente accanto a Israele.
Il governo Netanyahu è fermamente contrario all'idea e, dopo anni di colloqui di pace falliti, “due Stati per due popoli” è diventato uno slogan vuoto. Ma è stato un asse portante della politica estera degli Stati Uniti fin dai primi anni Novanta.
Il piano Trump violerebbe anche il diritto internazionale. Le affermazioni dell'America, già poco credibili, di credere in un ordine internazionale basato su regole, si dissolverebbero. Le ambizioni territoriali della Russia in Ucraina e della Cina a Taiwan subirebbero un'accelerazione.
Cosa significherà per la regione?
Perché preoccuparsi di tutto questo se non sta per accadere - almeno non nel modo in cui Trump ha annunciato a Washington, osservato da un Benjamin Netanyahu sorridente e chiaramente soddisfatto?
La risposta è che le osservazioni di Trump, per quanto stravaganti, avranno delle conseguenze. È il Presidente degli Stati Uniti, l'uomo più potente del mondo, non più un conduttore di reality e una speranza politica che cerca di conquistare i titoli dei giornali.
A breve termine, lo sconvolgimento causato da questo annuncio sorprendente potrebbe indebolire il fragile cessate il fuoco a Gaza. Una fonte araba di alto livello mi ha detto che potrebbe essere la sua “campana a morto”.
L'assenza di un piano per la futura governance di Gaza è già una linea di faglia nell'accordo. Ora Trump ne ha fornito uno e, anche se non si concretizzerà, questo fa pressione sulle menti di palestinesi e israeliani.
[…]
benjamin netanyahu donald trump foto lapresse. 2
Quale potrebbe essere la motivazione di Trump?
Il fatto che Trump dica qualcosa non lo rende vero o certo. Le sue affermazioni sono spesso più simili alle mosse di apertura di una trattativa immobiliare che a espressioni della politica consolidata degli Stati Uniti.
Forse Trump sta creando un po' di confusione mentre lavora a un altro piano. Si dice che desideri il premio Nobel per la pace. […]
Mentre il mondo stava digerendo il suo annuncio su Gaza, ha postato sulla sua piattaforma Truth Social il desiderio di un “accordo di pace nucleare verificato” con l'Iran.
Il regime iraniano nega di volere le armi nucleari, ma c'è stato un dibattito aperto a Teheran sul fatto che il regime sia ormai così minacciato da aver bisogno di un deterrente definitivo.
Per molti anni Netanyahu ha voluto che gli Stati Uniti, con l'aiuto di Israele, distruggessero i siti nucleari iraniani. Un accordo con l'Iran non ha mai fatto parte del suo piano.
benjamin netanyahu donald trump foto lapresse
Durante il primo mandato di Trump, Netanyahu ha condotto una lunga campagna di successo per convincerlo a ritirare gli Stati Uniti dall'accordo nucleare firmato dall'amministrazione di Barack Obama con l'Iran. Se Trump voleva dare alla destra dura israeliana qualcosa che la rendesse felice mentre faceva delle avances agli iraniani, ci è riuscito. Ma ha anche creato incertezza e ha aumentato l'instabilità nella regione più turbolenta del mondo.