LA FINE DELL’ERA BANANA SI CAPISCE DALL’ASSENZA DI PATHOS NELL’APPELLO DEL PROCESSO RUBY: NIENTE CALCA DI GIORNALISTI IN TRIBUNALE, NESSUNA GUERRA TRA ACCUSA E DIFESA - LA SENTENZA IL 18 LUGLIO: IL CAV RISCHIA 10 ANNI DI DOMICILIARI
Paolo Colonnello per “la Stampa”
Pochi giornalisti, qualche curioso, quattro carabinieri fuori dall’aula, avvocati silenziosi e il giudice a latere, Concetta Lo Curto, che legge stancamente una lunghissima relazione su fatti e motivi d’appello ormai conosciuti a memoria. Sembrano lontani anni luce i giorni del primo processo Ruby, quando i controlli per accedere in tribunale erano asfissianti, la calca dei giornalisti inverosimile, la sfida tra accusa e difesa palpabile.
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Invece è bastato poco meno di un anno perché cambiasse un’epoca, una condanna diventasse definitiva (Mediaset) e le parole del combattivo protagonista degli ultimi 20 anni, rischiassero ad ogni piè sospinto di essere misurate da un tribunale di sorveglianza, azzoppandolo per sempre. Insomma non c’è pathos in questo processo in cui fin dalla prima udienza si viene a sapere che la sentenza è già prevista per il 18 luglio e pende dunque come una spada di Damocle sul destino sempre più cupo dell’unico imputato: Silvio Berlusconi.
Se i 7 anni della prima condanna venissero confermati e poi consegnati per sempre al timbro definitivo della Cassazione, per il Signore di Arcore già dall’inverno prossimo si aprirebbero le porte di villa San Martino per trasformarsi in un carcere domiciliare lungo dieci anni, perché anche i benefici dei 3 anni indultati per la condanna sui diritti tivù verrebbero annullati.
Così il sipario si alza su un palcoscenico scarno di fronte a un teatro semivuoto. Berlusconi infatti non parteciperà ad alcuna udienza a meno che non sia «strettamente necessario», ovvero se la corte volesse interrogarlo, hanno fatto sapere i suoi legali. Per altro ieri l’ex Cavaliere si trovava diligentemente come ogni venerdì mattina tra gli anziani malati di Alzheimer di Cesano Boscone, una volta tanto assente giustificato. Il che non ha impedito ai giudici, nella penombra condizionata dell’aula giudiziaria, di dichiararlo semplicemente «assente», cioè contumace.
Non si oppongono i difensori in aula, ovvero i professori Filippo Dinacci e Franco Coppi, formalmente sostituti processuali dei due titolari storici della difesa del Cavaliere, ovvero Niccolò Ghedini e Piero Longo, costretti a un passo indietro per essere finiti nel limbo nell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari del cosiddetto «Ruby ter», indagine a dire il vero assai lenta che però impedisce loro, per opportunità, di difendere direttamente un cliente con cui condividono lo stesso registro delle notizie di reato.
Dunque, in questo clima sommesso, ideale per i due professori che puntano a una difesa «in diritto», anziché tattica, l’avvocato Coppi ribadisce che non ci saranno ricorsi a istanze di legittima suspicione per approfittare dell’appena sopita «guerra in procura» e cercare di spostare il processo a Brescia, né particolari colpi di scena, sebbene tra le istanze preliminari venga formalmente richiesta la riapertura del dibattimento.
Si fa capire insomma che la partita si giocherà sulla rubricazione dei reati (concussione per costrizione o per induzione, ad esempio), sulla procedura del primo processo, sulla scelta del rito immediato anziché ordinario. La difesa, ribadisce il professor Coppi, «sarà tecnica». E non si straccia le vesti per le previsioni di chiusura in tempi brevi: «Sapevamo che i tempi erano questi». Altri tempi.